Corte d’Appello di Roma: 146 anni e l’impegno di crescere

Anche quest’anno ho seguito con particolare interesse l’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2016 della Corte d’Appello di Roma, magistralmente diretta dal suo presidente Luciano Panzani che con tono pacato malgrado la gravità della situazione giudiziaria romana e laziale e con un approccio diretto e semplice ha effettuato un approfondito esame dei vari aspetti che la compongono. Già nella sua prima relazione, lo scorso anno, lo stato di salute della Corte d’Appello più grande d’Italia, e ritengo d’Europa, per numero dei giudici impiegati, per la vastità del territorio che ricade sotto la sua giurisdizione, per il numero delle questioni trattate ed anche per l’arretrato dal quale la Corte d’Appello è appesantita, era stato accuratamente analizzato.
Ebbene, quest’anno la significativa rappresentazione della particolare situazione in cui versa la Corte, fatta di numeri e di risultati, ha aperto il secondo capitolo di un percorso costruttivo, segnato dal filo rosso della chiamata a raccolta di tutti gli addetti ai lavori intorno ai gravi problemi dell’attuale «debito giudiziario» che riguardano i cittadini, gli utenti e che frena lo sviluppo democratico del Paese, incide su tutti gli aspetti del vivere civile coinvolgendo i beni essenziali della vita. Se la giustizia non funziona ne soffrono non solo i rapporti socio-economici che vengono messi a repentaglio dalla diffusione della presunzione d’impunità, dalla negazione della certezza del diritto, che intacca anche beni di rango superiore come la reputazione e l’immagine delle persone, ma anche i valori dello Stato di diritto che in queste occasioni ritroviamo nell’esaltazione dell’essenzialità della funzione giudiziaria nella sua continuità storica, alla base delle solenni cerimonie istituite dall’art. 86 del Regio Decreto n. 12 del 1941.
Quest’anno si celebra il 146esimo anno giudiziario dall’istituzione dell’Ufficio della Corte d’Appello a Roma, fondato con Regio Decreto del 27.11.1870 n. 6030, che prevedeva la denominazione di Tribunale d’Appello, mutata subito dopo in Corte d’Appello (con Regio Decreto del 3.12.1870 n. 606).
Si potrebbe dire che molta acqua è passata sotto i ponti dai primordi dello Stato unitario e molte sono le voci critiche di queste cerimonie con ermellini e toghe rosse, con segni distintivi di un potere antico, che oggi possono sembrare fuori dal tempo. Eppure, ci ha ricordato il presidente Panzani, è onorata la memoria dei molti giudici, avvocati e personale delle Forze dell’Ordine che con il loro sacrificio «usque ad sanguinem» hanno permesso allo Stato di diritto di vincere le sue battaglie giurisdizionalmente, attraverso il processo nel pieno rispetto dei diritti dell’imputato e della sua difesa. I richiami storici ed etici, dell’incipit della relazione del dottor Panzani, hanno riportato alla mia memoria quanto Platone in uno dei suoi dialoghi minori fa narrare a Protagora: Zeus, in un’epoca nella quale le lotte tra gli uomini erano continue e violente (anche allora: è proprio vero che gli umani non cambiano mai) aveva inviato il suo messaggero Ermes con due doni da distribuire a tutti gli uomini: «aidos», cioè il senso di vergogna che deve provare chi non fa fino in fondo il proprio dovere; e «dike», il senso di giustizia e di rispetto per i diritti degli altri. In questo incipit del presidente Panzani ho colto un forte invito a riappropriarci di questi doni essenziali per risalire la china.
