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«Esdebitazione» nel mondo universitario americano

Lucio Ghia

Tra i 200 e 300 mila dollari: questo è il debito medio con cui un laureato nelle migliori università americane affronta il proprio destino professionale. È un carico spesso insostenibile anche se i futuri emolumenti professionali possono essere considerati buoni, ma iniziare il percorso professionale affrontandone i relativi rischi con un tale peso spesso per questi giovani diventa insostenibile.
Ecco perché la «due giorni» di Chicago - 30 giugno e 1 luglio scorso - e in particolare la tavola rotonda organizzata dal dott. Andreas Remmert, giudice della Corte Federale di Giustizia Tedesca nel prestigioso studio legale Barack Ferrazzano Kirschbaum & Nagelberg, LLP dalla International Exchange of Experience on Insolvency Law (IEEI), tra gli esperti di diritto concorsuale e fallimentare, uno dei temi trattati, che ha suscitato maggiore interesse ed un nutrito dibattito, è risultato quello della «discharge» (o dell’esdebitazione) dei molti, troppi studenti che vengono dichiarati insolventi dai tribunali fallimentari americani.
Il peso del «merito studentesco» non riguarda solo i giovani laureati, ma si estende anche alle rispettive famiglie. Il debito universitario rappresenta, infatti, l’epilogo di un lungo percorso che inizia fin dalle scuole elementari, la scelta tra le migliori scuole infatti, costa. Se è vero che «chi ben comincia è a metà dell’opera», il relativo conto in USA è davvero salato.
Si va dai 15 mila dollari all’anno fino ai 30 mila. Avendo iniziato bene il proprio curriculum scolastico, il giovane studente avrà diritto a proseguire il proprio percorso scolastico in altre scuole altrettanto prestigiose quanto costose. Ma non tutte le famiglie sono in grado di sostenere questi oneri economici, allora viene in soccorso il sistema bancario del Paese che «aiuta» a risolvere sia pure temporaneamente, questi problemi concedendo specifici finanziamenti, finalizzati proprio a sostenere le famiglie e gli stessi studenti, nell’affrontare annualmente le spese relative alla formazione scolastica.
Si giunge così all’università che a volte presenta costi che superano anche i 150 mila dollari annuali e non è solo il caso della rinomata Harvard University. Naturalmente anche questi finanziamenti bancari comportano il maturare di interessi che incrementano notevolmente l’ammontare del debito iniziale giungendo a fine corso universitario a cifre medie comprese tra i 200 mila ed i 300 mila dollari.
Molti giovani laureati sotto un tale peso economico si arrendono e non riuscendo a far fronte alle rate di ammortamento, chiedono al tribunale territoriale di dichiarare il proprio fallimento, quando non sono i creditori a chiederlo.
Negli USA per essere dichiarati insolventi non è necessario svolgere un’attività d’impresa, tutti, anche studenti e professionisti, possono fallire, e conseguentemente chiedere di essere liberati da tutti i debiti ottenendo la «discharge», da noi si direbbe l’«esdebitazione», ovvero la liberazione dai debiti che l’attivo fallimentare per la sua insufficienza non riesce a soddisfare.
Nel concedere la «discharge» il giudice esamina anche il curriculum universitario dello studente «fallito» economicamente e definisce d’intesa con i creditori un piano anche pluriennale di riscadenzamento del debito in base alle reali prospettive economiche, ai redditi di lavoro del giovane ed, eventualmente, all’aiuto economico di terzi, familiari, amici, talvolta i datori di lavoro.
Negli USA la «discharge» viene concessa subito, ovvero nel giro di due/tre mesi dalla dichiarazione di fallimento perché è interesse di tutti, creditori in primis, che il «fallito», specie se studente o giovane laureato, venga reimmesso il prima possibile nel circuito economico e produttivo. Questa è la filosofia del «new fresh start», ovvero si chiude velocemente con il passato e si riparte.
In Italia, invece, l’esdebitazione viene concessa dopo molti anni dalla dichiarazione di fallimento, in genere solo dopo la sua chiusura, con le inevitabili conseguenze negative per il fallito che viene escluso dai normali circuiti economici e produttivi per molti anni, troppi per poi ritornare a farne parte. Certamente se il piano di rimborso dei debiti quando esiste, non viene rispettato le conseguenze negli USA, sono gravi ed il «secondo fallimento» viene sanzionato con grande severità.
