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L’inquinamento ambientale è uno dei temi più drammatici e incalzanti dei tempi moderni

Maurizio De Tilla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

(...) Segue dal numero di Specchio Economico di dicembre 2016

Una delle principali attività «manifatturiere» dell’Italia, grazie alla globalizzazione del commercio e, in particolare, al trasporto su gomma (TIR) internazionale, pare sia proprio la gestione e il riciclo del materiale industriale proveniente un po’ da tutta Europa, e non solo. Questo materiale non si chiama «rifiuto», ma «merce» e non è assoggettato alla responsabilità e alle leggi che normano la produzione e lo smaltimento del rifiuto urbano, ma in quanto «merce» è assoggettato a norme di gestione, ancora esclusivamente cartacee, e a responsabilità esclusivamente private con libera circolazione in tutta Italia come in tutta Europa. Occorre, ovviamente, rispettare anche rigide norme di sicurezza per la circolazione e occorre disporre e documentare ovviamente dei «codici di accompagnamento e identificazione», detti CER di questo materiale, codici vidimati da competenti autorità pubbliche, come la carta di identità per i cittadini.
Sono ormai venti anni che i rapporti annuali di Legambiente, redatti sui report delle forze dell’ordine, segnalano che una consistente quota di rifiuti speciali industriali, non meno di 30 milioni di tonnellate l’anno, una cifra quindi molto simile alla produzione annuale italiana di tutti i rifiuti urbani, perde la tracciabilità dal luogo di produzione al luogo e ai siti di smaltimento. Di questa cifra, circa 1 milione di tonnellate l’anno sono rifiuti tossici particolarmente pericolosi non solo per l’ambiente, ma soprattutto per la salute umana se smaltiti in modo incongruo o illegale. Per tutti, basti pensare ai rifiuti speciali industriali contenenti amianto, come ai fanghi contenenti metalli pesanti particolarmente tossici come mercurio, cadmio, alluminio, ecc. comunemente utilizzati a vari scopi nell’industria pesante e molto costosi da smaltire legalmente in impianti e discariche idonee e a norma. Questa proliferazione di rifiuti, esclusivamente industriali, è la causa e la patogenesi del danno alla salute che si registra ormai da anni nella popolazione di numerose zone del Paese, specie nel Sud. Ma non solo.
Nel volume Ecomafia 2014 si è evidenziato che senza una lotta efficace contro le varie forme di criminalità ambientale non ci potrà mai essere nessuna svolta «green» dell’Italia, né il rilancio della nostra economia sotto il segno dell’efficienza, dell’innovazione e della sostenibilità. Lo confermano chiaramente i casi delle infiltrazioni criminali nel settore della produzione di energia da fonti rinnovabili, soprattutto eolico, che ha scontato per lungo tempo l’assenza di una chiara strategia nazionale e di un’adeguata comprensione e repressione dei fenomeni criminali. Per dirla in sintesi, il problema sono le mafie che infestano il nostro Paese, non le energie pulite. Vi è un deciso incremento dei reati accertati dalle Capitanerie di Porto, ben 11.139, seguite dal Corpo Forestale dello Stato, 10.201, dalla Guardia di Finanza, 2.061, dai Corpi Forestali delle Regioni a statuto speciale, 2.625, dalle 30 Polizie provinciali che hanno risposto all’appello per la raccolta dei dati, a quota 1.964; dai Carabinieri del Comando Tutela Ambiente, 1.219, e dalla Polizia di Stato, 65. Da rimarcare anche il costante lavoro svolto dall’Agenzia delle Dogane che con le sue articolazioni territoriali si è caratterizzata in particolare per il contrasto ai traffici internazionali di rifiuti, prodotti agroalimentari contraffatti e opere d’arte. Così come va pure sottolineata l’attività repressiva svolta lungo le complesse filiere dell’agroalimentare, grazie al contributo dei carabinieri per la Tutela della salute (Nas) e delle Politiche agricole e alimentari, del Corpo Forestale dello Stato e della Finanza.
