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Patrimonio culturale: un’industria in cui l’Italia puo' essere protagonista

Domenico Casalino, esperto di appalti e tecnologie

L’Italia, proprio lei, non ha la prima industria del mondo nel settore culturale. Come mai, e soprattutto, come costruirla? Il patrimonio culturale è stato, negli ultimi 40 anni, oggetto di battaglie ideologiche, inefficienze gestionali, furti e frodi, nonché di tagli lineari sui bilanci pubblici. Eppure, osserviamo le straordinarie iniziative realizzate da preparatissimi ed appassionati manager pubblici: il restauro di opere da parte dei prestigiosi centri di eccellenza come l’Opificio delle pietre dure di Firenze; la ristrutturazione di musei come quello di Reggio Calabria, che espone i bronzi di Riace; il restauro di siti archeologici come Pompei; le straordinarie operazioni del Comando dei Carabinieri per la tutela del patrimonio culturale. 
Le nostre competenze professionali si applicano in Italia al modello di «museo diffuso», ovvero tanti siti di notevole interesse e distribuiti sul territorio, opposto al modello di pochi e grandi musei nazionali propri di altri Paesi come la Francia con il Louvre o il Regno Unito con il British Museum. I nostri molti luoghi della cultura sono difficili da mantenere e costosi da gestire: le dinamiche di progressiva riduzione degli stanziamenti pubblici hanno ridotto gli interventi sulle opere, mettendo a rischio la concreta possibilità di fruirne; mancano i fondi per preservare, gestire e far fruire il nostro patrimonio.
L’intervento dei privati nella gestione può migliorare l’obiettivo pubblico di garantire la conservazione e la fruizione del patrimonio culturale? La legge Ronchey del 1993 rispose di sì, prevedendo modelli di concessione in cui un’impresa concessionaria si prende carico di alcuni compiti di gestione, ad esempio di un museo, in cambio di quote dei ricavi della vendita dei biglietti dello stesso museo e delle ulteriori mostre ivi organizzate. Un modello largamente diffuso in molti Paesi, ma aggiudicati i primi contratti in Italia - giunti oggi alla sesta proroga - non si riuscì ad aggiornare il modello concessorio per la complessità degli appalti pubblici e del lacerante dibattito sulla mercificazione del patrimonio culturale.
Quanto al primo tema - gli appalti pubblici - una gara è quella fase che intercorre tra un’idea e la sua concreta attuazione, e quando manca interviene spesso la magistratura in un procedimento complesso che richiede in media 18 mesi, nonché specializzazioni e competenze amministrative spesso mancanti negli uffici pubblici che bandiscono le gare, così da prestare il fianco a ricorsi, anche pretestuosi, che portano all’annullamento dei bandi. Quanto al secondo tema - la mercificazione - si sono scontrate due tesi, che contrapponevano le opportunità della valorizzazione alle esigenze della tutela. Occorre riconoscere che il patrimonio culturale non è né petrolio da estrarre né un monumento intoccabile, bensì uno dei settori dell’economia nazionale che da troppo tempo langue. È possibile tutelare il patrimonio culturale valorizzandolo e valorizzarlo tutelandolo.
Ero amministratore delegato della Consip quando a febbraio 2014 Dario Franceschini fu nominato ministro dei Beni culturali. Compresi che con lui avremmo potuto avviare un progetto che la Consip studiava da anni: creare strumenti di gestione più avanzata del patrimonio culturale, migliorando il modello di approvvigionamento e delle concessioni. La profonda riforma del settore da tal ministro avviata è un grande passo in avanti che consolida la nostra identità nazionale, e solo con quella riforma poteva superarsi il «triangolo delle Bermuda della diffidenza», che ne ha tarpato per decenni le potenzialità: imprese, sovrintendenti, direttori centrali del Ministero che, diffidando gli uni degli altri, ponevano veti reciproci facendo scomparire nel nulla le pur pregevoli iniziative che l’uno o l’altro avviava.
Così, con gli studi elaborati dal 2009 in poi e che avevo presentato ai suoi quattro predecessori, andai dal ministro Franceschini per mettere a disposizione dello Stato (il Ministero dei Beni culturali) ciò che un altro pezzo dello Stato (la Consip, società del Ministero dell’Economia che ha il compito di centrale acquisti nazionale) aveva fino ad allora studiato per migliorare il processo degli approvvigionamenti in un settore strategico per il Paese e critico per il contesto in cui era arenato. Il programma è stato aggiornato ed affinato con i suoi collaboratori - altissime professionalità - ed è poi partito dopo che insieme lo presentammo in una conferenza stampa al Ministero dei beni culturali in febbraio 2015. Sono state avviate poi le prime gare, ora in corso, e tutte le altre iniziative mirate che connettono il patrimonio culturale con altri settori economici come il turismo, i trasporti, la ristorazione, il multimediale, ecc. 
Ma quanto vale oggi questo «settore industriale», e quanto potrebbe valere? Il solo settore dei musei, siti archeologici, biblioteche e luoghi della cultura «fattura» oggi, dalle statistiche disponibili, meno di 500 milioni di euro annui (il primo Gruppo del settore ne fattura meno di 80) a fronte degli oltre 5 miliardi di euro di fatturato nel Regno Unito che non ha un patrimonio culturale di livello comparabile a quello italiano. Alcune stime preliminari indicano in almeno 2 miliardi e 500 milioni di euro annui il ricavo minimo che il Paese può ottenere da una più avanzata gestione e valorizzazione del patrimonio culturale, portando questa operazione (le concessioni durano 9 anni) ad un valore di oltre 22 miliardi di euro, equivalente dunque ad una manovra finanziaria di solo sviluppo e nessun taglio di spesa.
Affermava nel 2011 Pier Carlo Padoan quando era nell’Ocse che solo un avanzato sistema degli approvvigionamenti pubblici può essere uno strumento di politica industriale di un Paese, stimolando innovazione, sviluppo e occupazione. Ecco dunque come finanziare la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale italiano che i bilanci pubblici ormai non possono più sostenere adeguatamente: sviluppando quell’industria in cui il nostro Paese può e deve essere un protagonista globale.   

Tags: Maggio 2016

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