MADE IN ITALY, FOOD E WINE: COME RIPARTIRE?
Un comparto il cui ultimo fatturato ammonta a 145 miliardi di euro, se si sommano le aziende agricole e l’industria alimentare: è il food & wine, protagonista di una tavola rotonda del Sole 24 Ore e del Financial Times e incentrata sulla ripartenza delle eccellenze del Made in Italy, tenutasi oggi unicamente online e moderata dal giornalista Giorgio dell’Orefice. Un settore che non è stato in lockdown ma ha sperimentato nuove condizioni, quali la difficoltà nei trasporti, e criticità ben più serie come la chiusura (anche all’estero) del canale horeca, che ha sottratto ad alcune fasce di produzione lo sbocco prioritario, ad altre invece il canale che ne riconosceva il valore e per questo lo sceglieva.
Quindi, quali gli scenari in corso, quali le problematiche e le criticità?
Albiera Antinori è la prima a parlare. Presiede la Marchesi Antinori, prima azienda privata italiana con 25 milioni di bottiglie (quelle che la precedono sono cooperative): “L’agricoltura non concede soste: non ci siamo mai fermati neanche nelle spedizioni. Difficile però è stato per noi affrontare la chiusura dei canali turismo, ristoranti, hotel. Anche se abbiamo tenuto testa con le vendite nella gdo e online - i numeri di giugno, luglio e agosto sono pari al 2019 - certamente il saldo non sarà quello dello scorso anno. Noi viticoltori dovremmo essere abituati ad eventi straordinari come quelli atmosferici, anche se di pandemia si è trattato; dovremmo essere abituati ad un giro di schiaffi veloce. In più, nei mesi passati sono state messe in campo tante iniziative ma a rilento e non proprio centratissime”.
Vicepresidente dell’omonimo gruppo, con un fatturato di 3,6 miliardi di euro e 26 siti produttivi di cui metà in Italia, Paolo Barilla ha evidenziato come durante il lockdown la vera prova (superata) sia stata mettere sotto pressione la cultura d’impresa, risultata vincente. Anche se così dispersi nelle sedi, si è tutti risposto all’emergenza in maniera simile: “Pur potendo scegliere, i dipendenti hanno preferito lavorare nonostante lo smartworking fosse una scelta legittima; evidentemente sono stati più forti un pregresso già condiviso in azienda e la solidità dei rapporti”.
Alla domanda su quali scenari si prospettano a causa del lockdown risponde il direttore generale Ismea (Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare) Raffaele Borriello, che osserva come prima del Covid l’agroalimentare fosse un settore in crescita in diversi aspetti come il valore aggiunto, l’occupazione, l’export. Soprattutto quest’ultimo nel 2019 ammontava a 45 miliardi di euro, contribuendo inoltre a una ampia riconoscibilità del Made in Italy nel mondo. “Il settore ha dimostrato una capacità di tenuta nel dare una risposta ai consumi: non dimentichiamo che nelle prime due settimane di lockdown sono stati raggiunti 2 miliardi di euro di consumi. Oggi non conosciamo gli impatti futuri dell’emergenza sanitaria, per via di quanto può accadere ai partner mondiali: se cala il pil ovviamente cala anche la domanda di Made in Italy. Nel medio-lungo periodo quindi una minaccia economica è rappresentata dall’impatto sull’export. Bisogna inoltre tenere conto che in tutti i paesi colpiti dalla pandemia non ci si dimenticherà dell’appello a mangiare nazionale. Infine, la recessione non aiuta il Made in Italy: i prodotti sono di fascia alta e esiste il rischio concreto che vengano sostituiti da altri meno costosi. Pertanto il brand può uscire indebolito”.
