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I NUOVI AVVOLTOI SONO I MEDIA: DAL POZZO DI ALFREDINO ALL’OMICIDIO SCAZZI, LA DIRETTA DELLA MORTE È UTILE ALL’AUDIENCE

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Sightseeing dell’orrore e pullman per Cogne ed Avetrana, i selfie sui luoghi del delitto, la mitizzazione dell’assassino. Non solo complici, bensì mandanti di tale fenomeno i media, che violando il codice deontologico e l’etica spettacolarizzano la morte

Negli ultimi anni ci siamo trovati di fronte a una escalation di violenza e delitti efferati senza precedenti. Da Erika e Omar all’omicidio del piccolo Samuele a Cogne, fino all’orrore di Avetrana con l’uccisione di Sarah Scazzi o al caso di Yara Gambirasio. Questo fenomeno rappresenta una vera e propria costante nella vita sociale italiana. Per averne riprova basti pensare ai killer e occultatori di cadaveri di inizio secolo, al mostro di Firenze o più di recente al delitto di via Carlo Poma, con l’omicidio di Simonetta Cesaroni. In tutto questo, la stampa e l’informazione che ruolo hanno? Perché il pubblico è attratto da un certo tipo di notizie rispetto ad un altro?
È innegabile che la cronaca nera detti la nostra agenda dell’informazione quotidiana, proponendoci sempre gli stessi argomenti confezionati abilmente, tutti secondo lo stesso canovaccio. Sempre più spesso accade che i fatti vengano sostituiti dal racconto inventato o artefatto di quanto realmente accaduto, per creare sempre più audience attorno all’evento. Emerge l’idea di un Paese perennemente diviso tra innocentisti e colpevolisti, una sorta di stadio, di fronte alle tragedie più tremende. La «nera» si è trasformata da racconto obiettivo di un delitto a un vero e proprio circo mediatico, in cui le logiche da talk-show e da reality prevalgono, dando voce a chiunque.
La vicenda relativa al delitto di Avetrana, caso avvenuto il 26 agosto 2010 in piccolo paesino vicino Taranto a danno della quindicenne Sarah Scazzi, ha avuto un grande rilievo mediatico in Italia, culminato nell’annuncio del ritrovamento del cadavere della vittima in diretta sul programma Rai «Chi l’ha visto?», mentre era in collegamento la madre di Sarah, che ivi e in tale forma apprese della morte della figlia.
Nel pomeriggio del 26 agosto si originò quello che in poco tempo è entrato nell’immaginario degli italiani come il «giallo di Avetrana». La misteriosa scomparsa di Sarah culminò tristemente nel ritrovamento del corpo senza vita, avvenuto nella notte tra il 6 e il 7 ottobre 2010, all’interno di un pozzo cisterna situato nelle campagne del paese. A guidare gli inquirenti fu lo zio di Sarah, Michele Misseri, che inizialmente si addossò le colpe per l’omicidio, aggiungendo di aver abusato sessualmente del cadavere della ragazza, poi ritrattando e dando molteplici versioni.
Anche questa vicenda ebbe fin da subito un impatto mediatico fortissimo che si concentrò da subito sulla vita privata della ragazza e sulle sue abitudini. Vennero praticamente analizzati il suo diario segreto e il suo profilo Facebook, con l’intento dichiarato di ricercare possibili motivi che l’avrebbero potuta spingere ad allontanarsi da casa. I media non tardarono molto a dipingerla come un’adolescente inquieta, che frequentava ragazzi più grandi di lei, capace di fuggire da una madre che veniva descritta come un motivo di oppressione per la figlia, altresì capace di progettare la propria scomparsa per diventare famosa e per poter finalmente fuggire da un paesino dove si annoiava. Tuttavia la famiglia respingeva questa ipotesi sostenendo quella del rapimento, nonostante le sue modeste condizioni economiche lo facessero apparire quantomeno improbabile. Le ricerche andarono avanti per tutto il mese di settembre, con l’interesse mediatico che cresceva giorno dopo giorno e i familiari che si presentavano spesso in tv, soprattutto la cugina Sabrina, lanciando appelli per il ritorno di Sarah a casa. Il 29 settembre lo zio Michele Misseri annunciò di aver ritrovato il cellulare di Sarah in un campo vicino alla sua abitazione, episodio che alimentò i primi sospetti nei suoi riguardi. Il 6 ottobre, dopo un interrogatorio di circa nove ore, confessò di aver ucciso la nipote, indicando alle forze dell’ordine dove avrebbero trovato il cadavere. Ciò avvenne durante la diretta Rai di «Chi l’ha visto?».
