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ALITALIA, UNA GRANDE COMPAGNIA COSTRETTA A VOLARE SU ALI DI CRISTALLO

Uno scorcio dell’aeroporto romano di Fiumicino

a cura di UBALDO PACELLA

 

La primavera non porterà nei cieli italiani solo il volo delle rondini, ma sempre più acute preoccupazioni per la sorte del tricolore sulle code degli aerei. Sono fragili le ali della «fenice», come venne ribattezzata la cordata CAI che nel 2008 rilevò il salvabile di quella che fu la gloriosa compagnia di bandiera italiana. Un salvataggio spericolato, indubbiamente molto oneroso per lo Stato, per i contribuenti, per i lavoratori che a migliaia sono finiti in una speciale, provvida, esosa per alcuni critici, cassa integrazione. Fu comunque una sfida temeraria sulla quale conviene tornare a riflettere in modo pacato, senza l’emotività degli annunci, le grida pilotate di chi, intorno alla prima compagnia aerea italiana e alle sue vicende, vuol comunque ricavare un dividendo, di quale sorta appare oggi francamente impossibile desumerlo. L’interesse che Alitalia evoca nell’opinione pubblica, tra i commentatori, i giornalisti, i politici, è pari a quello di un primo amore naufragato nel tradimento. Questo ritorno ciclico di interesse e passione per gli aerei italiani, d’altro canto, non trova riscontro in un’analoga preoccupazione per le sorti dell’intero sistema del trasporto aereo nazionale, con gli aeroporti investiti da una crisi minacciosa che impone decisioni rapide quanto drastiche, le altre compagnie aeree con lo spettro del fallimento e di veder confinati a terra gli aerei, l’occupazione vessata e tramortita. Ogni programma di sviluppo è avvolto dalle nebbie o, nel caso migliore come per AdR, è assai futuribile, ad alto rischio, comunque concepito sulla base di oneri aggiuntivi per i passeggeri e per le compagnie aeree.
Torniamo all’ennesima puntata del feuilleton Alitalia. La scadenza del primo lock-up sulle azioni, cioè il vincolo che consente agli attuali soci di vendere le proprie quote a soggetti non presenti nell’attuale compagine societaria purché ciò sia deliberato dagli altri azionisti, ha generato immediatamente un nutrito fuoco di fila di indiscrezioni, commenti, scenari, nella corsa affannosa a prevedere i destini degli aerei con il tricolore. Alcuni ne preconizzano il De profundis prima ancora di analizzare, in un quadro sinottico, alcuni dati fondamentali della compagnia all’interno di una più articolata situazione europea e internazionale; altri sembrano tifare per opzioni, alleanze, vendite che, per ora, fanno rumore solo sulle pagine dei giornali e nei notiziari, ma di cui non si trova uno straccio di riscontro nemmeno tra gli analisti delle banche d’affari, intenti a procacciarsi lavoro al servizio di aziende in cattive acque.
Cerchiamo di capire quale sia la situazione dell’Alitalia, costretta ad affrontare una pessima congiuntura economica capace di mettere piombo nelle ali dei più grandi colossi che controllano le rotte nei cieli. La dotazione di cassa della compagnia si è progressivamente assottigliata in questi ultimi 4 anni, le perdite hanno superato i 700 milioni di euro, resterebbero circa 300 milioni di euro, troppo pochi per affrontare un altro duro scorcio di crisi. È necessaria un’integrazione finanziaria, ma molti azionisti, i cosiddetti «patrioti», non vogliono sapere di deliberare un aumento di capitale. La soluzione trovata è quella di finanziare, da parte dei soci dell’Alitalia, un prestito ponte di 200 milioni di euro, estendibile sino a 350 milioni.
Ciò dovrebbe consentire alla compagnia di far fronte alla crisi di liquidità, superare l’impasse e raggiungere, con maggior respiro e fiducia, la stagione estiva, quella più ricca e determinante per i ricavi. Andrea Ragnetti, amministratore delegato alla guida della compagnia da circa un anno, non ha nascosto le difficoltà, tuttavia ostenta ottimismo, conferma le previsioni di budget e l’obiettivo di un pareggio operativo nel 2013, sulla scorta dei risultati del quarto trimestre del 2012, che sono migliori del passato e fanno pensare a una reale inversione di tendenza rispetto al primo semestre dello scorso anno. Non mancano, tuttavia, forti tensioni all’interno della variegata compagine azionaria che non ha mai brillato per unità di intenti e comune strategia. Sta qui probabilmente la causa vera della fragilità dell’Alitalia in un microcosmo raccogliticcio di azionisti chiamati nel 2008 da Silvio Berlusconi, allora neo-presidente del Consiglio, a tradurre in pratica gli annunci compiuti nella propria campagna elettorale di voler rivendicare ad ogni costo l’italianità della compagnia.
