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PROCESSO AMMINISTRATIVO. COMPIE UN ANNO IL NUOVO CODICE CON VARI FRUTTI E ALTRE SPERANZE

Il 2011 è un anno ricco di celebrazioni per la giustizia amministrativa. Ricorrono infatti i 180 anni dall’istituzione del Consiglio di Stato, i 40 anni da quella dei tar, i tribunali amministrativi regionali, e un anno dall’approvazione e dall’entrata in vigore del codice del processo amministrativo. I primi due anniversari hanno un significato più che altro simbolico; il secondo ha un impatto più operativo. Entrato in vigore a metà settembre dello scorso anno, il codice costituisce una tappa storica nel cammino verso l’effettività della tutela del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione.
In realtà, l’operazione di codificazione era stata accolta con scetticismo da molti addetti ai lavori. Per tradizione, infatti, il processo amministrativo si è evoluto grazie alla giurisprudenza creativa del Consiglio di Stato. Si pensi tra i tanti «grands arrêts», le decisioni che, nel silenzio della legge, hanno ammesso l’appello al Consiglio di Stato avverso le ordinanze cautelari dei Tar, oppure l’azione contro il silenzio dell’amministrazione, cioè nei casi di mancata risposta su istanze di privati volte ad ottenere atti amministrativi favorevoli. Il codice non stravolge l’impianto tradizionale del processo amministrativo, ma contiene una serie di novità che la giurisprudenza sta già valorizzando, forse anche al di là delle aspettative. Per esempio, alcune sentenze hanno aperto la strada alla cosiddetta azione di adempimento, cioè all’azione con la quale il ricorrente può ottenere, a certe condizioni, una sentenza che condanna l’amministrazione a emanare un atto amministrativo negato, per esempio, una concessione o un’autorizzazione. Si tratta di un passo in avanti rilevante se si pensa che in Germania questa azione è già prevista da oltre mezzo secolo.
Il giudice amministrativo sta poi modulando i propri poteri. Per esempio ha stabilito che la sentenza di annullamento può produrre effetti solo per il futuro e non retroattivi, se ciò è più utile al ricorrente; ha utilizzato i nuovi mezzi di prova come l’interrogatorio libero; ha messo a punto i principi sull’azione di risarcimento del danno provocato da atti illegittimi. In ogni caso il codice ha cercato di mettere fine ad alcuni contrasti tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di confini della giurisdizione che avevano disorientato gli operatori negli anni precedenti.
Alla luce di queste e di altre novità che spuntano ogni giorno dalla giurisprudenza, a un anno di distanza dall’entrata in vigore del codice solo pochi nostalgici rimpiangono il passato. Qualche mese fa il presidente del Consiglio di Stato, Pasquale de Lise, nella relazione sull’attività della giustizia amministrativa per l’anno 2011 letta a Palazzo Spada, si è soffermato sui pregi del codice. Anzitutto, proprio per la sua struttura di testo snello, il codice non intacca il ruolo creativo del giudice amministrativo. De Lise ha ricordato, per esempio, che in materia edilizia il Consiglio di Stato ha stabilito che la dichiarazione d’inizio di attività - cosiddetta Dia ora trasformata in Scia -, che rappresenta uno strumento di semplificazione rispetto al modello delle autorizzazioni preventive tradizionali, può essere contestata dal terzo leso con un’azione di accertamento atipica.
Il presidente del Consiglio di Stato ha sottolineato anche il ruolo nomofilattico dell’adunanza plenaria del Consiglio di Stato, cioè di orientamento della giurisprudenza a garanzia dell’uniformità degli indirizzi interpretativi, ora rafforzato dal codice. Le sezioni giurisdizionali semplici, infatti, ove non condividano un precedente dell’adunanza plenaria, non possono più, come si dice in gergo, «andare di contrario avviso». Devono rimettere la questione a questo particolare collegio allargato, composto da giudici provenienti dalle varie sezioni giudicanti. Nel 2011 le sentenze dell’adunanza plenaria sono diventate più frequenti e anche questo è un dato positivo perché ne guadagna così la certezza del diritto.
Ma il codice, da solo, non è un rimedio sufficiente per smaltire l’arretrato. Dinanzi al Consiglio di Stato all’inizio del 2010 pendevano infatti 22.700 ricorsi; dinanzi ai Tar 511 mila. Il codice prevede qualche disincentivo alle liti temerarie sotto forma di condanna alle spese aggravata nel caso in cui la decisione sia fondata su ragioni manifeste o su orientamenti giurisprudenziali consolidati. Richiama anche il principio di chiarezza e sinteticità degli atti difensivi e delle sentenze, oggetto di una circolare del presidente del Consiglio di Stato, che dovrebbe semplificare il lavoro dei magistrati. In definitiva, il codice ha dato nuovi stimoli ai giudici amministrativi per affinare le tecniche di tutela. Il tutto in linea con una tradizione che ha avuto inizio tanto tempo fa, proprio con l’istituzione del Consiglio di Stato ad opera dell’editto del 18 agosto 1831 di Carlo Alberto.

 

di Marcello Clarich
professore ordinario di diritto amministrativo - Luiss Guido Carli di Roma, partner dello studio Freshfields Bruckhaus Deringer e componente della commissione istituita presso il Consiglio di Stato per la redazione dello schema di codice del processo amministrativo

Tags: pubblica amministrazione P.A. giustizia Marcello Clarich Settembre 2011

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