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NON è VERO CHE IL GIUDICE SCEGLIE LA SOLUZIONE CHE TUTELA I PIù DEBOLI

Lucio Ghia

L’ADR, risposta del legislatore in questi anni alla crisi della giustizia, pare funzionale a soluzioni stragiudiziali e a facilitare la tutela del contraente più debole. Ma non è affatto così. Certe decisioni alternative mostrano invece la ricerca e l’ossequio del giudice verso la parte più forte, pù influente e più ricca; occorre modificare la cultura del processo

Alcuni lettori mi hanno chiesto di tornare sull’argomento del Salone della Giustizia trattato nello scorso numero e di esaminare più approfonditamente ulteriori temi che riguardano la disaffezione e il generale malcontento che connotano i rapporti tra il cittadino e la giurisdizione. Lo faccio volentieri perché la possibilità di soffermarmi su argomenti di quotidiano impegno per la «gente della giustizia» è occasione che merita di non essere tralasciata. Nel precedente numero ho dato conto della necessità sottolineata da tutti i relatori del Salone, di coniugare le esigenze giudiziarie delle imprese con una giustizia in grado di dare risposte in tempi brevi, meno «creative» ed incerte di quanto non avvenga oggi. Qualsiasi investitore vuole sapere prima e molto chiaramente che fine faccia il proprio investimento nel caso in cui il debitore vada in default.
La lunghezza dei procedimenti, oltre alla difficoltà di individuare criteri predeterminabili sulla base delle decisioni precedenti (cosiddetta predictability) è scoraggiante. Le distanze da colmare non sono da poco, se constatiamo che, ai nostri tremila giorni di durata media di un giudizio, il Giappone oppone i suoi 210 giorni. Questo grande gap, come ci ha ricordato l’ambasciatore U.S.A in Italia avv. John Phillips, dipende soprattutto dal modo di lavorare dei giudici; e una buona organizzazione dei Tribunali può incidere positivamente, come è avvenuto a Torino.
Dall’intervento del giudice Catallozzi del Tribunale delle Imprese di Roma, è emerso sul tema centrale del convegno «Impresa e Giustizia, che anche nell’area affidata a questo Tribunale delle Imprese, ovvero nel contenzioso che riguarda il corretto svolgimento degli affari, che devono essere sorretti da lealtà commerciale, correttezza, buona fede, la velocità delle decisioni è essenziale per poter rispondere alle necessità delle imprese.
La lentezza della giustizia, ha detto il relatore, dipende sia dalla spiccata litigiosità agevolata dalla facilità di tutela dei diritti dei cittadini, il che è senz’altro una grande conquista democratica, sia dal notevole incremento del numero degli interessi giudicati meritevoli di tutela, e dei nuovi diritti che il progresso economico e legislativo hanno via via riconosciuto. La tutela dei diritti ambientali, o relativi alla salute, all’immagine, alla privacy, alla previdenza, al lavoro, al web, costituiscono nuove aree contenziose appena dieci anni fa sconosciute o di scarsa rilevanza numerica.
Tale incremento delle domande giudiziarie spinge gli addetti ai lavori a riflettere sulla necessità dei tre gradi di giudizio, sulle attuali regole processuali che non appaiono snelle, flessibili, né di veloce attuazione e, non da ultimo, sull’incessante produzione legislativa che evidenzia una vera crisi della regolazione. Tutto ciò messo in correlazione con lo sviluppo transnazionale dei traffici costituisce, per la nostra giustizia, un quadro estremamente preoccupante dal quale è difficile uscire. La stessa funzione della Cassazione, la sua garanzia nomofilattica, cioè di interpretazione al massimo livello della legge, viene messa in discussione dai tempi del processo.
Dopo 7 anni - durata media dei tre gradi di giudizio - le imprese spesso non sanno che farsene della decisione seppure pregevole sotto il profilo giuridico ma superata dai fatti e dal fluire della vita. La controparte soccombente spesso non è più economicamente aggredibile, o addirittura è estinta. Infatti vanno considerate alcune caratteristiche fisiologiche del fare impresa, oggi in Italia. Basta pensare alla sottocapitalizzazione endemica delle nostre imprese ed alla crisi generazionale. Sovente le imprese muoiono perché i successori dell’imprenditore non hanno nessuna intenzione di continuare l’attività del loro dante causa; la mutevolezza dei prodotti e dei mercati, fanno il resto.