Capofila di una contestazione all’operato del presidente Roberto Colaninno e di Ragnetti sarebbe stato Salvatore Mancuso presidente del Fondo Equinox, a nome di un piccolo gruppo di soci. L’affondo è stato respinto, fanno trapelare alcuni interessati, a larga maggioranza, ma testimonia il livello di tensione, gli attriti, le rilevanti differenze che albergano nella compagine azionaria. Tutto ciò ha consigliato di escludere il ricorso a una nuova iniezione di capitale di 400 milioni di euro, come pure quello a un’emissione di obbligazioni a 12-18 mesi, eventualmente convertibili. Queste decisioni si sommano alla cessione del programma «Millemiglia», progettata da Ragnetti per garantirsi un’altra iniezione di capitali freschi.
L’operazione dovrebbe fruttare, a giudizio di consulenti specializzati, da un minimo di 250 a un massimo di 400 milioni di euro. Si tratta di una manovra consolidata, già messa in atto da altre compagnie come l’australiana Quantas e Air Canada, e in Europa da Air Berlin, per valorizzare il portafoglio clienti che per Alitalia conta su 56 partner e poco meno di 5 milioni di iscritti. Una scelta approvata in primo luogo dal comitato esecutivo nel quale siedono, oltre al presidente Colaninno e all’amministratore delegato Ragnetti, l’azionista di maggioranza Air France-Klm con il 25 per cento delle azioni, rappresentato dal proprio amministratore delegato Jean-Cyril Spinetta, dal primo azionista italiano Angelo Massimo Riva con il 10,6 per cento, dal direttore generale di Intesa Sanpaolo Gaetano Miccichè con l’8,9 per cento. Una scelta opportuna, ratificata dal comitato esecutivo senza opposizioni.
Presa d’infilata da queste turbolenze economiche, l’Alitalia continua a programmare la propria attività futura e il riassetto dei servizi, orientandosi verso mercati emergenti nei quali è cospicuo il flusso di manager o turisti italiani, su rotte ancora non prese d’assalto dalle compagnie low cost. Si spiegano così i nuovi collegamenti che via via entreranno in esercizio verso Abu Dhabi, Fortaleza, Tblisi, Yerevan, Praga, Copenaghen ed Ankara, e l’acquisto di slot, come ha scritto Pietro Romano sul «Mondo» per lo scalo di London City dedicato agli uomini d’affari. Non ci sono, insomma, solo preoccupazioni e debiti in vista per la compagnia italiana.
Accanto al rosso di bilancio di 173 milioni di euro per i primi 9 mesi del 2012, si registra un aumento dei ricavi del 4 per cento, un incremento dei posti occupati del 3,3 con un tasso complessivo del 71,1, una puntualità sull’intera rete dell’88,9 per cento risultati tra i migliori per il traffico aereo europeo . La congiuntura negativa da un lato ha fatto lievitare i debiti finanziari ad oltre 900 milioni di euro, con un ruolo determinante svolto dal prezzo del petrolio, dal valore del dollaro, dalla contrazione dei traffici; dall’altro ha notevolmente indebolito il piano della compagnia che non conteneva previsioni macro economiche così pessime.
A prescindere dalle manovre non ben definite di alcuni azionisti capaci di destabilizzarne gli assetti e i programmi oltre il prevedibile, le preoccupazioni per la solidità economica attuale dell’Alitalia oscurano quanto è stato fatto sinora, mettendo in ombra alcune caratteristiche come l’elevata produttività, il contenuto costo del lavoro, la flotta rinnovata e tra le più moderne d’Europa con 147 aerei operativi. La mancanza di adeguati investimenti soprattutto nella flotta di lungo raggio, più remunerativa, la costringe a un’estrema fragilità. Gli esperti valutano in almeno 500 gli aerei necessari per essere oggi competitivi su scala internazionale, e questo spinge a ulteriori fusioni e integrazioni quando una tempesta scuote il sistema con il fallimento di una decina di compagnie aeree nel 2012 e un numero maggiore in cerca di acquirenti che non si trovano.
