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SOCIETÀ DI CAPITALI - POTERI E RESPONSABILITÀ: TEMPI DURI PER GLI AMMINISTRATORI

I doveri e le responsabilità degli amministratori, dei sindaci e dei direttori generali e i rischi potenziali che ne conseguono sono cruciali nelle società di capitali in situazioni di normalità della gestione - cosiddetta on going concern - e ancor più in situazioni di crisi o vicine all’insolvenza. L’incertezza comportamentale, la mancanza di parametri condivisi dalla giurisprudenza nei vari Paesi, l’assenza di efficaci ombrelli assicurativi, la riluttanza delle società a pagarne i cospicui premi, la durezza delle condanne che colpiscono i patrimoni personali di amministratori, sindaci e direttori generali, possono «scoraggiare» e allontanare quei professionisti che proprio nel momento della crisi, ovvero quando ve n’è più bisogno, sarebbero più idonei a mettere a disposizione dell’impresa la loro superiore capacità di analisi, l’integrità di giudizio e l’efficienza comportamentale. La severità delle conseguenze che sul piano giudiziario possono derivare dalla semplice presenza in consigli di amministrazione, in periodi critici per la società, ha mietuto anche in Italia vittime illustri, che prima hanno visto sottoporre a sequestro conservativo i loro beni personali e distruggere le loro carriere da accuse infamanti per poi, dopo almeno un lustro, vedersi assolti dal giudice penale per non aver commesso atti di concorso in bancarotta fraudolenta o in truffa, o in altro. È altrettanto noto che per la giurisprudenza civile italiana non hanno rilevanza particolare per l’amministratore, tranne che nel caso di deleghe formali e sostanziali a terzi, l’essere stato in carica solo per pochi mesi; il non aver firmato bilanci; l’essere stato confortato nel redigerli da valutazioni di esperti degli asset, specie se immateriali. L’amministratore assume su di sé il rischio di «deficit di onniscienza» perché è il responsabile degli obblighi di chiarezza, completezza e veridicità che improntano la redazione dei bilanci; il che oggi appare irrealistico e irragionevole. Ecco perché la riluttanza dei professionisti bravi, esperti, onesti ed efficienti è diffusa nell’accettare cariche di amministratori, sindaci, direttori generali nelle società in crisi. Questo effetto negativo conduce alla perdita di valori rilevanti dell’impresa allorquando questa viene avviata, anticipatamente quanto improvvidamente, alla liquidazione fallimentare. Il passaggio dall’«on going concern», alla «non continuità aziendale» finisce per punire anche i creditori e tutti gli stockholder, poiché le singole componenti aziendali, specie se immateriali, vengono stimate non più a valori di mercato, ma a «prezzi» di realizzo o di liquidazione. L’Uncitral, Commissione dell’Onu per il diritto commerciale internazionale, ha ipotizzato e ha proposto ai legislatori dei Paesi che fanno parte delle Nazioni Unite alcuni progetti e ha prodotto una significativa pubblicazione da inserire in una riforma sull’insolvenza. Già alcuni modelli di legge sull’insolvenza transfrontaliera e sulla necessità di cooperazione, e un addendum alla guida legislativa sull’insolvenza di gruppi di imprese, indicano la particolare attenzione che l’Uncitral dedica a questo settore di grande rilevanza per il diritto commerciale in perenne divenire poiché continuamente cambiano dimensioni, problemi, caratteristiche delle società di capitali e delle imprese che le stesse esprimono, per cui anche la legge concorsuale deve tenere il passo di queste modifiche. Sulla scorta di documenti, indirizzi, notizie sulle «best practice» e sentenze raccolte, l’assemblea dell’Uncitral ha deciso di proseguire nella predisposizione di una Guida legislativa diretta non solo ai professionisti interessati, contenente utili riferimenti, parametri comportamentali e relativi «benchmark» riguardanti appunto le responsabilità e gli obblighi dei consiglieri di amministrazione, dei sindaci e dei direttori generali nei casi di insolvenza o di pre-insolvenza delle società che amministrano, controllano o dirigono. Naturalmente non esiste un criterio unitario sul problema né esistono soluzioni «one size for all» - una sola misura per tutti -, ma vanno distinte le diverse aree di responsabilità, di amministratori, sindaci e direttori generali. Una prima, ad esempio, emerge nei confronti dei soci e della società come entità