Una prima, moderna risposta data dal nostro legislatore è stata l’istituzione di un Tribunale specializzato, «il Tribunale delle Imprese» con i propri giudici, qualificati da una preparazione più profonda nel settore societario e commerciale, chiamato a fornire risposte più veloci e, giuridicamente, più esaustive. I grandi studi legali infatti, presentano nei vari settori del diritto professionalità specifiche, spesso formatesi anche su esperienze internazionali. Ben venga quindi il giudice non più generalista, ma esperto in materie complesse e peraltro in continua evoluzione, come quelle finanziarie e commerciali. La specializzazione dei magistrati è un bene da conquistare e da difendere, specie nell’area strategica per l’economia che tutela il corretto svolgimento di affari, vita e impresa.
Più in generale il ricorso sempre più diffuso per la risoluzione delle controversie, (in acronimo ADR) che costituisce un’ulteriore risposta del legislatore in questi ultimi due anni alla crisi della giustizia, appare funzionale alle soluzioni stragiudiziali ed è volto a facilitare la tutela del contraente più debole. Nel tempo le ADR dovrebbero riuscire a modificare la stessa cultura del processo, affidato oggi alla decisione da parte del giudice che sceglie, tra le prospettazioni delle parti, quella che gli appare più fondata.
L’area delle ADR, offre ai contendenti la possibilità di pervenire ad un risultato che non sia deciso esclusivamente dal giudice, che non sia quindi «bianco o nero»: ovvero viene accolta una tesi e si respinge l’altra; ma possa essere il frutto di un incontro di volontà, che presenti attraverso un percorso la soluzione più gradita ad ambedue le parti. In sostanza il contenzioso non si concluderà più con un vincente ed un perdente, come avviene oggi nei «giudizi ordinari», ma si fermerà ad una «vittoria comune», frutto della volontà di entrambi i contendenti, realizzata in una prospettiva conciliativa e costruttiva, atta a superare la pregressa ostilità tra controparti che non si considerano più reciprocamente nemici eterni.
Per ottenere questi risultati, l’autorevolezza dei mediatori, dei conciliatori e la capacità di far riflettere le parti sulla convenienza anche economica dalla soluzione offerta dalla conciliazione o dalla mediazione, costituiscono un presupposto notevole. Dal punto di vista legislativo, bisognerebbe non rendere facoltativa l’adesione alla mediazione o alla conciliazione, ma sanzionare il comportamento della parte che si sottrae, come avviene oggi nella maggior parte dei casi, a questo procedimento dichiarando la propria indisponibilità e non accettando neppure che il mediatore formuli la sua proposta per la definizione della lite, per poi pronunciarsi a ragion veduta, sulla sua accettabilità.
Spesso infatti una delle parti, quella che sa di essere in torto, si oppone alla prosecuzione della conciliazione o della mediazione, nel tentativo di guadagnare tempo. Si mostra intransigente sulla stessa possibilità di aprire una trattiva, in quanto ritiene che «per pagare e morire ci sia sempre tempo!». Un ulteriore interessante contributo sotto il profilo pratico, nella relazione del dottor Catallozzi va colto anche nell’accenno fatto alle soluzioni giurisdizionali affidate ai provvedimenti cautelari o d’urgenza
Sono infatti previste nel nostro Codice procedure più snelle e veloci che nei casi in cui la domanda sia basata su un «fumus», ovvero più elementi di fondatezza e presenti evidenti profili di pericolo nel caso di ritardo della decisione, possono essere richieste al giudice e comportano una rapida istruttoria affidata a documenti e/o a sommarie informazioni.
Spesso questi provvedimenti in qualche mese bloccano le somme di danaro in contestazione o sequestrano beni a garanzia della decisione finale. E si sa che, in Italia, il «provvisorio» spesso diviene «definitivo». La buona notizia è che nel nostro sistema giuridico, già oggi, abbiamo strumenti operativi che possono portare alla definizione delle liti, in tempi più rapidi ed attraverso un metodo meno costoso rispetto al giudizio ordinario. Ma anche i provvedimenti cautelari e d’urgenza possono assicurare un risultato giudiziario più immediato ed efficace.

Tags: Luglio Agosto 2015 salone della giustizia Lucio Ghia giustizia

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