Esiste una forte correlazione tra salute e smaltimento dei rifiuti, quasi un legame sinistro

Alcuni scienziati hanno riconosciuto che la pluriennale gestione criminale di comparti consistenti del ciclo di rifiuti e le pratiche eco-mafiose legate a tali attività hanno causato un disastro ambientale di grandi proporzioni
Esiste un legame sinistro tra smaltimento criminale di rifiuti industriali e urbani e tasso di mortalità. Dovrebbe di ciò occuparsi in maniera seria, oltre a scienziati e comunità scientifica, uno Stato attento e scrupoloso. Ma ciò non è avvenuto, né avviene nel nostro Paese. In un libro-denuncia «Monnezza di Stato. Le terre dei fuochi nell’Italia dei veleni», Antonio Giordano e Paolo Chiariello fanno rilevare che da tempo sono stati accertati indizi significativi che stabiliscono uno stretto nesso di causalità tra lo stato di salute della popolazione residente in una zona della Campania e il processo di smaltimento dei rifiuti.
Alcuni scienziati - appositamente interpellati - hanno riconosciuto che la pluriennale gestione criminale di settori consistenti dell’intero ciclo di rifiuti, sia solidi urbani sia industriali pericolosi, e le pratiche eco-mafiose legate a queste attività, hanno determinato un disastro ambientale di grandi proporzioni e, in maniera significativa, sulla mortalità della popolazione residente nelle province di Napoli e Caserta.
Dati inquietanti sono emersi da uno studio commissionato al Dipartimento della Protezione Civile, all’Organizzazione Mondiale della Sanità, all’Istituto Superiore della Sanità, al Consiglio Nazionale delle Ricerche. Istituzioni che hanno analizzato gli effetti sanitari della gestione dei rifiuti in Campania, confermando la presenza di rischi elevati di mortalità per varie cause (anzitutto i tumori) e malformazioni genetiche congenite. Si tratta di un quadro caratterizzato da una serie di eccessi della mortalità e dell’ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale.
Si ha l’impressione che, di fronte a dati inconfutabili, si è inteso per lungo periodo mettere la sordina alla verità. Un silenzio inspiegabile. In presenza di decine di fascicoli di inchieste, rivelazioni choc di vecchi e nuovi collaboratori di giustizia che indicavano con dovizia di particolari luoghi dove scavare per trovare rifiuti di ogni genere tumulati, nascosti sotto terra.
Sono legittime le domande. Come si è arrivati a tanto? Chi ha consentito che tutto ciò potesse accadere? Una cosa è certa: lo Stato non è esente da gravi colpe. Se non è colpevole per avere inquinato direttamente, certamente lo è per non aver vigilato, oltreché per aver nascosto per oltre un ventennio l’esistenza di un’emergenza rifiuti definita straordinaria. Sono stati sperperati miliardi di euro e si è dato spazio illimitato a malaffare e a svariati illeciti. Né si possono trascurare i comportamenti di aziende italiane e straniere che hanno smaltito illegalmente in Campania.
La cosa ancora più grave è che all’affare dei rifiuti sta per aggiungersi l’affare delle bonifiche. La politica dovrebbe essere in grado di controllare e di espellere l’affarismo dalle Amministrazioni comunali.
Ora, a parte le responsabilità politiche e territoriali, ci si chiede perché non si possano chiamare in causa e far pagare per il disastro ambientale in Campania anche quelle aziende che hanno affidato i loro scarti di lavorazione a personaggi malavitosi ben sapendo che fine avrebbero fatto i loro rifiuti? Non sono da meno le responsabilità di pezzi importanti dello Stato.
Secondo un’indagine credibile, nel 2006 in Italia sono scomparsi nel nulla rifiuti industriali che, se stipati uno sopra l’altro in cilindri, avrebbero dato vita ad una montagna di 4 mila metri di altezza (il Monte Rosa) dal diametro alla base di tre ettari. Come sempre puntuale il Capo dello Stato, Sergio Mattarella, ha parlato di Terra dei Fuochi come «emblema di degrado» accendendo la voce su un problema che affligge il nostro Paese.
Così un sacerdote, don Patriciello, si è battuto nella denuncia del declino ambientale: «Nella Terra dei Fuochi sono stati bruciati gli scarti industriali delle fabbriche che lavoravano in nero, è tutto un circuito di illegalità che viene alimentato. Non serve a nessuno ripulire un po’ il territorio se, dopo poco, si ricomincia daccapo».
Giustamente i cittadini della Terra dei Fuochi espropriati e danneggiati hanno presentato ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo per l’inquinamento dei territori campani. La richiesta è di condanna dello Stato Italiano per quelle che i denuncianti reputano essere omissioni ultra ventennali. Tra gli aderenti al ricorso ci sono parenti di malati terminali e di persone morte per tumori nei Comuni, cittadini e associazioni animati da senso civico. I ricorrenti chiedono la rimozione delle cause e degli effetti dell’inquinamento ambientale, la messa in salvo delle falde acquifere, controlli serrati su prodotti agroalimentari e risarcimento del danno esistenziale per chi corre il rischio di ammalarsi e morire, molto più che altrove.
Nelle more si rendono necessari interventi economici di risanamento del territorio e di cura di coloro che sono stati colpiti da gravissime malattie per effetto dell’inquinamento che ha cause criminali che non sono, purtroppo, state sanzionate. È notevole la collusione con le Amministrazioni locali. Lo Stato inerme e complice tenta di porre rimedio con gravi ritardi stabilendo nuovi reati ambientali, circostanze aggravanti e termini di prescrizione allungati. L’obiettivo dichiarato è quello teso ad arrivare ad un netto salto di qualità nella protezione della salute e dei beni naturali.
I nuovi reati riguardano l’inquinamento ambientale, il disastro ambientale, il traffico e l’abbandono di materiale retroattivo, l’impedimento di controllo e l’omessa bonifica. I primi due reati rappresentano i cardini del sistema con sanzioni che, per l’inquinamento, vanno da un minimo di 2 anni a un massimo di 6 anni, mentre per il disastro la reclusione è compresa in una forbice tra 5 e 15 anni. Con la sentenza di condanna il giudice deve anche ordinare il recupero e, se tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, mettendo i costi a carico del condannato e delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene accessorie in caso di insolvibilità del primo. È stata anche prevista la pena accessoria dell’incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per chi commette i nuovi ecoreati.
Nuove leggi, nuovi reati, nuove prospettive di lotta. Che si accompagnano, purtroppo, a persistenti impunità ed a fatti inquinanti che continuano sistematicamente a prodursi.
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