distinta e separata dai suoi azionisti; questi ultimi, infatti, avranno interesse a che la «governance» della società produca utili e non intacchi il capitale investito; ma tali risultati possono anche andare contro gli interessi più generali della società che ha il diritto di mantenere integra la propria capacità patrimoniale, ed anche e soprattutto la propria immagine, la reputazione, il good will di affidabilità commerciale, affinché venga percepita dagli stakeholder in modo positivo. La seconda area di responsabilità riguarda coloro che entrano in rapporti d’affari e di relazioni economiche con la società e ne divengono creditori in conseguenza di decisioni prese dagli amministratori. Ma vanno considerate anche le responsabilità che vengono assunte da coloro che, pur se «esterni», alla società, ovvero quali consulenti indipendenti, provvedono a dare consigli e pareri basati sulla propria esperienza e su alcune prassi d’affari e commerciali. Queste professionalità, osserva l’assemblea dell’Uncitral, normalmente fanno parte, specie nei Paesi di lingua anglosassone, del vertice degli amministratori di una società di capitali. Spesso l’amministratore indipendente o estraneo alla platea azionaria viene considerato da azionisti, creditori, dipendenti e stakeholder, il «watch dog», il guardiano della regolarità e della correttezza della governance della società. Da un punto di vista più generale avere dei direttori «out side», ovvero indipendenti, può rivelarsi benefico, specie se la società si trova in una fase di difficoltà di carattere finanziario e questa situazione può portarla all’insolvenza. Sono preziosi gli amministratori di esperienza che sanno assumere nel momento giusto le decisioni giuste, perché realizzano sostanziali benefici non solo per la platea azionaria ma per i creditori. Naturalmente è notevole il pericolo per i direttori estranei quando la società è in un’area vicina all’insolvenza. Devono riuscire a proteggere se stessi dalle responsabilità personali. La difficoltà di ottenere la copertura assicurativa dei rischi connessi a tale attività manifesta nel nostro Paese la necessità di incrementare con mezzi moderni quei presidi che all’estero esistono e che non lasciano l’amministratore, specie se la società è in condizioni di pre-insolvenza, solo con le proprie responsabilità, con l’unico ombrello rappresentato dall’ammontare del proprio compenso. Tra l’altro questi «fringe benefits» assicurativi a carico della società possono costituire un utile elemento per calmierare le richieste di compensi in taluni casi stratosferici, degli amministratori. È stato osservato che negli Stati Uniti il compenso medio degli amministratori è di 400 volte più alto del compenso di un operaio della stessa impresa. Quando una società o un gruppo di imprese è in difficoltà finanziaria, si apre un periodo particolarmente critico per le decisioni degli amministratori ed avere una forte voce indipendente nel board è essenziale. Si dovrebbe mirare infatti non solo a proteggere gli investimenti fatti dai soci, o le posizioni del management, o le attività già poste in essere, ma a considerare quale debba essere la migliore soluzione per la vita stessa della società. Nello stesso tempo le operazioni che il consiglio di amministrazione pone in essere devono risultare conformi non solo ai precetti legali ma anche alle linee giurisprudenziali che contribuiscono a regolare legalmente la materia, cosicché da un lato la società continui ad operare e dall’altro i creditori «forti» non abbiano vantaggi né abusino dei loro diritti in un processo di riorganizzazione che li vede parti necessarie, in un momento molto delicato per la società debitrice. Questo bilanciamento e questo equilibrio devono ispirare e motivare il comportamento di ogni amministratore, e devono essere raggiunti nel promuovere la continuazione dell’attività d’impresa. Nella varietà normativa esistente e nelle differenti valutazioni che i giudici compiono ex post rispetto all’attività posta in essere dagli amministratori, tali decisioni necessitano pertanto di principi guida concreti, basati sulle best practice dei vari Paesi in modo che l’amministratore in primis, ma anche il sindaco e il direttore generale, possano avere, specie in situazioni di pre-insolvenza, una guida concreta per restringere l’area della loro personale responsabilità. Il panorama di questa disamina si complica ancor