ALBERTO DE ROBERTO: CONSIGLIO DI STATO, GARANZIA DI LEGITTIMITà

Il rapido e tumultuoso sviluppo economico registratosi nel Paese negli ultimi cinquant’anni ha determinato l’insorgenza, nella società, di un numero crescente di esigenze e di problemi, con il conseguente allargamento dei poteri, delle competenze e delle incombenze affidate alla pubblica amministrazione. È aumentato, pertanto, anche il contenzioso giurisdizionale, favorito anche dall’istituzione, negli anni 70, di organi giurisdizionali di primo grado. I T.A.R. (tribunali amministrativi regionali) e il Consiglio di Stato in appello cercano di fronteggiare questo crescente fenomeno. A quest’ultimo organo sono affidati anche altri delicati compiti, in particolare quello di consulenza giuridico-amministrativa del Governo. Ne illustra i problemi e le prospettive il suo presidente Alberto De Roberto.
Domanda. Qual’è stata l’origine e qual’è la situazione attuale del Consiglio di Stato?
Risposta. L’istituto viene da lontano e ha saputo sempre far fronte ai tempi che avanzano. Nacque come organo consultivo del Sovrano quando, nel 1821, Carlo Alberto lo istituì assumendone la presidenza. Del Consiglio di Stato il Sovrano chiamò a far parte un gruppo di personalità eminenti che si erano distinte in alti uffici politici o militari (illustri personalità che avevano contribuito, in quegli anni, a fare la storia civile e militare dello Stato piemontese). In seguito, nel 1859, con il passaggio della presidenza dal Re a una personalità da lui nominata, il Consiglio di Stato si trasformò da organo di consulenza politico-militare del Sovrano in organo di consulenza giuridica del Governo. Il mutamento ebbe un effetto profondamente innovativo. Il Consiglio cessò di operare quale organo a servizio dell’Autorità che chiedeva il suo parere per essere assecondata nel raggiungimento degli obiettivi perseguiti ed acquisì il nuovo ruolo di garante della legittimità dell’azione amministrativa valutando in forma neutrale e distaccata (con lo stile e la «forma mentis» del giudice) se il progetto di azione, ipotizzato dall’autorità richiedente, si conformava, o meno, alla normativa. Già negli anni immediatamente precedenti l’unificazione del Regno il Consiglio di Stato si manifestò, quindi, come un organo che forniva all’Amministrazione solo una consulenza diretta a garantire la legalità dell’azione amministrativa.
D. Che cosa è avvenuto dopo?
R. Solitamente si ritiene che il Consiglio di Stato - che ha svolto funzioni consultive fino al 1889, quando nacque la IV Sezione giurisdizionale che ebbe Silvio Spaventa per suo presidente - diventò organo anche giurisdizionale, ad imitazione di modelli stranieri: in particolare del Conseil d’État francese. Ciò non è esatto. In realtà, nel momento in cui il Legislatore si determinò, nel 1889, a conferire al Consiglio di Stato, in aggiunta alle funzioni consultive, la tutela giurisdizionale dell’«interesse legittimo», fece questa scelta nella persuasione che solo questo organo - per le prove di neutralità e terzietà offerte in sede consultiva -, fosse in grado di svolgere «super partes» il ruolo di giudice nelle liti tra privato e Pubblica Amministrazione.
D. Attualmente quali sono la sua natura e la sua funzione?
R. Oggi il Consiglio di Stato resta quello che era ieri e che la Costituzione prevede: organo incaricato di svolgere funzioni sia consultive che giurisdizionali. Per quel che riguarda la funzione giurisdizionale (che costituisce oggi il compito che più impegna l’Istituto), il discorso va allargato ai Tribunali amministrativi regionali, istituiti nel 1971. Con i T.A.R. il Consiglio di Stato dà vita ad un inscindibile corpo chiamato a gestire a due diversi livelli (primo e secondo grado) la giurisdizione amministrativa.
D. Quali sono state le trasformazioni più rilevanti intervenute nell’attività del Consiglio di Stato?
R. Nei miei 40 anni e più di appartenenza ad esso ho assistito a grandi trasformazioni. Le più rilevanti, a livello consultivo, sono state quelle determinate da due diversi accadimenti. Il primo è costituito dalla legge n. 127 del 1997 (detta anche Bassanini bis); il secondo, dalla recente riforma del Titolo V della Costituzione. Queste due novità hanno determinato entrambe una riduzione del campo di azione delle funzioni consultive obbligatorie.
