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La lingua dei diamanti è la più antica

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I diamanti nacquero ancor prima dell’esistenza delle lingue e sono incastonati nella storia del mondo

Il diamante nacque parlando sanscrito? No, perché nacque prima dell’esistenza delle lingue ma - e questo è molto probabile - si riscontrano i primi riferimenti ai diamanti nei testi in sanscrito. Non a caso, l’Arthashastra di Kautilya ne menziona la prassi commerciale. È altrettanto probabile che i primi diamanti siano stati estratti in India, dove furono rinvenuti nei depositi alluvionali vicino ai fiumi Krishna e Godavari. Insomma, se è vero che oggi il diamante è diventato un bene d’investimento, con società specializzate nella sua gestione e nell’eventuale «disinvestimento», va detto che il suo splendore è stato per millenni riconosciuto e ricercato sia per la sua rarità sia per la sua bellezza, esaltata dalle miriadi di gioielli sui quali è stato incastonato.
L’etimologia della parola italiana «diamante» deriva dal greco «adamas» che significa indomabile, probabilmente perché gli antichi non conoscevano materia che fosse in grado di intaccarlo e di lavorarlo; pare che questa pietra abbia fatto la propria comparsa in «Occidente» nel periodo successivo alle spedizioni di Alessandro Magno.
Se nei secoli passati il principale centro estrattivo dei diamanti era l’India, con il passare del tempo sono state scoperte nuove miniere in Borneo, Brasile, Sudafrica ed infine Russia, Canada, Australia. Oggi i Paesi coinvolti nei processi estrattivi sono molti. Data la vastità del commercio e soprattutto la facilità con cui questa pietra può essere trasportata e scambiata, è capitato che nelle mille guerre che hanno insanguinato l’Africa (e non solo), i diamanti diventassero moneta di scambio in delicati teatri bellici. Anche per questo, mutuando il nome dalla città di Kimberley (che ha dato il nome anche alla kimberlite, la roccia diamantifera) è nato il «Kimberley Process Certification Scheme» (KPCS).
 Questo accordo ha origine nel maggio del 2000 per discutere il legame problematico tra produzione di diamanti e conflitti nei Paesi d’origine. A luglio dello stesso anno, venne istituito ad Anversa il «World Diamond Council»: in sintonia con i risultati emersi dalla Conferenza di Kimberley, il WDC si propone di sviluppare un sistema di controlli sulla trasparenza del mercato internazionale dei diamanti grezzi. Fu così che nel dicembre del 2000 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sollecita la creazione di uno schema che consenta di certificare la provenienza dei diamanti da esportatori che non finanzino guerre civili.
Tra il 4 e il 5 novembre del 2002, dopo numerosi incontri volti a definire i criteri generali e i requisiti minimi del processo, 37 Stati firmano a Interlaken un accordo per l’attivazione di un sistema di certificazione nella circolazione dei diamanti grezzi; partecipano all’accordo anche il WDC e le multinazionali coinvolte nelle attività di estrazione, commercio e vendita.
Un sistema più attento è necessario anche perché, come accennato, il diamante è entrato nella vita delle persone non solo per il suo impiego in gioielleria, ma perché ormai è un bene di investimento raggiungibile da migliaia di sportelli bancari e richiesto sempre più di frequente. Questo tipo di pietre deve avere caratteristiche compatibili con una facile liquidabilità, dunque non superiori al carato o al carato e mezzo. Diamanti di alto livello per quanto riguarda purezza, taglio e colore (bianco), ma accessibili per molte tasche.
A proposito di questi dati, come si classifica il diamante? Qui entra in gioco la regola delle 4C: carat (peso), clarity (purezza), colour (colore), cut (taglio).