Tuttavia il movente di Misseri non convinceva gli inquirenti che capirono velocemente come nella vicenda ci fossero implicati anche altri. Il 16 ottobre, dopo un lungo interrogatorio, venne arrestata la cugina di Sarah, Sabrina Misseri. Le due ragazze avrebbero avuto una discussione per un ragazzo, che fu motivo di lunghi approfondimenti di cronaca e di interi dibattiti televisivi. Poco dopo, Misseri venne scagionato dall’omicidio e ritenuto colpevole di «omissione di cadavere», mentre la moglie Cosima Serrano fu accusata insieme alla figlia di aver ucciso Sarah. Il 20 aprile 2013 la Corte d’Assise di Taranto condannò all’ergastolo Sabrina e Cosima per l’omicidio. Misseri ottenne una condanna ad una pena di otto anni per concorso in soppressione di cadavere, come un fratello e il nipote dello stesso. lI 21 febbraio 2017 la Corte suprema di cassazione ha definitivamente riconosciuto colpevoli e condannato all’ergastolo per concorso in omicidio volontario aggravato dalla premeditazione Sabrina Misseri e Cosima Serrano, confermando la condanna già inflitta in primo grado e in appello. A Misseri condanna confermata per soppressione di cadavere e inquinamento delle prove (il furto del cellulare di Sarah). Condannato in via definitiva a 4 anni e 11 mesi di reclusione per concorso in occultamento di cadavere con lui anche suo fratello Carmine Misseri. Confermata, infine, dalla Cassazione la condanna ad un anno e quattro mesi per favoreggiamento personale per Vito Russo Jr., ex legale di Sabrina, e Giuseppe Nigro.
La tragica vicenda di Sarah ha inserito il paesino nel circuito del «sightseeing»: il cosiddetto «turismo dell’orrore» si è trasferito da Cogne ad Avetrana. A poco è servito il provvedimento del sindaco, Mario De Marco, che ha indetto la chiusura al traffico delle strade che portano a casa dei Misseri e all’abitazione della famiglia Scazzi. Il provvedimento è stato preso a seguito delle voci che parlavano di un possibile arrivo di pullman per visitare il luogo delle scene dell’orrore, e di agenzie che organizzavano pellegrinaggi per Avetrana. Nelle bacheche di molte di queste agenzie è stato affisso l’itinerario per Avetrana, «giusto per vedere un po’». Parecchie persone, come in un pellegrinaggio, si fermano davanti casa Scazzi a lasciare un fiore o un bigliettino di solidarietà nei confronti della famiglia. In tanti passano per salutare la piccola al cimitero ma altrettante arrivano per farsi fotografare o riprendere davanti al cancello dove quel tragico giorno alla piccola Sarah è stata tolta la vita, o per sbirciare in quella casa avvolta nel mistero. Molti cittadini di Avetrana sono stanchi di queste processioni e sono soprattutto stanchi di essere ricordati solo per questo episodio.
Ad essere responsabili del fenomeno sono i media, che hanno prodotto moltissima attenzione intorno al fatto creando ogni giorno nuovi scoop, suscitando curiosità nelle persone fino ad arrivare al pellegrinaggio dell’orrore. Pudore, dignità e rispetto sono valori che in questa circostanza sono stati dimenticati e calpestati del tutto. La storia della televisione italiana e soprattutto quella del racconto della cronaca nera dovranno inevitabilmente fare i conti con tutto questo, a partire da quel 12 giugno del 1981, con quanto accaduto a Vermicino con la vicenda del «pozzo di Alfredino», il dramma di Alfredino Rampi, il bimbo caduto in un pozzo. In quella contrada alle porte di Roma qualcosa si spezza per sempre, la morte si spettacolarizza e da allora tutti i canali televisivi del mondo vedranno alimentarsi un filo diretto con l’orrore della cronaca nera.