La sua relazione sul secondo anno di presidenza ha avuto, in realtà, la consistenza e la forma dell’illustrazione fatta agli azionisti da un buon presidente del Consiglio di amministrazione di una importante società quotata. Abbiamo infatti appreso - magistrati, avvocati, cancellieri, dipendenti della Corte d’Appello, insieme ai molti studenti invitati per la prima volta a presenziare alla cerimonia, cittadini etc. - che il numero delle cause pendenti innanzi alla Corte d’Appello di Roma era, nell’anno 2013/2014, diminuito del 14,6 per cento, passando dai 73.309 al 31 dicembre 2014 ai 66.865 giudizi al 30 giugno 2015. Diminuzione, quest’ultima, che mi auguro sia da collegare anche all’introduzione della mediazione.
La sua analisi suddivisa poi per materie evidenzia in un quadro molto accurato le aree ed il livello di causidicità dei nostri concittadini nelle varie componenti del contenzioso pendente davanti alla Corte d’Appello. Nessun’area del diritto civile viene risparmiata, contratti, responsabilità extra contrattuali, diritti della persona, diritti successori, fallimenti e procedure concorsuali; ne emerge una foresta, certamente non «incantata», che costituisce la fotografia della litigiosità del distretto. Di fronte ai tanti problemi chiaramente esposti, Panzani offre alcune soluzioni concrete, che una volta a regime comporteranno una progressiva e cospicua riduzione delle cause pendenti, ben oltre quanto possa essere realizzato nelle condizioni attuali, di carenza sia degli spazi necessari, sia di giudici e di sufficienti risorse umane.
La prima importante iniziativa, in corso di realizzazione, riguarda la Caserma Manara di Roma, che dovrebbe costituire la nuova sede della Corte d’Appello civile. Si tratta di un importante complesso che ha una superficie utile di 28 mila metri quadrati coperti, oltre a spazi esterni per parcheggi, attiguo agli uffici del Tribunale civile in Viale Giulio Cesare. Anche gran parte dei fondi necessari al riadattamento dei locali sono stati reperiti. Non resta che auspicare che i rappresentanti della Difesa, del demanio di Roma Capitale e della giustizia riescano a definire ed ultimare questo percorso in tempi rapidi, perché la giustizia romana ne ha davvero bisogno.
La seconda buona notizia riguarda la maggiore produttività in termini di definizione dei giudizi attesa nell’immediato futuro, perché una parte dei 40 giudici ausiliari che andranno ad integrare l’organico della Corte ha iniziato a prendere servizio. A ciò vanno aggiunti i giovani tirocinanti che per 18 mesi verranno a far parte dell’Ufficio del Processo ed a collaborare con i giudici della Corte per un più sollecito smaltimento dell’arretrato.
La terza attiene agli accordi con il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Roma (forte dei suoi 23 mila iscritti) che hanno consentito di mettere a disposizione 15 ausiliari negli uffici dei giudici di pace, affinché le loro sentenze vengano trascritte e pubblicate in tempi più rapidi.
Certamente codeste sono iniziative che distinguono positivamente l’attività svolta dal presidente Panzani e dai giudici della Corte per migliorare condizioni di lavoro, produttività e ridurre il «debito» giudiziario. Ma l’arretrato della Corte d’Appello di Roma riguarda solo una parte delle cause in attesa di decisione, ed è davvero preoccupante l’andamento generale di tutto il distretto, poiché evidenzia proiezioni temporali di lunghissimo periodo per la loro definizione. I dati a riguardo fornitici confermano queste considerazioni: le cause pendenti innanzi ai Tribunali del distretto sono 350.821, l’ultimo anno ne sono state definite 305.143, ma sono sopravvenute ulteriori 294.389. Quindi, se si riuscisse a diminuire anche di 10 mila all’anno il solo arretrato, pur in presenza di un minor numero di nuovi processi imputabile alla crisi economica, sarebbero necessari vari decenni per ottenere riduzioni dell’arretrato davvero risolutive.
