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PREVIDENZA COMPLEMENTARE: OCCORRE RIVEDERE IL PRELIEVO FISCALE

Con la delega fiscale approvata dal Parlamento nel 2003, la n. 80 del 17 aprile, il Governo è stato delegato, fra l’altro, a riordinare il regime fiscale per il risparmio affidato a fondi pensione, a fondi etici e a casse di previdenza privatizzate. L’attuazione della riforma fiscale viene realizzata con più decreti da emanare entro due anni dalla data di entrata in vigore della legge delega. La mancata attuazione di tale delega, al momento, determina il perdurare del fenomeno della «doppia tassazione», di cui più volte abbiamo parlato, sugli Enti di previdenza dei professionisti e impedisce, di fatto, il decollo della previdenza complementare in Italia.
Di quest’ultimo aspetto occorre fare un approfondimento anche nella prospettiva, divenuta di grande attualità dopo la recente approvazione delle delega previdenziale, di un diretto coinvolgimento delle casse di previdenza dei professionisti nell’istituzione e nella gestione di forme di previdenza complementare. Occorre innanzitutto premettere che la dottrina economica distingue vari modelli di possibile tassazione del risparmio affidato a fondi pensione, fra i quali il più accreditato a livello europeo è quello indicato con la sigla E-e-t che significa esenzione, esenzione, tassazione, e che sostanzialmente rinvia la tassazione solo al momento finale dell’erogazione della rendita al beneficiario.
La scelta del modello E-e-t si giustificherebbe non tanto per ragioni teoriche quanto piuttosto per ragioni politico-sociali in quanto, spostando la tassazione solo al momento finale dell’atto previdenziale, risultano meglio conseguibili, e tangibili, le finalità incentivanti che devono presiedere alla disciplina fiscale della previdenza, anche al fine di distinguere il risparmio previdenziale da quello finanziario, che non dovrebbe beneficiare, invece, delle medesime agevolazioni.
Come correttamente evidenziato dal prof. Fabio Marchetti in numerosi studi al riguardo, sul piano giuridico l’incentivo fiscale da riconoscere al risparmio previdenziale non può che consistere in un regime che sposti il prelievo dal momento iniziale dell’atto di previdenza, ossia quello della contribuzione, al momento finale, ovvero all’erogazione della prestazione, rendendo altresì esente da imposta la fase dell’accumulazione. Normalmente tale regime si indica come rinvio della tassazione del reddito accantonato per la previdenza, fondato dal punto di vista giuridico-formale sul fatto che il reddito accantonato per la previdenza è sottratto alla disponibilità del contribuente per tutta la durata del vincolo previdenziale ad esso impresso, per essere restituito alla disponibilità del contribuente solo al momento del pagamento della prestazione previdenziale.
La situazione italiana, viceversa, è anomala e penalizzante e può essere rappresentata mediante la formula economica E-t-t, cioè esenzione nella fase di accantonamento del risparmio previdenziale; tassazione, sia pure in forma leggermente agevolata, nella fase di accumulazione del risparmio accantonato e per i redditi finanziari prodotti nella medesima fase; tassazione progressiva nella fase di erogazione della prestazione previdenziale.
Va inoltre sottolineato che l’esenzione riservata alla prima fase, consistente nella deducibilità fiscale dei contributi versati al fondo, incontra dei limiti invalicabili sia nel tetto del 12 per cento del reddito complessivo, cosiddetto limite relativo, sia nell’importo massimo di 5.164,67 euro, cosiddetto limite assoluto. Se trasportati nel mondo dei liberi professionisti dove, lo ricordiamo, non esiste il possibile flusso aggiuntivo costituito dal trattamento di fine rapporto, tali limiti impediscono la costituzione di rendite pensionistiche adeguate senza incorrere in pesanti pressioni fiscali. A questo va aggiunto che la tassazione a carico del fondo pensione prevede un’imposta sostitutiva con aliquota dell’11 per cento anziché del 12,50, comunque elevata se si tiene conto delle particolari finalità previdenziali del capitale gestito.
L’esigenza di elevare i limiti di deducibilità e di ridurre l’imposizione sui capitali maturati nella fase di accumulazione nasce, come già sottolineato, dalla necessità di perequare il trattamento fiscale del risparmio previdenziale rispetto al trattamento fiscale del risparmio finanziario. Solo in questo modo sarà possibile giungere ad un sistema di previdenza complementare «maturo», che consenta un definitivo lancio del secondo pilastro previdenziale anche nel mondo delle libere professioni.
Come già rilevato, il quadro complessivo che si ricava dal combinato disposto delle norme previste nella delega fiscale e di quelle contenute nella delega previdenziale sembra indicare la volontà del Governo di uniformare la disciplina fiscale della previdenza privata complementare al modello prevalentemente accolto dagli altri Paesi europei. Occorre ora dar corso con urgenza ai decreti delegati nel senso auspicato, e rispettando i criteri enunciati nelle leggi-delega pur con i vincoli dettati dalla ristrettezza delle risorse economiche disponibili.
Anche le casse aderenti all’AdEPP rappresenteranno le giuste aspettative dei propri iscritti per una sollecita revisione dei meccanismi fiscali che fino ad oggi hanno regolato la previdenza complementare e che rappresentano, soprattutto per i professionisti italiani, un ostacolo notevole alla concreta realizzazione di un secondo pilastro previdenziale moderno e aderente alle esigenze degli iscritti.

di Maurizio De Tilla, presidente della Cassa Forense e dell’AdEPP

Tags: professionisti professioni Maurizio de Tilla previdenza fisco anno 2005

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