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Luci e ombre si alternano nella giustizia civile: prima le buone o prima le cattive notizie?

Maurizio De Tilla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

Luci ed ombre si alternano nella giustizia civile. Qualcuno direbbe buone e cattive notizie. Tra le «buone» notizie figura l’annuncio che i praticanti avvocati possono svolgere la propria attività negli uffici giudiziari per non più di dodici mesi, con l’obbligo ogni quattro mesi di redigere e trasmettere al Consiglio dell’Ordine una relazione sull’attività svolta. Tale attività consiste nello studio dei fascicoli, partecipazione alle udienze e alle camere di consiglio nonché attività di cancelleria. Ogni magistrato potrà avere al massimo due praticanti.
Tutto ciò è previsto nello schema di regolamento predisposto dal Ministero della Giustizia. L’iniziativa è assunta sulla scia del decreto legge  n. 69 del 2013 (art. 73) relativamente al tirocinio formativo negli uffici giudiziari. I praticanti potranno essere utili anche per la giustizia, ma è evidente che ben altra cosa è una pratica effettiva e controllata svolta in uno studio professionale disponibile e aperto ad un praticantato produttivo ed efficace.
La giustizia ha bisogno di una forte spinta che non può essere costituita dall’impiego dei praticanti. In quest’ambito propositivo si possono registrare favorevolmente le «vendite accelerate». Esecuzioni con un po’ di sprint e con maggiore possibilità di realizzo, freno alla lunga catena di tentativi di vendita e stima dell’immobile in base al valore di mercato. Sono queste alcune interessanti misure del decreto legge n. 83 del 2015 convertito nella legge n. 132 che ha anche previsto il portale delle vendite, cioè un sito ministeriale da usare per avere le informazioni sulle esecuzioni. Con siffatte misure (e con altre da definire) si dovrebbero rimuovere gli ostacoli al funzionamento della procedura di esecuzione, fase necessaria per soddisfare le ragioni dei creditori muniti di un titolo esecutivo.
Ma forse un’ulteriore misura c’è. Privatizzare la fase esecutiva e svincolarla dalla burocrazia giudiziaria. Ancora, sotto il riflesso di una giustizia non intasata dai processi, alcune opzioni varate in via legislativa («Alternative dispute resolution») sono da accogliere con favore. Così è per l’alternativa ai Tribunali nell’affrontare le questioni dei consumatori. In Italia si è data, con legge, attuazione ad una direttiva europea che prevede che consumatori e imprese possano trovare il modo di comporre le dispute in minor tempo.
Sulla spinta europea, il legislatore italiano ha previsto varie forme di alternativa alle aule dei Tribunali. Previsti anche appositi organismi registrati in un elenco. L’unico aspetto  che non va bene è la tassativa obbligatorietà degli strumenti alternativi che viola il diritto all’accesso alla Giustizia. Con questo solo limite è da condividere l’intervento del presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, Remo Danovi, che auspica che si possano evitare le liti usando rimedi stragiudiziali, quali la negoziazione assistita, l’arbitrato e la mediazione.
Sul primo strumento (negoziazione assistita) siamo pienamente d’accordo anche se spesso gli avvocati che promuovono un accordo non hanno bisogno della «negoziazione» ma possono tranquillamente stilare un atto privato che è frutto del loro lavoro conciliativo ed è spesso eseguito contestualmente alla sottoscrizione del documento. L’arbitrato è, poi, una buona via di uscita, ma con due indispensabili condizioni: deve costare poco; l’arbitro deve essere di buona qualità e dotato di reale terzietà.
Riguardo al terzo strumento (la mediazione) il fallimento dell’istituto è dovuto principalmente alla sancita obbligatorietà che non favorisce un reale consenso delle parti, anche per i costi eccessivi nel caso di mancata conciliazione. Si è accertato che le poche applicazioni dell’istituto riguardano vertenze di modico valore. Noncurante di ciò, un insensato legislatore ha sancito l’obbligatorietà della media-conciliazione per cause di ingente valore (successioni, divisioni, responsabilità medica, diffamazione, azioni reali ecc.) che non potranno mai essere conciliate davanti ad un mediatore. Se qualche conciliazione si verifica, è unicamente frutto dell’opera preziosa degli avvocati.