L’immissione degli ultimi aerei ha portato l’età media dei velivoli a 6,5 anni, standard che assicura efficienza dei servizi e gradimento della clientela. La qualità e l’affidabilità del lavoro, hanno raggiunto standard di competitività a livelli europei, per non parlare del rapporto con il costo del lavoro stesso. Ciò ha comportato uno sforzo senza precedenti di tutti gli addetti, da piloti e assistenti di volo ad ogni singolo dipendente. Gli accordi di flessibilità raggiunti nelle ultime settimane sembrano arginato un’ulteriore emorragia di lavoratori che avrebbe messo a rischio i piani dell’Alitalia.
Dal gennaio 2009 il numero dei dipendenti è risalito a 14.720 di cui circa 12.900 a tempo indeterminato. Migliorato anche il servizio riconsegna dei bagagli, mentre nel 2013 dovrebbero tornare i pasti a bordo sui voli a medio raggio e migliorare i servizi a terra, per tipo di clientela. Miglioramenti che non hanno riscontro nei mass media, ma asseverati da esperti che tracciano profili meno sbilanciati dell’Alitalia, soprattutto in chiave futura. Malgrado tutto, le prime necessità per l’equilibrio del trasporto aereo in Italia sono il rilancio della compagnia, una sua continua crescita nel mercato, un’accentuata competitività qualunque sia la futura compagine azionaria e le inevitabili alleanze o fusioni cui dovesse andare incontro.
Il tema cruciale è garantire al Paese una crescente accessibilità, collegamenti diretti efficienti, costi competitivi, garanzie occupazionali, investimenti, modernizzazione. Sono gli aspetti sui quali si dovranno giudicare le alleanze dell’Alitalia, non le convenienze dell’uno o dell’altro socio e dei possibili partner internazionali Air France-Klm o altre compagnie. Debbono essere determinanti gli accordi strategici, non i concambi azionari nei quali l’Italia difficilmente ha trovato duraturi vantaggi.
Oltreché per l’intero sistema del trasporto aereo nazionale, il valore dell’Alitalia per il Paese non può essere trascurato. Ogni decisione dovrà tenerne conto perché i flussi di traffico nei cieli sono vitali per l’economia italiana, determinanti per la ripresa economica. Il valore di mercato della compagnia è molto più elevato di quanto ritengono commentatori che sembrano scommettere sul peggio. Negli ultimi anni risultati peggiori dell’Alitalia sono stati registrati dalle maggiori compagnie europee; nessun azionista ha pensato di uscire dall’Air France-Klm, Lufthansa, British Airways.
Questo evidenzia l’anomalia italiana di una cordata di imprenditori sui generis, raccogliticcia e poco convinta, alcuni dei quali non vedono l’ora di liberarsi di questo fardello, trascurando ogni prospettiva di redditività a medio termine. Quella prospettiva valutata da analisti per i quali il valore della compagnia va oltre i calcoli ragionieristici, perché sono convinti che l’attuale struttura, assistita da investimenti mirati, potrebbe ottenere buoni risultati appena si riavvierà l’economia mondiale ed europea. Non si tratta di rimanere indipendenti, ma di rafforzare le alleanze in un quadro di opportunità.
 Senza una stabile, consistente partecipazione italiana nell’azionariato la compagnia rischia un pesante ridimensionamento con riduzione di rotte, esubero di personale, negative conseguenze nei sistemi aeroportuali, un’ancora più accentuata marginalità dell’Italia nelle rotte intercontinentali e nelle direttrici dei grandi flussi di traffico.
L’Alitalia deve modificare progressivamente la propria struttura in modo da incidere con maggiore efficacia sul mercato nazionale ed internazionale. Si inquadra in questa prospettiva la cessione di alcuni slot nella ricca rotta Roma-Milano in favore dell’EasyJet resa esecutiva da una recente sentenza del Consiglio di Stato che ha posto fine al monopolio dell’Alitalia. La concorrenza dei treni ad alta velocità sarà sempre più aggressiva e vincente. Un successo che stupisce solo i commentatori meno attenti. La qualità dei treni italiani sulle nuove linee è ottima, la concorrenza ha rappresentato uno stimolo positivo, un miglioramento significativo dei servizi, una riduzione di costi che hanno attratto più viaggiatori.