D. Quali sono i settori nei quali è intervenuta questa riduzione?
R. Prima della legge 27 del 1997 era previsto per il Governo e le Amministrazioni statali l’obbligo di chiedere il preventivo parere del Consiglio di Stato su una serie di atti amministrativi; si tratta di pareri che l’autorità richiedente doveva acquisire ma non seguire necessariamente. La legge 127 ha fatto venir meno la maggior parte dei pareri obbligatori. Debbo dire che al momento della riforma quanti, come me, appartenevano alla vecchia guardia del Consiglio di Stato, rimasero sconcertati. Con franchezza debbo riconoscere che, già un paio di anni dopo, avevo cambiato idea: mi ero fatto, infatti, la convinzione che l’eliminazione della maggior parte dei pareri obbligatori ha liberato il Consiglio di Stato da un’imponente quantità di adempimenti minori nei quali si disperdevano le sue energie, sottratte così ai problemi di maggiore importanza.
D. In quali materie è rimasta la consulenza obbligatoria?
R. In due. La prima è quella dei regolamenti statali. Si tratta di una funzione estremamente importante, perché l’obbligo imposto al Governo e ai singoli ministri di dotarsi di un parere del Consiglio di Stato costituisce, per tali regolamenti, una garanzia di legittimità e di redazione corretta.
D. Come assolve il Consiglio di Stato questo compito?
R. La sua consulenza, come ho detto, non solo garantisce la conformità dei regolamenti alla legge, ma offre un contributo determinante alla produzione di una normativa tecnicamente ben elaborata. Ritengo che il Consiglio di Stato assolva benissimo anche questo compito. Per averne la prova basterebbe confrontare la normativa sulla quale interviene il Consiglio con altri atti secondari non sottoposti al suo controllo. Una Sezione apposita (la Sezione consultiva per gli atti normativi) esprime il parere sui regolamenti.
D. Quali sono le prospettive?
R. La funzione consultiva sulla normativa regolamentare, che la legge del 1997 aveva conservato e rafforzato, è oggi esposta a una notevole riduzione. Nelle materie nelle quali è prevista, dopo il Titolo V, una competenza concorrente o esclusiva delle Regioni, non vi è, infatti, più spazio per i regolamenti statali e, perciò, per il parere obbligatorio del Consiglio di Stato.
D. Qual è l’altra materia in cui è prevista la consulenza obbligatoria del Consiglio di Stato?
R. Il ricorso straordinario al Capo dello Stato, un istituto che svolge ancora un utile ruolo alleggerendo il contenzioso giurisdizionale (circa 4 mila o 5 mila ricorsi l’anno sono definiti con tale rimedio), alternativo a quello giurisdizionale. Non avrebbe senso sopprimerlo perché è un rimedio antico di cui largamente ci si avvale; è meno dispendioso del ricorso giurisdizionale e offre garanzie sostanzialmente non dissimili da quest’ultimo.
D. Il Consiglio di Stato può dare pareri anche ad enti diversi dal Governo e dai Ministeri?
R. Si è assistito a una costante evoluzione dell’ambito della consulenza facoltativa. Stando alla Costituzione l’organismo che può consultare il Consiglio di Stato è il Governo. La nostra consulenza in materia amministrativa è stata, però, richiesta anche da altre alte e altissime Istituzioni, quali il Parlamento, le Autorità indipendenti, la Banca d’Italia ecc.
D. Anche le Regioni si avvalgono del Consiglio di Stato?
R. Sulla base di un nostro parere degli anni 80, le Regioni possono chiedere il nostro ausilio ma solo alcune, e abbastanza di rado lo fanno. Nel tempo si sono registrati comportamenti altalenanti: negli anni 80 si manifestò, per esempio, un vivo interesse alla nostra consulenza di talune Regioni. Certamente, se la richiesta regionale di pareri al Consiglio di Stato trovasse luogo in forma più generale, la qualità dell’azione amministrativa regionale potrebbe trarne qualche beneficio.
D. Per le nuove competenze le Regioni e gli Enti locali non hanno bisogno di un proprio organismo di consulenza giuridica?
