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Riforme Costituzionali, semplificazione legislativa e garanzia di legalita'

Stefano Glinianski magistrato scioperi

Il processo di riforma costituzionale in atto che, ridisegnando il ruolo del Senato, determinerà, tra l’altro, anche il superamento di quel bicameralismo perfetto da sempre caratterizzante il nostro ordinamento e, ormai, in dirittura di arrivo, offre numerosi spunti di riflessione circa gli effetti dello stesso in diverse chiavi prospettiche.
Una prima considerazione è se il ridimensionamento delle competenze del Senato garantirà, comunque, la continuità sostanziale di quel necessario ed ampio dibattito parlamentare rappresentante il presupposto fondante un reale ordinamento democratico o, piuttosto, come da taluni commentatori già osservato, a tale semplificazione dell’assetto costituzionale seguirà, altresì, una limitazione della dialettica parlamentare già, allo stato, da molti lamentata.
Le opinioni sono molteplici e, sovente, divergenti. Tuttavia, pur nella diversità dei giudizi che possono essere espressi e nel rispetto di una logica propositiva, sarà comunque importante garantire la stabilità del confronto democratico nel futuro assetto costituzionale in via di definizione, individuando le diverse modalità attraverso le quali conseguirla.
Ulteriore riflessione è se nell’attuale momento storico, ove è sempre più avvertita l’esigenza di un ripristino della cultura della legalità, il ridimensionamento del tradizionale bicameralismo perfetto potrà rappresentare un ulteriore tassello per conseguire questo traguardo culturale. Più precisamente, se un «alleggerimento» dell’iter di formazione e di approvazione della legge potrà contribuire ad una semplificazione del suo processo attuativo garantendo, conseguentemente, una maggior chiarezza nella formulazione della stessa.
Il tema dell’eccessiva proliferazione delle leggi, di frequente non coordinate nel loro susseguirsi, oltre che il tema del loro ermetismo, rende sempre più avvertita l’esigenza di una revisione delle tecniche di scrittura delle stesse, oggi più attente ad innalzare il grado di formalismo piuttosto che a chiarire. La semplificazione del processo di formazione di una legge ai fini della sua maggiore comprensibilità resta dunque un passaggio tecnico determinante per garantire il reale rispetto di quell’avvertita esigenza di legalità dell’agire amministrativo che, tuttavia, per evolversi in cultura, necessita preliminarmente di un humus adeguato che ne favorisca lo sviluppo. E la bontà di una semplificazione del processo di formazione legislativa potrebbe, a parere dello scrivente, esplicitare la positività dei suoi effetti, non solo rendendo più chiara la norma bensì anche la disposizione discendente dalla stessa.
Più precisamente, muovendo dalla tradizionale distinzione tra norma e disposizione - ove per norma deve intendersi la formula linguistica attraverso la quale si manifesta la produzione del diritto, mentre con il termine «disposizione» deve essere richiamata la regola di condotta ricavabile dal testo legislativo a seguito di attività ermeneutica - è evidente che una complessa formulazione non potrà che riflettersi, con un effetto a cascata, sull’assenza di chiarezza della disposizione, cioè della regola di condotta che gli interpreti ci offriranno di essa.
Si pensi, a mero titolo di esempio, all’ermetismo di molte norme disciplinanti la contabilità delle amministrazioni locali e di cui, con sempre più frequenza, le Sezioni regionali di controllo della Corte dei conti devono offrire delle stesse interpretazioni. Orbene, detta attività ermeneutica da parte della magistratura contabile, nel solco prospettico delineato, sfocerà, simmetricamente alla complessità della norma, in più e diverse disposizioni che saranno fisiologicamente differenti in caso di contrasto tra Sezioni, almeno in una loro prima fase applicativa e fino ad un intervento nomofilattico delle magistrature superiori.
Il tutto con buona pace della certezza del diritto. Di fronte a questo fenomeno, purtroppo, la tendenza più immediata, soprattutto da parte degli operatori della pubblica amministrazione, è quella di critica verso l’oscillazione degli orientamenti pretori, dimenticando tuttavia che la supplenza del giudice emerge ogni qualvolta si palesa un’assenza o una non corretta e chiara regolazione della materia proprio da parte del legislatore.
Ora, al di là della possibilità spesso osteggiata in seno alla stessa Corte costituzionale in ordine ad un’eventuale dichiarazione di incostituzionalità di un testo normativo per assenza di sua chiarezza da parte della Consulta, c’è da chiedersi se, effettivamente, la riforma del bicameralismo perfetto inciderà sulla bontà della nostra regolazione. Se potrà, cioè, consentire, rendendo più semplice il suo procedimento di formazione, una maggiore chiarezza della formula linguistica attraverso la quale si manifesta la produzione del diritto, id est della norma, evitando così il rischio di produrre oscure disposizioni e, conseguentemente, non chiare regole di condotta perché variabili a seconda dell’opzione ermeneutica dell’interprete.
In un’ottica di difesa della sempre più spesso richiamata cultura della legalità, l’auspicio è sicuramente questo, anche se un «alleggerimento» dell’iter di formazione e di approvazione della legge non potrà, ove non accompagnato da una reale volontà di cambiamento da parte di tutti i soggetti preposti alla concreta scrittura di un testo normativo, conseguire da sé solo i suoi positivi effetti.
Certo è che questa evoluzione, prima culturale che procedurale, ove raggiunta, avrà sicuramente un pregio: potrà salvaguardare quella parte sana della dirigenza pubblica che ha sempre operato nel rispetto delle regole, arginando, nel contempo, il malcostume di quella burocrazia che si cela proprio dietro l’ermetismo legislativo per sviare dolosamente dalla propria naturale funzione.   

Tags: Febbraio 2016

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