Appare ovvio quanto accadrà all’arrivo della ripresa: quote crescenti di clientela sceglieranno il treno. Senza contare che il completamento dei nodi di Bologna previsto entro l’anno, di Firenze per i quali i tempi sono più lunghi, di Roma Tiburtina, diminuiranno ulteriormente i tempi di percorrenza e consentiranno di aumentare la frequenza dei treni. La Roma-Milano non è più per Alitalia la gallina dalle uova d’oro del passato, tanto che dal 2009 le tariffe del biglietto aereo sono diminuite del 15 per cento e i miglioramenti offerti ai passeggeri sono costati almeno 30 milioni di euro.
Archiviare in fretta questo modello e orientarsi meglio sul mercato rappresenta una nuova opportunità alla quale i vertici della compagnia avranno pensato. Concentrarsi sul mercato interno per coprirlo in modo più adeguato costituisce la premessa per un salto di qualità nelle rotte internazionali e nei collegamenti diretti intercontinentali tra le maggiori città italiane e quelle più attrattive nel mondo. Una collaborazione integrata con le ferrovie potrebbe offrire insospettabili vantaggi per la clientela e positive ricadute sulla mobilità.
La prospettiva di medio periodo resta quella di una fusione concordata e ben regolata negli obiettivi e nelle garanzie di lungo termine. Solo così l’Europa potrà sostenere la concorrenza dei giganti dei cieli. Cinesi, americani, arabi, orientali pensano a compagnie con 600-800 aerei, la Ryanair ne conta oltre 230 per le sole rotte europee, l’Alitalia con i suoi 150 non può andare lontana da sola.
Ha superato molte delle storture che decretarono la fine della vecchia, logora, lottizzata società. Nuovo contratto di lavoro, livelli operativi efficienti, attenzione al cliente crescente nel tempo, scelte di mercato scevre da ragioni esterne, non dettate da una politica distorta che ha contribuito in modo determinante al disastro. Gran parte dei problemi deriva tuttavia proprio da come è stata costituita la cordata dei «Patrioti»: voler mettere affannosamente insieme industriali diversi, in molti casi riottosi o rinunciatari in una crisi economica già in atto ha determinato l’attuale fragilità, perché molti di loro non hanno puntato che a disfarsi del pacchetto azionario alla prima occasione, mentre occorrono pazienza, investimenti, solidi indirizzi per ottenere risultati il cui primo nemico è la fretta di realizzare senza aver prima costruito un’impresa affidabile.
Il salvataggio dell’Alitalia con la costituzione della cordata CAI guidata da Roberto Colaninno e Rocco Sabelli nell’autunno del 2008 è stato un’impresa tanto temeraria quanto necessaria. Il fuoco di fila delle critiche non è mai cessato, con molte ragioni condivisibili ma senza una serena valutazione delle conseguenze che la cessione della compagnia a una riottosa Air France-Klm avrebbe prodotto non solo sui lavoratori ma sugli assetti generali del trasporto aereo in Italia.
Autorevolmente sulle colonne del Corriere della Sera Antonella Baccaro ha calcolato che il costo di tutta l’operazione è stimabile per lo Stato in 3,245 miliardi di euro. L’analisi, compiuta con rigore, acume e conoscenza di prima mano, non traccia lo scenario ipotetico determinato dalla cessione definitiva della compagnia ai franco-olandesi.
Bisogna tornare a quei mesi incandescenti: fallita miseramente una privatizzazione sul mercato condotta con un’approssimazione e un’incompetenza rara, che espose l’Italia al ridicolo di offerte avanzate persino da un oscuro professore di provincia, preso atto che oltre al fallimento dell’Alitalia era alle porte anche quello dell’AirOne di Carlo Toto, il Governo dimissionario di Romano Prodi e dell’allora ministro del Tesoro Tommaso Padoa Schioppa, quale azionista di controllo intavolò trattative per la definitiva cessione della compagnia all’AirFrance-Klm previo il raggiungimento di un accordo sindacale. Questo ovviamente non ci fu sia per le condizioni estremamente onerose poste dai franco-olandesi, sia perché un tema tanto delicato fu gettato in pasto alla campagna elettorale e vide formarsi immediatamente due schieramenti contrapposti.
Il ministro del Tesoro ancora in carica, azionista di controllo, avrebbe comunque potuto concludere l’operazione assumendone la responsabilità, ma non volle farlo con lo schermo dell’opposizione sindacale. AirFrance-Klm in realtà non volle nemmeno affrontare un negoziato con il mondo del lavoro, si limitò a gettare sul tavolo il proprio piano e, di fronte alle richieste dei leader sindacali, in sole 24 ore abbandonò l’incontro senza aver modificato in nulla le proprie posizioni iniziali, con un’intransigenza sospetta.
