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AGENZIE DI RATING, RISULTATI MOLTO DUBBI E NON FACILMENTE CONTROLLABILI

di FABIO PICCIOLINI
responsabile Credito e Finanza dell’ADICONSUM

Il rating è, o dovrebbe essere, un giudizio indipendente, dato da un soggetto altrettanto indipendente, attraverso cui s’informano i mercati sullo «stato di salute» di un emittente di obbligazioni, Stato o impresa, per rendere nota ai mercati la sua capacità di far fronte agli impegni. Giudizio basato sui vari aspetti economico-finanziari - bilancio, redditività, produzione di reddito, rapporti fra mezzi propri e debito e così via -; insieme a questi elementi ne sono esaminati altri non finanziari, come il management, i progetti, gli obiettivi. La ricerca di certezze da parte degli operatori ha comportato lo sviluppo e quasi l’indispensabilità del rating fino al punto di inserire i loro giudizi nella regolamentazione finanziaria, in quanto utile per le decisioni dei creditori e di tutti i potenziali interessati, ma una «valutazione» deve essere fatta sul lavoro delle agenzie di rating.
I loro risultati sono molto dubbi e non facilmente controllabili: possono essere errati, può esservi un semplice errore di procedura, possono essere comunicati in maniera sbagliata e conseguentemente essi stessi influenzare la valutazione e le reazioni dei mercati. Molti hanno dimenticato che, nonostante vari pareri preoccupati di illustri economisti, le agenzie di rating avevano dato ottimi giudizi sulla Enron, sulle obbligazioni e su altri strumenti finanziari garantiti dai mutui «subprime», come sulla Lehman, rilasciando la tripla AAA fino al momento del crack e di altri default del recente passato, con ripercussioni molto pesanti soprattutto sui piccoli risparmiatori. Giudizi su Stati e imprese che hanno contribuito fortemente all’instabilità finanziaria che sta colpendo l’Europa e la stessa Unione Europea, perché per i mercati non è neppure necessario il declassamento, ma solo la possibilità che ciò avvenga.
Le decisioni delle agenzie rendono instabile il mercato, alimentando la speculazione e rendendo più o meno oneroso il finanziamento dei debitori, il prezzo dei titoli, la valorizzazione di mercato degli investimenti, creando esse stesse instabilità. Infatti il solo annuncio del peggioramento del giudizio o declassamento porta al disinvestimento dei titoli da parte di banche e fondi che, spesso per regolamento, devono dismettere i titoli che hanno subito il declassamento. Basta, ancora, vedere il caso della Francia, un Paese ritenuto «sicuro» per il quale la sola ipotesi di declassamento ha fatto aumentare lo spread dei titoli pubblici rispetto a quelli della Germania.
Circa l’attività delle agenzie, un aspetto scarsamente affrontato è quello degli «outlook» che sono sempre stati fatti con minore «rigidità» rispetto al vero e proprio rating. Ciononostante la loro pubblicizzazione ha portato a variazioni di borsa e degli spread e, soprattutto, essa incide sui Cds pubblici e privati, ossia sui Credit default swap, costituenti un’assicurazione contro il rischio emittente; anche in questo caso si assiste a un oligopolio da parte di società statunitensi. Tutto questo, peraltro, senza possibilità di contraddire l’operato delle agenzie in quanto non esiste alcun organismo che agisca come un tribunale di appello per confermare o annullare i rating pubblicizzati dalle società.
Per tutto questo non è possibile che le agenzie di rating abbiano in mano la vita e la morte degli Stati, anche più dei loro governanti o di organismi internazionali come la Banca Centrale europea, il Fondo Monetario Internazionale e Ocse. Il problema è che le agenzie operano in regime di sostanziale oligopolio. Sono essenzialmente tre: Standard&Poor’s e Moody’s con l’80 per cento del mercato, alle quali si accoda il Fitch, unica con azionisti europei, con il 15 per cento, lasciando alle altre società, ossia al resto del mercato, solo il 5 per cento delle valutazioni richieste in tutto il mondo.