più per gli amministratori di una società controllata da una capogruppo. In quest’area è inevitabile che si commettano errori; se gli amministratori della capogruppo sbagliano, è probabile che anche i colleghi della società sussidiaria compiranno degli errori. Cercare di trovare un equilibrio e di bilanciare le istruzioni o comunque gli interessi della società capogruppo con l’attività e gli interessi della società sussidiaria, e nel contempo osservare le leggi nazionali del Paese in cui si opera, costituisce una grande sfida. Spesso, infatti, gli amministratori delle varie società costituenti il gruppo sono nominati dagli stessi azionisti della holding. Vi sono quindi, se non vincoli di appartenenza, quantomeno comunanza di conoscenza e di cultura del gruppo. Ogni amministratore dovrebbe agire per il bene della società che governa, ma in questo caso dovrà considerare anche gli interessi finanziari ed economici del Gruppo e, quindi, delle singole società appartenenti ad esso. Il filo rosso del conflitto d’interessi per questi amministratori è dietro l’angolo e spesso le direttive ricevute dalla governance della capogruppo pongono seri problemi d’indipendenza e autonomia di giudizio. L’amministratore della singola società dovrà valutare in modo autonomo, asettico ma prospettico, se la propria decisione risulterà positiva per la società che governa ma negativa per il gruppo, e quindi quali potranno essere le conseguenze per il gruppo e per le sue componenti. Alcuni delegati dei differenti Stati, pur di fronte a uno scenario così complesso, hanno suggerito standard legislativi molto severi. Gli errori vanno sanzionati pesantemente perché i loro effetti sono spesso devastanti sul piano socio-economico non solo locale. Al minimo segnale di crisi, si è detto, gli amministratori devono attivarsi per dar vita a una riorganizzazione o, se questa appare difficoltosa, a «portare i libri in tribunale». Si è infatti osservato che i procedimenti di insolvenza generalmente, in tutti i Paesi, non vengono attivati su iniziativa degli amministratori non appena l’insolvenza si manifesti, ma dei creditori privilegiati o chirografari che hanno già iniziato il recupero dei loro crediti nei confronti della società. Attendere, infatti, troppo a lungo per accedere a un procedimento di riorganizzazione ne riduce le possibilità di successo. È stato quindi indicato che i creditori non devono essere penalizzati dalle norme nazionali per aver incoraggiato il sollecito ricorso a una procedura concorsuale, e di prevedere quindi responsabilità personali quando consentano la continuazione dell’operatività di società, sapendo che le stesse non sono in grado di onorare le obbligazioni assunte. Al fine di non scoraggiare l’accettazione di tali incarichi da parte delle professionalità migliori, altre delegazioni hanno suggerito di introdurre una generale presunzione di correttezza e di legittimità del loro operato a favore di amministratori, sindaci e direttori generali. Saranno i creditori o il curatore fallimentare a dover dimostrare che la loro condotta sia stata illegittima e quali siano stati gli effettivi inadempimenti al dovere di lealtà nei confronti della società e di attenzione verso i creditori. Il problema della responsabilità di amministratori, sindaci e direttori generali è particolarmente avvertito in Italia perché con la riforma del diritto concorsuale del 2006 i curatori fallimentari che hanno visto restringersi l’area delle revocatorie nei confronti di banche, delle rimesse sui conti correnti operate dal fallito nel periodo sospetto - due anni o un anno, a seconda delle fattispecie, ridotto oggi a sei mesi - hanno cominciato a considerare gli amministratori come veri e propri asset del fallimento, attivando azioni di responsabilità nei confronti loro, dei sindaci e meno spesso dei direttori generali. Il tema è di grande rilevanza per l’economia dei vari Paesi e per la salute delle imprese. Indicazioni, guide comportamentali, best practice e benchmark che provengono dall’Uncitral, fonte significativa di legislazione sovranazionale, vanno seguiti e osservati poiché anche in questa area la chiarezza dei confini tra il fare, ancorché non sempre virtuoso ma internazionalmente consentito, e il non fare è preziosa e spesso si rivela salvifica per i professionisti meritevoli.

Tags: Lucio Ghia Settembre 2011 Uncitral

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