Altra buona notizia, che riguarda segnatamente la materia matrimoniale, è l’intervento per assicurare i processi più snelli davanti alla Sacra Rota. Tradizionalmente i processi canonici per le cause di nullità del matrimonio costano molto e richiedono patrocini e assistenze non diffusi all’interno dell’Avvocatura. Papa Francesco è intervenuto decisamente per rendere i processi più snelli con meno burocrazia e procedure gratuite. Il giudice-vescovo potrà annullare le nozze nell’ambito di un processo canonico veloce quando le cause siano evidenti. Tra le novità, basterà una sola sentenza sulla nullità per renderla esecutiva, e non saranno necessarie due sentenze uguali.
Si è chiarito che con le nuove disposizioni non si favorisce la nullità dei matrimoni, ma il costo contenuto e la celerità dei processi che viene assicurata in presenza di alcune determinate circostanze: la mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale, l’aborto procurato per impedire la procreazione, l’ostinata permanenza in una relazione extraconiugale nel tempo stesso delle nozze o in un tempo immediatamente successivo, l’occultamento doloso della sterilità o di una grave malattia contagiosa o di figli nati da una precedente relazione o in presenza di una carcerazione. Tra gli altri motivi si annoverano anche la violenza fisica inferta per estorcere il consenso, la mancanza di uso di ragione, comprovata da documenti medici.
Va precisato che l’incisivo intervento sul processo ecclesiastico riguarda anche questioni di carattere morale. In quest’ambito etico è, in altra materia, da condividere l’individuazione di un nuovo curatore fallimentare, con maggiore integrità e maggiore professionalità. Il decreto legge n. 83 ha delineato un nuovo identikit del curatore fallimentare, basato sul merito e sull’efficienza. L’articolo 28 non prevede alcun riferimento all’organizzazione e alle risorse del curatore, ma contempla un aspetto meritocratico prevedendo in via innovativa che la nomina del curatore sia effettuata tenendo conto delle risultanze delle relazioni semestrali periodiche, al fine di penalizzare i curatori particolarmente lenti e inefficienti. In tale prospettiva, risulta soppressa la previsione che consentiva al Tribunale, in fase di nomina del curatore, di tener conto delle indicazioni espresse dai creditori nell’istruttoria prefallimentare.
Evidentemente si trattava di una facoltà in contrasto con il divieto di assumere l’incarico da parte di soggetti in conflitto d’interesse, posto che il curatore deve espletare le proprie funzioni nell’interesse di tutti i creditori e non solo di coloro che hanno chiesto il fallimento quale ausiliario del giudice, tenuto a operare con professionalità e terzietà. Possono, in particolare, essere nominati curatori fallimentari sia avvocati o commercialisti iscritti ai relativi albi, anche organizzati in forma associata, sia tutti coloro che abbiano svolto funzioni di amministrazione, direzione e controllo in società per azioni, dando prova di adeguate capacità imprenditoriali.
Segnatamente l’articolo 28 disciplina gli aspetti dei conflitti di interesse, vietando la nomina per il coniuge, i parenti e gli affini entro il quarto grado del fallito, per i creditori di questo e per chi ha concorso al dissesto dell’impresa, nonché in via generale per chiunque si trovi in conflitto di interessi con il fallimento. Ancora in materia matrimoniale non si può che condividere la normativa che consente ai coniugi, sposati da almeno tre anni, che hanno in affido temporaneo dei bambini, di usufruire di una corsia preferenziale per accedere all’adozione. D’ora in poi il Tribunale dei minori ha il dovere di tener conto dei legami affettivi significativi e del rapporto stabile e duraturo consolidatosi tra il minore e la famiglia affidataria.
In precedenza il passaggio si è presentato molto difficoltoso se non impossibile impedendo di fatto la trasformazione del rapporto da affidamento ad adozione. Il giudice spesso ha posto ostacoli. E spesso senza alcuna plausibile ragione. La nuova normativa ha, altresì, stabilito che chi ha il minore in affido è legittimato ad intervenire in tutti i procedimenti civili in materia di responsabilità genitoriale, affidamento e adottabilità relativi al minore. Nel percorso delle «cose buone» adottate nella giustizia si deve ritenere significativa la presenza di più di mille giudici minorili onorari. Nei 29 Tribunali per i minorenni e Corti di appello minorili operano 1.082 magistrati onorari che affiancano i magistrati di carriera. Si tratta di un forte aiuto che i componenti laici danno alla giustizia minorile. A nominarli è il Ministero della Giustizia su indicazione dei Tribunali.
