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CORRUZIONE: UNA MINA NON TANTO VAGANTE, ANZI MOLTO DIFFUSA

di ENRICO SANTORO

Vie di scampo da percorrere per uscire dalla crisi l’Italia ne ha a sufficienza, tanto che qualche leader ottimista, seppure con prudenza, sia da noi che in Europa l’ha recentemente sottolineato. Il vero problema è che molte di esse sono state minate con vari tipi di miscele, che curiosamente hanno in comune un ingrediente di base letale: la corruzione. Quest’ultima ha il potere di far saltare le regole di qualsiasi gioco e, secondo le formule esplosive scelte, colpirà quello democratico, quello economico o ancora - evento peggiore di tutti - quello sociale.
Prendiamo il gioco della democrazia, la quale si fonda sulla dialettica e sulla diversità d’opinione e di ricette esistenti tra persone solitamente organizzate in movimenti, a loro volta coagulati intorno a partiti politici. Ebbene, a ridosso della recente tornata elettorale amministrativa italiana, anche per comprenderne svolgimento e spiegarne alcuni risultati, merita ricordare che in quasi 40 anni i partiti italiani hanno ricevuto dai contribuenti circa 12 miliardi di euro, nonostante il fatto che un referendum 20 anni or sono indicò la via dell’abolizione del finanziamento pubblico.
Diventa un triste dettaglio oggi apprendere che parte di quei fondi, nel frattempo trasformati capziosamente da finanziamenti in rimborsi, siano stati impiegati per pagare ville, rinfreschi, vacanze lussuose a integerrimi esponenti di quei partiti, o lauree ed escort ad altri amministratori pubblici. La sostanza è nel messaggio che questi comportamenti inviano ai cittadini, soprattutto in virtù della loro diffusione, della loro pervasività. La Corte dei Conti ha calcolato che la corruzione pesa sulle tasche degli italiani per 60 miliardi l’anno, quanto nel resto di tutta Europa.
E pensare che, nell’Atene culla della democrazia, prima di essere candidati a una carica pubblica ci si doveva sottoporre alla docimasia, consistente nel rispondere in pubblico davanti ai cittadini ad un interrogatorio con domande sulla correttezza fiscale, la bontà d’animo, la dignità. Senza esagerare con i paragoni, c’è davvero da chiedersi quale virus abbia colpito i politici nostrani dal dopoguerra ad oggi. Sarà infatti qualunquistico affermare genericamente che la politica si sia trasformata da attività al servizio della collettività in sistema scientifico per turlupinarla.
Però è impressionante la conta dei politici colti con le mani nel sacco. Non basta più prendersela con i Pubblici Ministeri, perché qui non si tratta di persecuzione contro un solo soggetto magari politicamente scomodo. Qui si tratta del dilagare del malaffare: le cronache raccontano di assessori che promettono a quattro giovani un posto di usciere al Senato e intascano in cambio migliaia di euro, di intere maggioranze regionali inquisite, di ministri che ricevono case in regalo a loro insaputa, di diamanti, lingotti e via dicendo.
La corruzione a questi livelli rischia di delegittimare l’intero gioco della democrazia - con una fiducia nei partiti crollata al 4 per cento - a vantaggio di avventure e di salti nel buio pericolosi per definizione. E mentre la crisi economica toglie alla gente i sogni e la fiducia in un Paese modernizzato, degno di un Continente che ben compete a livello globale, i partiti dimenticano di rinunciare agli ultimi rimborsi. Chi ricorda ormai che Ferruccio Parri, da premier, dormiva nel palazzo del Governo perché non poteva permettersi il lusso di un albergo?
Secondo l’Eurobarometer, l’87 per cento dei cittadini italiani ritiene che la corruzione sia un serio problema. Per misurare il fenomeno si ricorre ad indici di percezione che rivelano quanto sia elevato il disagio della cittadinanza al riguardo. I dati ufficiali non aiutano nell’analisi: ad esempio il patto tra corrotti e corruttori con riferimento al rilascio degli scontrini o delle fatture che si rivela prassi, se non generalizzata, di grande estensione, emerge solo in corrispondenza di iniziative mediatiche delle forze dell’ordine preposte al controllo di fenomeni di evasione fiscale.