Carat. Il peso dei diamanti è espresso in carati (1 carato=0,20 grammi). Il carato si suddivide a sua volta in centesimi denominati «punto».
Clarity. Il reticolo cristallino del diamante spesso presenta delle interruzioni che possono dipendere da inclusioni cristalline, cavità, fessure, piani di geminazione, righe di struttura, sfaldature e tensioni interne. Si considerano diamanti puri quei diamanti tagliati che, osservati con una lente a 10 ingrandimenti, non presentano alcuna inclusione.
Colour. Il Nord-America è stato pioniere nella definizione dei colori dei diamanti, probabilmente a causa dell’elevata quota di importazione di diamanti per ornamento. Nella serie da incolore a giallo i gradi di colore sono definiti secondo gli «old terms», definizioni che per lo più si riferiscono a luoghi di provenienza dei diamanti. Sono infatti i nomi delle antiche miniere di diamanti: ad esempio, per i diamanti provenienti da fiumi (river) o da giacimenti alluvionali si è tramandato il termine RIVER, con cui si intendevano pietre che generalmente presentavano un colore migliore dei diamanti provenienti dai camini o «pipes». A queste definizioni sono state poi aggiunte definizioni univoche del colore:
RIVER=bianco-azzurro
TOP WESSELTON=bianco ottimo
WESSELTON=bianco
TOP CRYSTAL=bianco lievemente tinto
CRYSTAL=bianco tinto
TOP CAPE=lievemente giallognolo
CAPE=giallognolo
LIGHT YELLOW=giallo chiaro
YELLOW=giallo
Cut. La forma e la perfezione del taglio assumono un’importanza assoluta nella determinazione del valore. Esistono precise proporzioni fra le dimensioni delle varie componenti (tavola, corona, padiglione, cintura) che devono essere rispettate per ottenere il massimo risultato. La classificazione del taglio ha 4 parametri:
EXCELLENT/VERY GOOD: taglio ottimo, senza alcuna deroga alle tolleranze prescritte;
GOOD: buono, con lievi deviazioni alle tolleranze prescritte (inferiori al 5 per cento);
MEDIUM: medio, con notevoli deviazioni alle tolleranze prescritte (inferiori al 10 per cento);
POOR: scarso, con gravi deviazioni alle tolleranze prescritte (superiori al 10 per cento).
Queste caratteristiche sono fondamentali. Ma ci sono pietre particolarissime che hanno un valore aggiunto: la loro storia. Sono i «diamanti famosi», riconosciuti per il loro nome. Pensiamo ad esempio al Cullinam. È il più grande diamante mai trovato, grezzo pesava 3.026 carati, ovvero 600 grammi. Fu rinvenuto il 26 gennaio 1906, 40 km. ad est di Pretoria, in Sud Africa. Acquistato nel 1907 dal Transvaal, fu donato al Re d’Inghilterra lo stesso anno. Ci volle quasi tutto l’anno 1908 per procedere alle operazioni di taglio che fruttarono 9 pietre maggiori e 96 pietre più piccole. La più grande è un’enorme goccia che pesa 530,20 carati ed è composta da 74 faccette. Chiamata dal Re Edoardo VII «Grande Stella D’Africa», si può ammirare a Londra nello scettro reale.
È ancora il diamante tagliato più grande del mondo. La seconda è il Cullinam II, di 317,40 carati tagliata a cuscino; anche il Cullinam II è esposto nella Torre di Londra incastonato nel margine superiore della corona imperiale. E che dire del Kho-i-noor? Per la prima volta fu menzionato nel 1304, pesava 186 carati ed era una pietra tagliata ovale. Si credeva fosse incastonato nel famoso Trono del Pavone dello Shah Jehan come occhio del pavone. Fu tagliato nuovamente durante il Regno della Regina Vittoria. Si trova tra i gioielli della Corona britannica e pesa 108,93 carati.
Se la famiglia reale inglese ha il primo posto tra i proprietari di diamanti famosi, un posto di riguardo l’ebbero anche i monarchi francesi. L’Hope Blue di Luigi XIV, denominato «Il diamante blu della corona», fu rubato durante la rivoluzione francese e finì a Londra. Nel 1830 fu acquistato da Henry Philip Hope dal quale prese il nome. Si trova allo Smithsonian Institute di Washington.

Tags: Novembre 2015 diamanti

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