Con i suoi 1.600.000 soci Coldiretti ha senz’altro il merito di aver fatto uscire il settore dalla marginalità cui anni fa era confinato, basti pensare al mercato di Campagna Amica che ora conta oltre 8.000 punti vendita. Per il presidente Ettore Prandini Campagna Amica ha dato non solo la possibilità di vendere un prodotto anche trasformato dalla rete di associati, ma anche di trasmettere ciò che ci contraddistingue in termini di potenzialità. “Dobbiamo oggi immaginare come non perdere fasce di mercato e guadagnarne altre. Non si è ancora parlato della Brexit, tema ultimamente secondario di cui invece va evidenziato il grande valore nel nostro paese, specialmente per il settore vitivinicolo. La risposta all’emergenza è stata buona, a marzo durante l’assalto alla grande distribuzione si è riusciti a trasmettere serenità grazie anche alla cultura di impresa cui si è già fatto cenno: il prodotto agroalimentare non sarebbe mancato, i processi produttivi sarebbero andati avanti. Sottolineo piuttosto il punto debole dell’Italia nel sistema di comunicazione e interlocuzione, nei progetti di filiera, nella riconoscibilità dei prodotti, nell’italian sounding”.
Tra le prime 10 dop italiane e la principale del Mezzogiorno, la mozzarella di bufala campana ha un giro d’affari di 600 milioni di euro per quanto riguarda la produzione e di un miliardo e 200 mila con il consumo. Il presidente del Consorzio di tutela della mozzarella di bufala campana dop Domenico Raimondo concorda con Borriello in merito alle problematiche ma aggiunge: “Il nostro prodotto a inizio lockdown fortunatamente cresceva nell’export del 19,6%. Siamo quindi forse stati più danneggiati nel mercato interno dalla chiusura totale della Campania, poiché altrove permaneva il delivery; inoltre ci aspettavamo più turismo estivo e così non è stato. Le preoccupazioni quindi non mancano, anche perché abbiamo una materia prima prodotta da animali che quindi necessitano di persone sempre presenti nonché di una successiva trasformazione. Con il Covid abbiamo notato un aumento della burocrazia: invece c’è bisogno di un’Italia che corre. Ancora si portano avanti modalità di smartworking che sono causa di rallentamenti: appuntamenti su prenotazione, assenze di impiegati… il mercato non può aspettare, gli animali vogliono mangiare, essere munti e trasformare tutti i giorni”.
Quali sono quindi le strade da percorrere per un rilancio del settore?
Per Antinori, la promozione è uno dei capisaldi ma devono esserci una strategia e uno snellimento a lungo termine: “Ora senza la possibilità di partecipare a eventi fieristici dobbiamo ragionare e condividere un percorso. La burocrazia rimane per noi uno scoglio insormontabile, ancora adesso abbiamo almeno 36 controlli da diversi enti su ogni bottiglia: in questo modo non ripartiamo più. Anche perché più l’iter è difficile, più si presta a essere bypassato nelle pieghe della carta. Inoltre andrebbe risolto il problema del cuneo fiscale e in generale di una normalizzazione dei costi tra zone diverse, affinché resti qualcosa anche a chi percepisce stipendi più bassi. Non va infine dimenticata l’importanza della formazione, penso a realtà qui assenti, come la UCDavis in California”.
Anche Paolo Barilla ritiene che non possa esserci sviluppo se il paese è pesante e va alleggerito con innovazioni: “Siamo orgogliosi della nostra storia e delle figure che hanno reso tanto attraente l’Italia nel mondo. E senz’altro abbiamo dei gioielli che vanno protetti senza però considerarli un retaggio del passato. Nell’alimentazione, nel gusto, esiste un’evoluzione e anche se il cibo è un fatto di tradizione e la tradizione è un valore, va affiancata all’innovazione”.
Per Borriello di Ismea vanno affrontati temi atavici come la mancanza di manodopera specializzata, materia trattata con strumenti emergenziali ma non sufficienti, o di una politica fondiaria. Più legato all’export il tema delle opportunità da cogliere con il recovery plan per interventi a favore del Made in Italy (politica assente anche qui). “Ben venga la promozione ma senza una rete di infrastrutture e logistica come arrivano i prodotti all’estero? Occorrerebbe una logistica di prossimità, fondata su aggregazione di aziende agricole, per offrire più prodotti e accorciare la filiera.
Infine, il presidente della mozzarella campana dop Raimondo sottolinea la necessità di portare avanti modifiche ai disciplinari, legati a tradizioni di decenni fa: una richiesta anche di altri consorzi. E fa presente che a causa della posizione geografica il Mezzogiorno è sempre un po’ in ritardo sui mercati: un tempo si spediva via rete ferroviaria ma adesso i treni non ci sono più e si ricorre al trasporto su gomma, creando traffico e inquinamento.
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