Invece l’Indice della corruzione percepita elaborato da Transparency International - e costruito su una serie di inchieste qualitative condotte da 13 organizzazioni internazionali che va dallo 0 equivalente alla massima corruzione fino al 10 che corrisponde alla massima trasparenza - vede l’Italia attestarsi ad un misero 3,9. Siamo quart’ultimi in Europa, superati solo da Romania, Bulgaria e Grecia. Mentre il 95 per cento dei cittadini italiani intervistati da Eurobarometer conferma che c’è corruzione nelle nostre istituzioni, il 92 per cento anche in quelle regionali.
In Europa, a pensare che la corruzione sia un problema, sono in media solo il 75 per cento dei cittadini. C’è di più: il 75 per cento degli italiani è convinto che gli sforzi del Governo per combattere la corruzione sono stati finora inefficaci. Il 12 per cento degli italiani si è visto chiedere una tangente rispetto a un 8 per cento della media europea. C’è una corruzione spicciola a bassi livelli e una corruzione elevata che investe i vertici politici. Il cattivo esempio si trasmette a pioggia dall’alto al basso e non trova corrispondenza nelle statistiche ufficiali. Quindi il fenomeno è «sommerso».
Intendiamoci, la corruzione non è fatto esclusivamente italiano. Il caso Enron e il caso Madoff, gli strumenti finanziari tossici e la crisi dei mutui subprime non sono made in Italy, ma le vicende Cirio e Parmalat sì. Le compravendite sospette di immobili dell’Ordine degli psicologi o di caserme pugliesi, gli investimenti pericolosi, quasi letali per le casse previdenziali dell’Ordine dei medici o gli scandali del calcio, sì. E l’elenco potrebbe continuare. Quindi è il momento di difendere il nostro Paese dalla fine che toccò all’impero romano, demolito dalla corruzione più che dai barbari.
Le imprese straniere lo snobbano, impaurite da tangenti, burocrazia, costi impropri. Le banche paiono asservite alle esigenze dei politici («Anche noi abbiamo una banca?») o della politica estera; e però restano matrigne con le imprese minori che invece rappresentano, per quante sono e per come lavorano, il nerbo dell’economia italiana. Anzi lo rappresentavano, poiché gli imprenditori, dai costruttori ai farmacisti, si tolgono la vita umiliati dai mancati rimborsi dei crediti vantati nei confronti delle amministrazioni malgestite da questa classe politica.
Lo Stato non dovrebbe esigere la puntualità fiscale dai cittadini e comportarsi con l’arroganza del debitore incallito e senza scrupoli. Oggi purtroppo esiste questa immoralità statale che coincide con la crescita esponenziale della pressione tributaria, favorita dal crescere degli sprechi pubblici. Consola, ma poco, che un governo finalmente paia disposto ad affrontare il nodo delle consulenze inutili, su segnalazione dei cittadini, però perché manca evidentemente una minima capacità di autocontrollo nell’Amministrazione pubblica.
Gli sprechi sono figli della corruzione che da noi ha inquinato anche il mercato. La distorsione si coglie quando si scopre che gli imprenditori onesti debbono competere contro quelli criminali, quando i cittadini divenuti sudditi sono «munti» al punto da entrare in depressione psicologica, in sconforto capace di bloccare la loro voglia di consumo e quindi conseguentemente di alimentare la depressione economica. Una recentissima analisi curata da tre economisti e condotta in 34 Paesi dell’Ocse è al riguardo emblematica.
Sarah Fleche, Conal Smith e Diritta Sorsa nel loro studio sostengono che per uscire dalla crisi non basterà far crescere il prodotto interno ma bisognerà alimentare il livello di «ben-essere», legato a fattori come qualità di governo, bassa inflazione, sicurezza e bassa corruzione: la disuguaglianza economica, infatti, incide sull’indice di benessere per lo 0,3 per cento; la corruzione ha impatto negativo per l’1 per cento. C’è da credere che oggi Carlo Marx sia meno attuale del Savonarola anche perché l’Eurispes nel rapporto 2012 denuncia i pericoli della rottura del patto sociale tra Stato e cittadini.
Come se ne esce? Qualcuno punta al risveglio dell’etica in politica e in economia. Tradotto in proposte, questo significa rispettare le regole sempre e comunque; perché a una società refrattaria alle regole non serviranno mai condoni, leggi complesse, controlli. Servirà, invece, sottrarre il mercato alle lobby, e favorire la concorrenza misurando i risultati aziendali anche sull’etica, la responsabilità sociale, la meritocrazia nella selezione del personale e dei manager, la sostenibilità delle scelte. Può sembrare banale. Ma potrebbe davvero funzionare.

Tags: corruzione lotta alla corruzione Enrico Santoro Luglio - Agosto 2012

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