Chi è il ribelle: l’attore o l’autore?
Mi piace tutto del libro di Reza Aslan, fin dal titolo, «Gesù il ribelle», e il sottotitolo-commento, «vita di un uomo nella Palestina dell’anno zero», perché ha già detto tutto ciò che ci racconterà.
Se si volesse apprendere l’arte della ricerca e la pazienza che deve guidarla questo è il libro prototipico per cosa occorra fare, dove e come cercare, insomma come agire per ottenere dei risultati che chiariscano, mettano in ordine date, persone, fatti, spesso sconvolgendo idee, concetti, preconcetti fino, per chi ne prenda seriamente atto, al dover rivedere sentimenti e convincimenti di fede.
Dopo aver dimostrato le «invenzioni» dei Vangeli, i tempi della redazione e l’ignoranza in senso assoluto dei personaggi che li avrebbero redatti; gli scopi liturgici delle alterazioni della storia eventualmente vera; le teorie di chi si faceva forza di leggende ed ingenue interpretazioni; le storture storiche per inadeguati accostamenti di personaggi a situazioni politiche non realistiche da cui il rilievo che la cristologia fosse più rilevante della storia; la errata rappresentazione del Gesù pacificatore mentre Matteo gli fa annunciare «sono venuto a portare non pace, ma spada»; i conflitti interpretativi tra aramaico, greco ed ebraico; la scorretta interpretazione di crismi religiosi da parte degli addetti ai lavori dei tempi susseguitisi; l’invenzione di Luca della conversione di Paolo sulla via di Damasco; la vita e le opere del Battista, il vero antesignano del verbo, nonché inventore del battesimo che si dà invece come seguace; le storie parallele ma diverse se non conflittuali di Paolo e di Pietro; della realtà della famiglia, a partire da Giuseppe, poi di Maria donna, del fratello Giacomo, nonché delle sorelle di Gesù, quando non della di Lui moglie; dei compromessi di Nicea e, ma non è conclusivo, a proposito di Pilato ed atti collegati, la denuncia di «una storia inventata da Marco esclusivamente a scopi evangelici, ossia per non dare a Roma la colpa della morte di Gesù, che col passare del tempo ha raggiunto proporzioni che sfidano l’assurdità, fino a diventare la base su cui si sono sviluppati duemila anni di antisemitismo cristiano».
C’è una frase di Arsan che lascia il nostro pensiero sospeso: «Gesù parlava così spesso e così astrattamente del regno di Dio che risulta difficile capire se ne avesse un’idea precisa». Ebbene Aslan del «ribelle» non ci racconta molto a riguardo, cosa possa aver detto e non ci racconta quello che nei secoli gli hanno fatto dire. Non si conoscono i suoi progetti. Certo, è meglio inventare, ma allora, dopo tutte le controindicazioni di cui sopra, cos’è che ha sedotto l’umanità rispetto alle centinaia di profeti del tempo che invadevano il mondo noto, quasi tutti con la stessa finalità di farsi riconoscere come «il Messia»?
Ecco, questo Aslan non ce lo dice, non ce lo dice in modo soddisfacente. Non ci spiega come, dopo tante debilitazioni di storie e immaginazioni, dopo tante accuse di cattiva gestione e di interpolazioni del credo cui i fidelizzanti avrebbero dovuto legarsi, dopo la dimostrazione di controsensi e incongruenze, perché denunci la sua fede per l’uomo che, come testimonia nel libro, «non fu mai in grado di mostrarsi il figlio di Dio?». Forse ci sarà un seguito?
La «nota» è che l’eccezionalità delle note - sessantadue pagine - fanno del libro una fonte inimmaginabile di documentazione storica, religiosa, filosofica e ovviamente bibliografica di particolare ricchezza e raffinata selezione.
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