La concorrenza è sostanzialmente assente. Potrebbe essere solo «pensare male», ma fa sorgere dubbi il fatto che le tre agenzie siano sostanzialmente tutte americane - solo Fitch, come detto, ha azionisti europei -, e che S&P è arrivata al declassamento di massa per vari Paesi europei, confermando l’ipotesi di valutazioni «venate» di motivazioni politiche e di conflitto di interessi. Se a ciò si aggiunge che, salvo per gli Stati sovrani, le agenzie si finanziano con le parcelle pagate dagli enti e dalle aziende per le quali è eseguita la valutazione, alla mancanza di concorrenza si aggiunge un vistoso conflitto di interessi.
In merito ai conflitti d’interesse in particolare, si deve porre l’accento sulla proprietà di queste agenzie, nella quale troviamo alcune delle principali società finanziarie e di gestione di fondi di investimento americane, da Warren Buffet a Blackrock, a Vanguard, a Capital Word, tutte attive sul mercato del debito pubblico europeo attraverso fondi comuni di investimento, e sul mercato dei Cds ovvero dell’assicurazione contro il default. Non deve quindi meravigliare se, di fronte agli errori commessi e ai giudizi venati di opportunismo, si sia mossa la politica.
In Italia la Commissione Finanze della Camera nel luglio 2011 ha approvato una risoluzione di condanna verso le agenzie in quando «incapaci di valutare con il dovuto anticipo alcune patologie registratesi con riferimento ai mutui sub prime», per la presenza di «conflitti di interesse» e per operare in «sostanziale oligopolio». Ugualmente attiva in Italia la Magistratura con un’indagine della Procura della Repubblica di Trani, e negli Stati Uniti dove il Tribunale di New York ha stabilito, con una sentenza provvisoria, che il primo emendamento della Costituzione sulla libertà d’opinione non protegge i giudizi delle agenzie di rating Moody’s e Standard&Poor’s e Fitch. Pure negli Usa il Dipartimento di Giustizia ha avviato varie inchieste, particolarmente su Standard&Poor’s, e la SEC, che è la Consob americana, ha giudicato molto negativamente l’operato delle agenzie; inoltre rispetto a S&P ha emesso una wells notice, cioè una comunicazione ufficiale di possibile incriminazione.
Un’ulteriore considerazione sull’attività delle agenzie di rating riguarda l’aspetto giuridico. Queste godono di extraterritorialità per cui non hanno nessuna responsabilità civile per i giudizi emessi, anche se la loro difesa irride alla realtà; definiscono tali giudizi semplici opinioni, quindi non perseguibili se non sono espressi con fine doloso ed anche se il loro lavoro non incide solo sui soggetti «retati» ma sui terzi investitori, ed anche per il futuro sul soggetto che ha «subito» il rating attraverso la riduzione dei suoi asset. Una situazione che da tempo doveva essere modificata, ma che ancora oggi non ha trovato una nuova regolamentazione definita e accettata universalmente.
Un nuovo contesto che non deve avere come presupposto l’abolizione delle agenzie ma la creazione di nuove; in Cina si è ormai affermata la Dagong, anche se si tratta di un’agenzia governativa, e in Canada la DBRS, operativa soprattutto nel settore dei titoli pubblici. E ugualmente non si deve sostituire l’oligopolio privato con un monopolio pubblico, per cui non può essere condivisa l’idea da più parti circolata della costituzione di un’agenzia di rating europea, che rischierebbe di essere forse solo la quarta agenzia oligopolista, peraltro promossa dalla BCE e controllata dai Governi, quindi anch’essa con un insito conflitto di interessi.
Il passaggio prioritario rispetto all’apertura del mercato, al fine di avere un campo di gioco livellato, è una normativa diversa e migliore rispetto al recente passato: nuove regole che debbono prevedere metri di valutazione pubblici e controllabili, introduzione di obblighi sui procedimenti di valutazione adottati, declaratoria dei conflitti di interesse, anche potenziali, esistenti in ogni «opinione». In tal senso, il Parlamento europeo ha stabilito che cosa è un’agenzia di rating: «Una persona giuridica tra le cui occupazioni rientra l’emissione di rating a titolo professionale»; e cosa è il rating: «Un parere relativo al merito di credito di un’entità, di un debito o di un’obbligazione finanziaria, di titoli di debito, di azioni privilegiate e strumenti finanziari analoghi, o di un emittente di tale debito o di tali strumenti finanziari, emessi usando un sistema di classificazione in categorie di rating stabilito e definito».