Va sottolineato che i collegi giudicanti dei Tribunali sono composti da due giudici togati e due onorari, mentre i collegi delle Corti d’appello sono formati da tre togati e due onorari. Si tratta di giudici laici, in massima parte, motivati e preparati. Ma ciò non basta. È importante anche l’integrità morale e l’assenza di interessi personali e di conflitti di interesse.
Sono queste le più recenti luci, o positive notizie, in una giustizia che ha bisogno di interventi di buon livello e di occasioni di rinnovamento nel diritto sostanziale e nella materia processuale. Ma ad esse si accompagnano, purtroppo, parecchie ombre che offuscano il funzionamento della giustizia e ne determinano declino e disfunzioni di non poco conto, anzitutto quella delle udienze rinviate a tre anni. Gli avvocati sono in rivolta. È accaduto a Torre Annunziata negli uffici dei giudici di pace con il rinvio automatico di tutte le cause al 2018. Ma ciò non succede solo davanti ai giudici di pace.
Nelle Corti di appello (Roma e Napoli in testa) le cause vengono rinviate a tre-quattro anni solo per essere decise. Invero, tutte le ragioni e richieste delle parti sono acquisite al processo con il deposito dell’atto di appello e della comparsa di costituzione. Il giudice di appello ha già tutti gli elementi per decidere la vertenza che fa riferimento ad una pronuncia esecutiva che potrebbe essere riformata.
Un’attenta lettura potrebbe accelerare la definizione della causa. Ma il giudice del gravame non lo fa subito, e nemmeno dopo un anno dall’inizio del procedimento. Preferisce rinviare il tutto a quattro-cinque anni. Su questo ingiustificabile rallentamento dei processi il Ministero della Giustizia e il Consiglio Superiore della Magistratura dovrebbero intervenire subito, con provvedimenti urgenti.
Analogo intervento bisogna attuare al più presto nel caso frequente che il giudice di primo grado, acquisiti tutti gli elementi del processo e letti gli atti e le memorie istruttorie, rinvia la causa a due anni per la sola precisazione delle conclusioni.
Dobbiamo, inoltre, denunciare ulteriori disfunzioni della giustizia. Va, anzitutto, segnalato che il nuovo Tribunale di Napoli Nord è nato nella Terra dei Casalesi per combattere la criminalità organizzata. Ma non funziona ed è sfornito di mezzi e di personale. I funzionari sono 6 anziché 38, i cancellieri 11 in luogo di 24, gli assistenti 23 su 44 previsti. I processi sono, quindi, fortemente rallentati. Manca finanche la presenza di un Consiglio dell’Ordine degli Avvocati. Il Ministero non ha, infatti, ancora convocato le elezioni. Nella  maggior parte dei distretti la protesta dell’Avvocatura è piuttosto diffusa.
In particolare,  l’Avvocatura salentina contro il degrado della giustizia ha incrociato nuovamente le braccia. La protesta ha modalità diverse da quelle precedenti. Stavolta gli avvocati hanno occupato simbolicamente e pacificamente la sede del Tribunale di Lecce. La denuncia riguarda le strutture fatiscenti e insicure, la mancanza di aule e di personale, le scarse condizioni igienico-sanitarie dei locali, l’assenza di barriere architettoniche. L’abolizione delle sezioni distaccate ha aggravato i problemi della sede incorporante.
Sotto il profilo meramente processuale molteplici sono i tentativi del ministro della Giustizia per accelerare i processi. Si è prospettata la previsione di atti sintetici nel processo civile. La regola già prevista per il processo amministrativo approda anche nei Tribunali civili. Con la differenza che mentre davanti al Tar per gli atti che superano le 20 pagine è prevista un’autorizzazione, nel processo civile tutto è affidato alla discrezionalità dei giudici. Conosciamo giudici intolleranti agli atti lunghi (specie se complessi). Invero, la riduzione delle pagine degli atti non ha nulla a che vedere con la celerità dei processi. Spesso le pagine degli atti si incrementano per la voluminosità dell’istruttoria e per la complessità delle questioni giuridiche.