Analizzando nel dettaglio i numeri complessivi dell’illegalità ambientale accertata nel 2013, a fronte di un lieve e generalizzato calo del numero di infrazioni, il segno più lo hanno registrato nell’ultimo anno sia il settore agroalimentare, che ha visto un’impennata dei reati accertati, 9.540, più del doppio rispetto all’anno prima, sia il ciclo dei rifiuti (5.025, +14,3 per cento rispetto al 2012) e dell’illegalità commessa ai danni della fauna (8.504 reati, + 6,6 per cento).
Nelle quattro Regioni a tradizionale insediamento mafioso (Campania, Puglia, Calabria e Sicilia) sono stati commessi quasi il 47 per cento degli ecocrimini (ancora in crescita rispetto al 2012, quando era del 45,7 per cento), a sottolineare il ruolo tutt’altro che marginale delle famiglie mafiose nel controllo del territorio. Anche l’agricoltura nel nostro Paese è fortemente condizionata dalla presenza della criminalità organizzata, le cosiddette «agromafie», che finiscono spesso per condizionare e in diversi territori controllare direttamente l’intera filiera: dal raccolto agricolo, allo smistamento nei grandi mercati ortofrutticoli, alla vendita sui banchi dei supermercati. Nella ricerca delle responsabilità del «disastro ambientale», Aldo Cimmino, nel capitolo «I nuovi delitti contro l’ambiente», fa rilevare che se è vero che la Costituzione, all’art. 41, salvaguarda la libertà di impresa, è altrettanto vero che limita quella libertà con il divieto di contrastare l’utilità sociale e di arrecare danno alla sicurezza, alla libertà e alla dignità umana.
E ciò è accaduto, per fare un esempio, con la vicenda inerente gli stabilimenti dell’Ilva di Taranto, allorquando la scure della Corte costituzionale si è abbattuta sui rilievi di incostituzionalità che erano stati sollevati dal Tribunale di Taranto, e in particolare con riferimento a quella norma che mira ad escludere l’esecutività dei provvedimenti di sequestro, presenti o futuri, quando incidano sull’attività produttiva di uno stabilimento, ritenuto di interesse strategico nazionale, se questa sia stata autorizzata dal Governo.
Norma che il giudice delle leggi non ha ritenuto in contrasto con la Costituzione, ma che è pur sempre il risultato di una schizofrenia del legislatore che, se da un lato lascia maturare fenomeni sociali, del tipo di quelli che stiamo trattando, dall’altro - in modo improvviso e con impeto legislativo - opera scelte normative e politico criminali d’emergenza, non sempre in linea con i principi fondamentali dell’Ordinamento e, dunque, sostanzialmente inefficaci per la tutela dei diritti costituzionalmente garantiti. Del resto, non è la prima volta che il legislatore, allo scopo di affrontare situazioni di particolare allarme sociale e di peculiare gravità, ha approntato discipline «emergenziali» che difficilmente hanno raggiunto l’obiettivo dichiarato dalla norma.
Corollario di tale impostazione è il processo di «normalizzazione» del disastro ambientale che sfocia nella logica del rischio consentito, cioè legittimato da esigenze di carattere economico e produttivo, nonché da quelle occupazionali. Il volume tratta l’inquinamento ambientale anche sotto ulteriori profili con gli scritti di Luigi Montano, «Ecofoodfertility. Un nuovo modello per la valutazione dell’impatto ambientale e per la prevenzione primaria nelle aree a rischio» e di Livia Malorni e Maria Grazia Volpe «Inquinamento ambientale e sicurezza agroalimentare».