Ma tornando ai debiti per la creazione del «merito studentesco», il confronto con il nostro sistema scolastico ed universitario, una volta tanto appare a nostro favore. Va considerato, infatti, che in genere i risultati della preparazione dei nostri studenti e laureati sono tanto buoni da permettere a chi voglia espatriare, ai nostri «cervelli all’estero», di competere, proprio sul piano del merito, con studenti e laureati di tutto il mondo, cinesi, indiani, giapponesi, coreani ed europei, ad armi pari e senza raccomandazioni.
L’apprezzamento generale che i nostri laureati suscitano all’estero e le soddisfazioni, anche economiche, che vi ricevono, mentre costituiscono le ragioni della loro permanenza all’estero, sottolineano che tale preparazione è frutto di costi scolastici senz’altro molto più contenuti se non modesti rispetto ad altre realtà, si pensi all’Inghilterra, alla Svizzera oltre che agli Stati Uniti e ad altri Stati europei.
Certamente è amara la constatazione che gli investimenti effettuati dallo Stato e da noi tutti non riescano a trasformarsi in questi casi in benefici per il nostro Paese. Infatti, i nostri giovani espatriati dopo la laurea o anche prima, lavorando all’estero, pagheranno nei vari Paesi ove produrranno reddito, le relative tasse.
A questo punto sorgono spontanee alcune domande ed una considerazione conclusiva. Un giovane che sa di costare e di essere costato molto alla sua famiglia, e di dover poi contrarre personalmente pesanti debiti per concludere il suo percorso universitario, affronterà gli studi in modo più rigoroso e responsabile curando la propria preparazione, sostenendo puntualmente gli esami e concludendo il suo corso di laurea il più velocemente possibile?
Servirà alla propria «maturazione» essere inserito in un sistema scolastico e universitario che presenta conti «salati» sin dall’inizio? Non pretendo di dare risposte, ma non posso escludere che questa notevole differenza tra i sistemi educativi e scolastici americani ed italiani sia forse all’origine di una mentalità e di un costume che contribuisce a rendere il 20 per cento e più dei nostri studenti quei «bamboccioni» ai quali faceva riferimento il nostro non dimenticato ministro Padoa Schioppa.
Infatti, almeno il 20 per cento dei nostri studenti universitari non giunge alla laurea, mentre molti di più sono i fuori corso pluriennali. Forse il senso di responsabilità della propria funzione nella società, nasce nel neo laureato americano, anche dal dover riconoscere che si hanno pesanti debiti nei confronti della famiglia, di se stessi e della società.
Qualcuno osserverà a riguardo che questo modo di vedere priva l’età della fanciullezza della spensieratezza, della leggerezza e della flessibilità, delle quali ogni ragazzo ha bisogno per formarsi al meglio per non avere poi condizionamenti psicologici, nè dover subire eccessive responsabilità prima del tempo. Ma alla luce e nella prospettiva del mondo di oggi, il giovane laureato, il neo professionista italiano dovrà competere con chi non ha goduto di una stagione di irresponsabilità, ovviamente relativa.
Penso non solo gli americani, ma agli studenti cinesi, indiani, giapponesi, cioè a tutti coloro che hanno dovuto maturare in fretta sobbarcandosi del costo di ogni anno trascorso sui libri nel corso dei loro studi e che affrontano il mondo del lavoro con la necessità di dover pagare un pesante debito. Secondo voi chi risulterà vincente?
Questo tipo di inevitabile competizione vedrà «vincenti» i più responsabili mentre con molta probabilità risulteranno sconfitti nel lavoro e nella vita perché perennemente insoddisfatti ed «incompresi» coloro che hanno avuto famiglie che hanno consentito loro tutto, genitori che «se la sono presa» con i professori invece che con i propri figli distratti e inconcludenti, hanno loro permesso di laurearsi a 30 anni ed oltre, li hanno giustificati quando li hanno visti rifiutare offerte di lavoro con la motivazione consueta: «no, questo lavoro non fa per me, è inadeguato alla mia preparazione e al mio standing», e spesso hanno affidato il loro futuro alle «raccomandazioni» invece che alla preparazione e al merito.
Ecco perché la lezione americana è da analizzare attentamente, infatti indica come la strada del «merito» fatta anche di questi capitoli amari ma formativi è tesa alla continua costruzione, fin dalla più tenera età scolare, del «comportamento responsabile», nel convincimento che una buona preparazione, costosa in termini economici quanto d’impegno personale, costituisce la migliore moneta da spendere nella vita professionale, anche in contesti internazionali.   

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