Il dolore diviene uno show e la sofferenza un lievito madre per gli ascolti televisivi, tutto ciò a causa di alcuni errori fortuiti che hanno messo in luce il fallimento della comunità mediatica e l’attrazione di molti per il dolore di pochi. Perché, a partire da quel momento, nessuno è più riuscito a staccare la spina della telecamera che trasmetteva il dolore privato? E pensare che tutto è partito da un pulmino di Rai3 recatosi sul luogo della tragedia, come avvenuto molte altre volte in passato ma con un esito ben differente: in pochi giorni quel paesino alle porte di Roma è stato assalito da fotoreporter e operatori televisivi in cerca di informazioni.
È sufficiente analizzare il modello sobrio e distaccato della cronaca nera precedente a quell’avvenimento per capire quanto la tragedia di Vermicino abbia segnato uno spartiacque indelebile. Anche se il cambio di passo fu casuale e figlio della volontà di consegnare al nostro Paese un lieto finale che purtroppo non è mai stato scritto, resta il fatto che qualcosa è cambiato per sempre. La diretta televisiva si era aperta con la notizia che l’ospedale San Giovanni era già stato allertato per l’arrivo di Alfredino, segno che in un primo momento si pensava ad una storia diversa da raccontare e nessuno voleva perdersi il momento magico del bambino che avrebbe dovuto fare capolino fuori dal pozzo. Quando tutti iniziarono a capire che c’era qualcosa che non andava nel verso sperato, ormai era troppo tardi per arrestare la macchina mediatica esposta sulla pubblica piazza.
La tv entra nella vita delle persone in quello scrigno che è l’esistenza individuale, con le sofferenze, i suoi misteri. Comincia quella notte una dinamica che porterà ai weekend ad Avetrana o nei luoghi degli assassini portati alla luce dai media. Cambia la definizione stessa del problema, non si discute più dell’evidente possibilità dei media di creare spettacolo attraverso il dolore ma del perché questo accada e di come gestire la marea di emozioni in grado di scatenare. Per quanto riguarda il caso di Avetrana, non appena successo l’accaduto, giornali, telegiornali e trasmissioni di intrattenimento a qualsiasi ora del giorno e della notte non hanno fatto che parlarne; e Sarah è scivolata nell’ombra. I riflettori che mamma Concetta aveva fatto puntare sulla sua scomparsa, tutti rivolti sull’assassino. Il mezzo che nelle intenzioni della donna avrebbe dovuto contribuire al ritrovamento di sua figlia si è in realtà servito della vicenda per raggiungere il proprio scopo: aumentare l’audience.
I mass media si sono scagliati contro i protagonisti di questa drammatica vicenda senza freni né rispetto. Dirette televisive, interviste, pareri di esperti ma anche di opinionisti conosciuti e non. La vittima è stata tirata in ballo qua e là per «completare il quadro», ma tutta l’attenzione si è spostata verso la famiglia Misseri. Diverse trasmissioni hanno invitato Sabrina, le stesse che un attimo dopo il suo fermo si sono scatenate con supposizioni, riflessioni e servizi in cui la ragazza era paragonata ad Anna Maria Franzoni per l’esagerata quantità di lacrime versate. Effetto immediato di questo bombardamento mediatico sono state le minacce e le telefonate anonime a casa Misseri.
Questo è uno dei risultati del modo scorretto di fare comunicazione, che alimenta pericolosi appetiti e conduce ad una inesatta percezione della realtà che appare agli occhi dei più, tale e quale a come i mass media la presentano. L’attenzione diventata morbosa, le immagini del corpo di Sarah su Facebook lo confermano: il dolore è spettacolarizzato e il limite tra ciò che è privato, e che deve rimanere tale, e ciò che è pubblico viene arbitrariamente superato in nome del «dovere di cronaca». Entrare nella casa altrui attraverso modellini in plastica appositamente realizzati per l’occasione, scavare nella vita della gente già provata da una vicenda assurda e inaccettabile è soltanto sciacallaggio, non dovere di cronaca.
Porre scarsa attenzione alla condizione sociale e psicologica dei soggetti privilegiando la dimensione ideologica e l’aspetto pratico del reato (scena del crimine, tempi e movente) è fornire un’immagine distorta e superficiale della realtà che autorizza tutti a giudicare e condannare, che alimenta pregiudizi e genera atteggiamenti pericolosi. I salotti televisivi si trasformano in corti supreme, vengono trasmessi gli atti, la gente si emoziona, si indigna e si sente parte del «reality show». Ma la realtà è altra, simile ma altra, e non vuole audience.   

Tags: Dicembre 2017

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