Luigi Montano, con dati e apposite tabelle, ha illustrato il progetto di ricerca «Ecofoodfertility». In un’ottica di prevenzione primaria, la ricerca tende a superare l’impostazione metodologica dell’analisi del rischio su base epidemiologica introducendo, invece, un approccio integrato e diretto di valutazione del rischio «biologico», per identificare segni precoci di modificazione funzionale o strutturale, prima che si manifesti il danno clinico, attraverso uno studio di biomonitoraggio sistematico per diversi contaminanti (metalli, diossine, PCB, idrocarburi policicilici aromatici, bisfenolo A, ftalati, parabeni, pesticidi) e biomarcatori di esposizione, di danno/effetto e di suscettibilità in coorti selezionate nelle diverse aree d’intervento del progetto in Campania, in Italia ed in Europa, puntando, fra l’altro, a valutare i sistemi organo-funzionali che più precocemente di altri risentono delle condizioni di stress, come l’apparato endocrino-metabolico e, in particolare, il sistema riproduttivo maschile (organo Sentinella).
Una elaborazione dei dati di mortalità attraverso la valutazione del rapporto standardizzato di mortalità (SMR) - eseguite dalla SSD di Epidemiologia del Pascale dagli anni 2000 al 2008 - evidenzia che per il tumore al polmone un incremento significativo si riscontra in 22 Comuni, delle province di Napoli e Caserta, per la vescica in tre Comuni, mentre per il cancro del fegato il numero di Comuni con incremento significativo è di oltre 20 sia negli uomini che nelle donne. Nel complesso per tutti i tumori i Comuni con un SMR significativamente più alto negli uomini sono: Mugnano 132, Afragola 131, Sant’ Antimo 129, Caivano 128, Arzano 123, S. Maria Capua Vetere 122. Per le donne eccessi significativi sono stati osservati anche nei Comuni di Torre del Greco e Santa Maria Capua Vetere per tumore della mammella: SMR 115 e 159, rispettivamente, Comuni facenti parte della legge Terra dei Fuochi (Airtum 2014, Taranto).
Nel capitolo «Inquinamento ambientale e sicurezza agroalimentare», Livia Malorni e Maria Grazia Volpe hanno sottolineato che l’inquinamento ambientale di origine chimica viene percepito dall’opinione pubblica come uno dei rischi più importanti per la salute in quanto gli agenti inquinanti inevitabilmente entrano a contaminare la catena alimentare, che coinvolge tutti gli esseri viventi. Un contaminante può costituire o meno un rischio per la salute in dipendenza da diversi fattori, tra cui l’assorbimento e la tossicità della sostanza, il livello di tale sostanza nel cibo, la quantità consumata di cibo contaminato e la durata dell’esposizione. Gli esseri viventi hanno, inoltre, una diversa sensibilità individuale ai contaminanti e altri fattori della dieta possono influire sulle conseguenze tossiche del contaminante. Inoltre le sostanze tossiche e nocive per gli esseri viventi possono dare luogo ai fenomeni di bio-accumulazione e di bio-magnificazione.
La bio-accumulazione è un fenomeno legato all’aumento della concentrazione di una sostanza tossica in un organismo biologico col tempo, confrontata alla concentrazione della stessa nell’ambiente. I residui si accumulano negli esseri viventi ogni volta che sono assimilati ed immagazzinati più velocemente di quanto sono metabolizzati o espulsi. Il bio-accumulo delle sostanze tossiche può avvenire direttamente dall’ambiente in cui l’organismo vive oppure attraverso l’ingestione lungo le catene trofiche (o anche in entrambi i modi): nel primo caso il fenomeno viene definito bio-concentrazione, nel secondo caso bio-magnificazione. Le diossine e i furani non sono sostanze create intenzionalmente dall’uomo e si trovano disperse nell’ambiente, sia per cause naturali, sia involontariamente come conseguenza di attività antropiche. Una delle fonti importanti di emissione di diossine sono gli incendi di boschi e foreste, eventi naturali che accadevano ancora prima che comparisse sulla Terra la vita animale e l’uomo. Recentemente, inoltre, è stata dimostrata anche una origine naturale geologica delle diossine, che sono state rinvenute nel caolino.   

Tags: Gennaio 2017 Maurizio de Tilla

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