Altri correttivi sono stati introdotti con un Regolamento dell’Unione Europea che obbliga le agenzie di rating operanti in Paesi europei alla registrazione e alla supervisione dell’Esma, Autorità europea per gli strumenti e i mercati finanziari. In base al Regolamento, che intende aumentare la tutela dei risparmiatori attraverso il miglioramento dell’integrità, della trasparenza, della responsabilità, della governance e dell’affidabilità delle attività svolte dalle agenzie di rating, dal primo gennaio 2011 è obbligatoria la registrazione, presso l’Esma, che ha compiti di supervisione sui mercati finanziari, di tutte le agenzie che operano nell’Unione Europea, comprese le 45 filiali delle tre agenzie americane. agenzie che devono rendere noti i metodi di valutazione e confrontarsi con norme contro il conflitto d’interesse. La supervisione non riguarda le clearing house.
L’Esma può richiedere informazioni, svolgere inchieste e ispezioni, elevare sanzioni, secondo tariffe prestabilite - al massimo il 20 per cento del fatturato annuo -, comunque «dissuasive e proporzionate alla natura, alla gravità e alla durata dell’infrazione commessa», utili per annullare l’eventuale beneficio che l’agenzia abbia conseguito non rispettando le regole europee. La sanzione più grave è il ritiro della licenza ad operare in Europa. Ancora: fissa le condizioni utili per la diffusione dei rating e le regole sull’organizzazione e sull’esercizio delle attività delle agenzie, con la finalità da un lato di aumentarne l’indipendenza, dall’altro di ridurre il rischio di conflitti di interessi.
Tra l’altro le agenzie dovranno rendere noti i risultati storici per una migliore trasparenza, per una migliore protezione degli investitori attraverso la disponibilità di informazioni sistemiche quali la loro frequenza, default avvenuti, informazioni generali. Interessante notare che le domande di iscrizione sono già 45, ma solo 29 accettate, con la parte del leone fatta da società controllate da S&P e Mooyd’s. A livello nazionale il controllo sulle agenzie è affidato alla Consob, ma solo nell’ambito dell’attività di vigilanza sull’informativa societaria e finanziaria diffusa quotidianamente sugli emittenti e sui titoli quotati. In forza del nuovo regolamento la Consob agisce nell’ambito delle regole fissate dall’Esma, partecipando al processo decisionale sulle registrazioni, all’attività di vigilanza alle misure di riferimento sia alle future richieste di registrazione sia alle azioni di vigilanza, di segnalazione di eventuali infrazioni e sanzionatorie, di richiesta di sospensione dei rating all’applicazione delle regole.
Proprio la Consob ha inviato all’Esma, l’autorità europea di settore, una nota sull’operatività di Moody’s e di S&P, relativamente al «rilascio delle autorizzazioni ad operare» che sembrano non essere in linea con i requisiti richiesti dalla normativa europea. Di conseguenza la Consob non ha concesso l’autorizzazione richiesta dalle due società. La Banca Centrale Europea, da parte sua, sta cercando metodi di valutazione per sostituire le agenzie di rating e la Federal Deposit Insurance, ente pubblico che assicura i depositi e i conti correnti ed è titolare di alcuni poteri della vigilanza bancaria, ha previsto che la rischiosità degli asset delle maggiori banche americane, quelle con oltre un miliardo di dollari di attivi in bilancio, non deve essere valutata attraverso il rating, ma attraverso altri metodi più seri e rigorosi.
Una serie di nuove regole che però non convincono fino in fondo per almeno due motivi. Il primo relativo proprio alla quantità delle nuove norme, al di qua e al di là dell’oceano, che possono consentire di fare trading fra di esse con grandi possibilità di elusione. Il secondo, strettamente connesso al primo, la mancanza di una normativa omogenea a livello globale. In mercati che si muovono in microsecondi su capitali enormi una legislazione parcellizzata fa solo il gioco della speculazione e non sostiene l’economia reale e gli Stati sovrani.

Tags: Fabio Picciolini rating marzo 2012

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