Scartata ogni ipotesi di nazionalizzazione, osteggiata duramente dal nuovo ministro Giulio Tremonti e dalla Lega Nord, evaporata una misteriosa cordata che annoverava l’ex presidente della Consulta Antonio Baldassarre e Giancarlo Elia Valori, imputati in un processo per aggiotaggio proprio per quella vicenda, non restava che mettere insieme un gruppo di azionisti italiani. Il progetto fu affidato alla Banca Intesa San Paolo che coinvolse AirOne indebitatissima con lo stesso istituto di credito.
Molti industriali risposero alla chiamata di Silvio Berlusconi ancora una volta sulla cresta dell’onda; tra questi oltre ad Emilio Riva, la stessa Banca Intesa, Francesco Bellavista Caltagirone, Marco Tronchetti Provera, concessionari pubblici come Gavio e Atlantia che, oltre ad Autostrade, controlla anche la società Aeroporti di Roma, cui si affiancheranno numerosi altri esponenti del mondo industriale e, forse non inaspettatamente, l’AirFrance-Klm con il 25 per cento, cioè con il pacchetto azionario più cospicuo.
La CAI di Colaninno e Sabelli partì da zero, con un capitale fresco superiore al miliardo di euro, mentre la vecchia Alitalia, trasformata in una bad company, fu affidata alle cure di un commissario liquidatore come l’ex ministro Augusto Fantozzi. Cancellate le follie tollerate per anni, come quella di avere a libro paga oltre cento piloti per soli cinque aerei cargo, e posti in cassa integrazione con speciali garanzie oltre 7 mila lavoratori, la nuova compagnia prese il volo per risorgere dalle ceneri di un fallimento con troppi padri, per il quale la Corte dei Conti si appresta a chiedere un risarcimento per danni causato all’Erario tra il 2001 e il 2007 di ben tre miliardi di euro a carico di 17 tra amministratori delegati, presidenti, consiglieri e dirigenti dell’Alitalia.
Questi i fatti, precisi i costi, ma siamo sicuri che gli italiani non ci avrebbero rimesso di più vendendo subito Alitalia all’AirFrance-Klm alle loro condizioni? Non c’è affatto la certezza, conoscendo a fondo il piano proposto nel 2008 e vedendo cosa è accaduto in questi anni al trasporto aereo europeo e alla stessa AirFrance-Klm. Proprio nel mezzo della trattativa scoppiò la crisi, il prezzo del petrolio salì bruscamente e l’Alitalia non coperta da futures, doveva far fronte alle oscillazioni del mercato. Nel giro di qualche mese i lavoratori posti in cassa integrazione sarebbero stati molti di più, la flotta sarebbe rimasta obsoleta, le rotte più appetibili avrebbero preso destinazione Parigi e Amsterdam, di investimenti nemmeno l’ombra, di mantenimento dell’occupazione inutile parlare, molti effetti della crisi in Francia sarebbero rimbalzati con tutta evidenza nel mercato italiano e noi ne avremmo dovuto pagare oneri diretti e indotti. Qualche ricercatore ha ipotizzato che questa soluzione sarebbe costata non 3,2 miliardi di euro, ma oltre i 4,5 miliardi.
Oggi, nonostante le preoccupazioni, sull’Alitalia bisogna ancora scommettere, definire una condotta chiara che tuteli il Paese, dia garanzie al trasporto aereo nazionale, non ceda una compagnia che ha mercato per fare cassa in un momento difficile consentendo agli acquirenti di assicurarsi posizioni di estremo vantaggio in futuro. Occorrono azionisti dai nervi saldi, con piani ambiziosi quanto solidi e coerenti, un Governo che faccia sentire la propria voce non per «moral suasion» ma come tutela dei legittimi interessi futuri dell’Italia.
L’Alitalia non è irrilevante nel riassetto degli aeroporti, nei disegni del sistema integrato della mobilità, nel rilancio delle imprese, del turismo e dei commerci. Il piano degli aeroporti, appena definito dal ministro Corrado Passera, è un tassello per il futuro del settore; lo sviluppo di Fiumicino con gli investimenti programmati, di fronte al già operativo aumento di tasse aeroportuali, potrebbe influire sulla vicenda considerando che Atlantia ne è azionista. Ma questa è una storia sulla quale si dovrà tornare prossimamente con spirito di critica e di equità spesso dimenticato.  

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