R. In effetti con il trasferimento di funzioni dallo Stato alle Regioni e agli Enti locali, un intervento consultivo sulle questioni importanti sarebbe estremamente utile. Un organo di consulenza giuridica imparziale e neutrale potrebbe integrare e sorreggere l’attività degli uffici (tecnici e amministrativi) della Regione. L’inserimento negli statuti regionali di un organo di consulenza giuridica non è vietato, ma occorrerebbe dotarlo di elementi esperti e soprattutto di totale affidabilità. Si potrebbe pure immaginare, nel quadro di future riforme, il coinvolgimento del Consiglio di Stato integrato magari da consiglieri delle Regioni interessate. Sono idee tutte meritevoli di approfondimento.
D. La funzione consultiva non contrasta con quella giurisdizionale?
R. Sono fermamente convinto del contrario. Anzitutto le Sezioni consultive e giurisdizionali sono separate e distinte nella loro composizione. Se, poi, taluno dei componenti della Sezione giurisdizionale abbia avuto occasioni di pronunciarsi in sede consultiva, è tenuto ad astenersi sulla controversia che viene poi radicata in sede giurisdizionale. Non va, inoltre, dimenticato quanto in precedenza sottolineato: la nostra non è una consulenza vera e propria. Si tratta, piuttosto, di un intervento asettico e terzo, rivolto a prevenire la consumazione di illegittimità.
D. Il Consiglio di Stato può essere soggetto ad influenze e pressioni?
R. È un’istituzione dalla storia gloriosa, che non ha abbassato la guardia neppure durante il ventennio fascista: in tale periodo ha saputo difendere strenuamente la legalità e la libertà. Quando, in seguito alle persecuzioni razziali del 1938, gli ebrei furono allontanati da tutti gli uffici pubblici, emise coraggiose pronunce a loro favore, impensabili in quei momenti. L’antica tradizione di indipendenza spiega molte delle fortune e dei consensi che ha sempre incontrato.
D. Che può dire della funzione giurisdizionale?
R. La funzione giurisdizionale é quella che impegna oggi la più parte delle nostre energie. L’attuale sistema di giustizia amministrativa si caratterizza - come ho detto - per la presenza di giudici di primo grado distribuiti su tutto il territorio nazionale con sede nel capoluogo di ogni Regione (talora con sede staccata anche in altre località). I giudici di primo grado (i tribunali amministrativi) hanno avuto il merito di offrire un contributo decisivo alla «effettività» della giustizia amministrativa avvicinando il giudice al territorio e, quindi, al cittadino. È sufficiente ricordare che, nell’anno 2003, i T.A.R. hanno deciso 112 mila ricorsi. Il Consiglio di Stato, che è giudice di appello di tali controversie, che godono, perciò, della garanzia del doppio grado di giurisdizione, ha deciso, nel 2003, 9.500 appelli.
D. Vi sono state delle novità nel campo della giurisdizione in questi ultimi anni?
R. Gli accadimenti più significativi si sono verificati soprattutto nel biennio che va dal 1998 al 2000. In virtù di una sentenza storica (poi consacrata a livello legislativo: la sentenza n. 500 della 1999 della Cassazione), e di talune incisive innovazioni apportate dalla disciplina (soprattutto la legge n. 205 del 2000), risulta messo a disposizione del cittadino un sistema di giustizia amministrativa che ha saputo fare un vero e proprio «salto di qualità». Debbo limitarmi solo a qualche accenno. L’interesse legittimo (la posizione soggettiva che il giudice amministrativo è chiamato a garantire per volontà costituzionale) può, oggi, conseguire dal giudice amministrativo riparazione anche per equivalente (e cioè nella via del risarcimento del danno): una regola che vale a collocare la nostra giurisdizione tra le più sensibili, a livello comunitario, nella tutela delle posizioni individuali. Costituiscono, inoltre, un sicuro progresso sul piano della tutela anche le nuove aree di giurisdizione esclusiva (servizi pubblici; risarcimento del danno dei diritti soggettivi lesi nella esplicazione del pubblico potere). Si consegue, infatti in tali casi - con sicuro vantaggio della celerità della tutela -, la concentrazione innanzi a un unico giudice di controversie in passato distribuite tra giudici diversi (giudice ordinario, giudice amministrativo).
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