ANALISI DELLA RICCHEZZA DEGLI ITALIANI
La ricchezza finanziaria degli italiani è circa 4,2 trilioni di euro: cinque volte il PIL e il doppio del debito pubblico. Ad essa va aggiunta quella reale (immobili ecc.) di altri quattro triliardi di euro. Una distribuzione della ricchezza che negli anni è cambiata sia come risparmiatori/investitori, sia come collocamento/allocazione.
La crisi decennale ha ridotto a meno del 50% le famiglie che possono risparmiare e spesso il risparmio è legato alla riduzione di altre spese: è diminuita la possibilità di gestire il bilancio familiare o, quantomeno, sono necessarie scelte.
Ciò deve far riflettere sul fatto se si tratta di una reale possibilità di risparmio o di fatto un risparmio forzoso, solo per paura del futuro, come può dimostrare l’aumento della propensione al risparmio anche in presenza di redditi sostanzialmente stabili.
Gli italiani hanno, anche, perso fiducia quando devono investire. Le varie batoste subite dagli inizi del secolo li hanno segnati, tanto da far loro detenere una grande quantità del risparmio liquido, in attesa di ciò che avverrà e di maggiore sicurezza.
I risparmiatori, allo stesso tempo, non sono più i classici BOTpeople, perché la paura si è sommata ai bassi tassi di interesse per cui una parte del risparmio è stata dirottata sul risparmio gestito ma ben poco sulla previdenza integrativa e molto, come detto, è rimasto nei conti correnti (1,4 trilioni di euro, un terzo del totale) nonostante il rendimento neutro se non negativo.
Se si passa dalla ricchezza finanziaria a quella reale i risultati non sono molto diversi. Il valore degli immobili si è ridotto e la piccola ripresa vissuta negli ultimi anni non ha fatto ancora recuperare i valori ante-crisi; valori peraltro falcidiati da una fiscalità che con l’ultima legge di bilancio potrebbe anche aumentare a livello locale.
Tutto ciò è grave.
Soffermandoci solo al risparmio previdenziale, il risparmiatore non sembra tenere conto che la pensione, come storicamente conosciuta e percepita, non ci sarà più e non si tratta solo del passaggio dal sistema retributivo a quello contributivo, giusto e sostanzialmente condiviso, ma del mancato adeguamento delle pensioni, della riduzione dell’emolumento per chi riesce ad andare in quiescenza qualche anno prima, dell’allungamento della vita media e di vari altri fattori. Dall’altro lato, rimanendo in tema di risparmio previdenziale, per i fondi pensioni il mancato sviluppo è altrettanto grave in quanto, a differenza dei paesi più avanzati, per la carenza di consistenti volumi non riescono a partecipare allo sviluppo del Paese con investimenti di lungo periodo.
Lo stesso discorso si può ampliare ai risparmi investiti per l’istruzione dei figli e al risparmio assicurativo che pone l’Italia negli ultimi posti.
In tema assicurativo si aggiungono infine le coperture sanitarie, che alcuni pongono come tema diverso e separato dal risparmio ma, considerato che pur in questo caso non si può più pensare a un sistema come quello passato, accantonare qualche euro per assicurarsi una copertura sanitaria maggiore significa non dovere, al bisogno, utilizzare i risparmi accantonati.
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