Ed allora, permettetemi di insistere sulla necessità di un ulteriore intervento del legislatore per ridurre il numero delle cause future con l’introduzione di modifiche legislative sull’estensione, a tutte le cause, della obbligatorietà e della cogenza della mediazione e delle alternative Adr. Del resto le indicazioni giurisprudenziali che provengono da molti Tribunali spingono in questa direzione, coerentemente con la normativa già in vigore sulle soluzioni alternative di definizione del contenzioso che, se attuate più efficacemente di quanto oggi non sia possibile, dovrebbero dare risultati apprezzabili in periodi non brevissimi.
Nel frattempo, mentre attendiamo che le iniziative già attivate ed annunciate diano i loro frutti deflattivi dell’arretrato, permettetemi di ritornare su quanto ho scritto su Specchio Economico nel gennaio 2016 sui «caschi blu» per la riduzione del debito giudiziario: ad essi, con benefici anche economici per lo Stato, in una situazione di emergenza come l’attuale si potrebbe fare immediatamente ricorso. Si tratta dei giudici ordinari che in questi mesi sono andati o andranno in pensione per raggiunti limiti di età. Prima che i concorsi possano essere banditi ed i nuovi giudici prendano servizio occorreranno anni. I «neo pensionati» hanno esperienza, conoscenza specifica e fino a poco tempo fa hanno deciso cause e concluso giudizi. Molti di essi su base del tutto volontaria potrebbero continuare a fare il loro lavoro per smaltire l’arretrato, e ne sarebbero lieti. La loro remunerazione potrebbe, come avviene per i giudici di pace, essere quantificata con un «tantum» a decisione, mentre lo Stato, dalla registrazione delle sentenze, incasserebbe sicuramente molto di più.
Anche le vicende della giustizia penale nel distretto della Corte d’Appello di Roma sono state accuratamente analizzate, ma si tratta di materia per me più ostica e non familiare. Torno, quindi, alla relazione del presidente Panzani. Non si è trattato di una enumerazione arida e distaccata rispetto alla vita che nei processi palpita, ai problemi umani che attendono risposte giudiziarie, ai beni in contestazione non solo economici, sentenze davvero indispensabili per poter credere nell’efficacia e nell’esistenza stessa dello Stato di diritto. La rappresentazione della situazione della giustizia nel distretto della Corte d’Appello di Roma fatta da Panzani, infatti, è stata animata costantemente da un alto messaggio: il pressante invito alla coesione, la chiamata a raccolta di tutte le risorse e di tutti coloro che fanno parte del «popolo» della giustizia.
Questa coesione, la volontà di impegnarsi per migliorare, si è respirata anche negli interventi che hanno concluso l’inaugurazione dell’Anno giudiziario 2016. In particolare, Elisabetta Cesqui del Ministero della Giustizia, capo dell’Ispettorato, ha dato atto degli sforzi che il Ministero sta facendo per cercare di potenziare le strutture e di risolvere i tanti problemi che connotano l’attuale situazione. Dello stesso tenore è stato il saluto del Pubblico Ministero, dottor Palamara, intervenuto in rappresentanza del Consiglio Superiore della Magistratura del quale mi ha colpito la considerazione finale: «L’indipendenza e l’autonomia della giustizia sono diritti dei cittadini». Anche la dottoressa Maddalena, dirigente del personale amministrativo della Corte d’Appello di Roma, ha sottolineato l’abnegazione, la dedizione di tutto il personale amministrativo della Corte che in questo importante momento di transizione sta traghettando il processo dall’era cartacea a quella telematica, fornendo così un’ulteriore positiva notizia sull’andamento e sulla progressiva adozione del processo telematico in tutti gli uffici della Corte.
Data l’eccezionalità dell’evento e l’impegno giudiziario che la Corte d’Appello di Roma ed il suo presidente dovranno affrontare insieme agli avvocati che ne sono coprotagonisti, mi permetto in chiusura di ricordare l’invito attribuito addirittura a Salomone: «Diligite iustitiam qui iudicatis terram», amate la giustizia, voi che la esercitate sulla Terra.
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