I GIOVANI IN ITALIA TRA DISOCCUPAZIONE E PRECARIETÀ
del sen. TIZIANO TREU, vicepresidente della commissione Lavoro e Previdenza sociale
Gli osservatori internazionali ammoniscono che la crisi economica non è passata, soprattutto in Europa, e che i deboli segnali di ripresa devono essere ancora sostenuti con politiche coraggiose. Questo ammonimento è valido in particolare per l’Italia, dove questi segnali sono più incerti. Una crescita economica limitata all’1 per cento, come si preannuncia, non è sufficiente alla ripresa dalla crisi, non permette di ridurre il nostro pesante debito né tanto meno di far ripartire l’occupazione. A riconoscerlo sono tutte le parti sociali, i sindacati e gli imprenditori, che sollecitano il Governo a uscire dall’inerzia e dagli annunci, e ad intraprendere iniziative concrete a sostegno della crescita e dell’occupazione.
L’impegno per il reperimento delle risorse nelle distorsioni e negli sprechi della spesa pubblica permetterebbe una politica di crescita più sostenuta rispetto a quella programmata, anche mantenendo gli equilibri di finanza pubblica. Purtroppo, il programma nazionale di riforma approvato dal Governo è generico in merito a impegni concreti sia per la ripresa che per l’occupazione. In Italia la situazione è drammatica soprattutto per i giovani: come mostrano i dati, il 29 per cento di disoccupazione, la maggioranza degli occupati assunti con contratti precari, più di 1,8 milioni di neet, acronimo di «not employment, education and training», ossia giovani che, finiti gli studi non hanno lavoro, e spesso neppure lo cercano.
Gli altri Paesi hanno avanzato iniziative straordinarie per fronteggiare la disoccupazione giovanile anche se, in confronto all’Italia, essa non rappresenta spesso un problema così grave. I risultati migliori sono stati ottenuti in Germania. Nonostante la crisi del 2009, infatti, il Paese ha mostrato una buona tenuta del tasso di occupazione, più che compensata dalla ripresa del 2010. A questo risultato hanno contribuito vari fattori. Oltre a una lungimirante politica economica, il ricorso a vari strumenti di modulazione del tempo di lavoro: riduzione dell’orario compensato, analogo alla cassa integrazione guadagni italiana; banca delle ore e altre flessibilità di orario; e, specificamente per i giovani, un uso esteso del contratto di apprendistato, arricchito da una formazione efficace e mirata.
Tutto ciò in Germania permette ai giovani precari di stabilizzarsi in tempi ragionevoli. I piani di altri Paesi seguono strade simili, offrendo ai giovani diverse possibilità. Un esempio: l’assunzione da parte di imprese private e di enti pubblici incentivata con la riduzione del costo del lavoro - al 50 per cento in caso di contratto di inserimento, al 75 per cento in caso di apprendistato -; completamento di un ciclo di formazione, anche parallelamente all’apprendistato, al fine di ottenere un diploma o una laurea necessari alla qualificazione dei giovani soprattutto in merito ai settori che presentano offerte di lavoro non soddisfatte; avvio di un’attività professionale o imprenditoriale di lavoro autonomo, per la quale è prevista una detassazione per 3 anni; assunzione come socio lavoratore in cooperative, di lavoro e sociali, attive nella fornitura di servizi socio-assistenziali richiesti dagli Enti locali con lo stesso abbattimento di costi previsto per l’apprendistato.
Gli esempi stranieri confermano che i rimedi alla disoccupazione giovanile e alla precarietà sono complessi. Non esistono soluzioni taumaturgiche, e neppure il contratto unico sembra la possibilità migliore. Pertanto le proposte più convincenti, provenienti dagli esperti e accolte anche da iniziative parlamentari, sono più articolate. Innanzitutto, sono rivolte al riconoscimento di una base comune di diritti validi per tutti i tipi di lavoro, a prescindere dal contratto in cui sono inseriti: un salario minimo, degli ammortizzatori sociali universali, una contribuzione unificata per garantire una pensione adeguata a tutti, delle tutele comuni nei casi di sospensione del lavoro, per maternità, malattia, infortuni.
In secondo luogo, sono mirate ad abolire la convenienza economica dei contratti precari, rendendoli economicamente meno convenienti di quelli a tempo indeterminato e a limitare il ricorso ai contratti a termine con tetti alla durata e alla quantità. Infine mirano a sostenere chi è rimasto intrappolato in contratti precari oltre i 36 mesi del limite attuale, incentivando ad esempio le imprese per favorirne la trasformazione in lavori permanenti.
La questione giovanile, naturalmente, necessita di interventi più ampi rispetto ai soli incentivi, come quelli proposti nel disegno di legge presentato dal Pd al Senato, la cui prima firmataria è stata la senatrice Anna Finocchiaro: il potenziamento del sistema scolastico e della formazione professionale, un migliore raccordo fra questa e le tendenze innovative dell’economia e sostegni all’autonomia e all’imprenditorialità dei giovani. L’Italia non può permettersi di lasciare 2 milioni di giovani inattivi e senza futuro. È necessario adoperarsi affinché le loro energie possano essere messe a disposizione per la crescita economica e sociale del Paese.
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