Il problema è, quindi, un altro. Non vanno snelliti gli atti, ma va accompagnato il lavoro del giudice con risorse e strutture adeguate. L’Ufficio del processo è ancora lontano. E non si sa se sarà subito producente. Può un giudice essere serio ed approfondito quando ha nel proprio ruolo più di 1.500 processi? La giustizia civile è allo sbando!
Va, peraltro, considerato che una parte significativa di giudici si impegna nel tentativo di assicurare un discreto rendimento alla giustizia, ed anche se non è frequente, è accaduto che che un giudice abbia chiesto di fare più udienze di quelle assegnate. È accaduto in un ufficio giudiziario, ma - come si è letto sui giornali - il maggiore lavoro è stato impedito dal presidente del Tribunale. Il giudice solerte ha chiesto il trasferimento in altro Tribunale. L’episodio testimonia quanto sia difficile lavorare negli uffici giudiziari e quanto sia poco meritocratica l’attività del giudice, diventato un vero e proprio burocrate vincolato al calendario delle udienze. Anziché promuovere atti per consentire una maggiore produttività della giustizia, si scoraggia ogni avvio di miglior rendimento.
In relazione alle ombre delle strutture giudiziarie va sottolineato che, di fronte al degrado della giustizia, la revisione della geografia giudiziaria si è rivelata un flop, sia sotto il profilo dell’efficienza sia sotto quello del risparmio di spesa. Si dovrà correre ai ripari ripristinando alcuni Tribunali che funzionavano bene e che sono stati accorpati in uffici giudiziari del tutto incapaci di smaltire l’accresciuto carico dei processi.
Per i giudici di pace l’abolizione degli uffici si è rivelata una scelta in gran parte sbagliata: ben 273 Comuni sono intervenuti accollandosi le spese per i servizi dei magistrati onorari. Le 667 sedi di giudice di pace, di cui la riforma aveva previsto di disfarsi, si sono ridotte a 394. Sono però ancora tanti gli uffici soppressi e si pensa di intervenire per apportare aggiustamenti al fine di incrementare il numero delle sedi dei giudici di pace ancora da salvare. Il programmato ridimensionamento è, peraltro, in aperto contrasto con l’intenzione di allargare la competenza dei giudici laici ed onorari.
Anche il processo telematico pone sempre più problemi. È da segnalare che con un’articolata nota il magistrato referente per l’informatica per il Distretto di Roma ha osservato che la previsione del deposito telematico facoltativo degli atti introduttivi comporta inconvenienti che non sono facilmente superabili, tra l’altro, per la nomina del giudice relatore e la fissazione dell’udienza di discussione. Anche in tal caso viene, quindi, consigliato il deposito di una copia cartacea dell’atto depositato telematicamente. L’istanza è ribadita dall’Associazione Nazionale Magistrati che denuncia le ricadute sui magistrati di compiti e funzioni delle Cancellerie, con aggravio di responsabilità del giudice e rallentamento dei tempi di studio della causa.
Secondo l’Associazione dei Magistrati il processo telematico deve essere accompagnato da un obbligatorio processo cartaceo. Si passa, quindi, dall’esclusivo processo telematico o dall’alternativa (o/o) processo cartaceo o processo telematico al doppio regime (e/e). Il costo e l’adempimento di tali incombenze fa esclusivamente carico sugli avvocati che stanno per perdere la pazienza.
Infine va segnalato che, dopo l’abolizione maldestra di innumerevoli Tribunali efficienti e funzionanti, una Commissione ministeriale sta studiando come abolire alcune Corti di appello. Si è più volte espressa la contrarietà a tali ulteriori smantellamenti. Per risanare la giustizia non è necessario abolire presidi giudiziari nel territorio; basta far funzionare  gli uffici esistenti, con risorse, con informatizzazione, con personale e con dirigenti-manager.   

Tags: Dicembre 2015 Maurizio de Tilla

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