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Ma i redditi professionali sono in forte declino

Maurizio De Tilla presidente dell’associazione nazionale avvocati italiani

Attenzione all’aiuto finanziario alle imprese in crisi da parte delle Casse professionali. Attenzione alle lusinghe dello Stato che promette riduzioni di imposta, ma non elimina la doppia tassazione. «Liberalizzazione»: è pronta l’ennesima, irragionevole «mazzata» alle professioni da parte del Governo

Bisogna stare attenti all’aiuto finanziario alle imprese in crisi. Non è questo il compito delle Casse professionali. Anche se c’è la garanzia dello Stato (il nostro è però fortemente indebitato), le Casse devono valutare la bontà degli investimenti da erogare possibilmente senza rischi e con buoni rendimenti. Attenzione alle lusinghe dello Stato che promette riduzioni di imposta, ma non fa niente per eliminare la doppia tassazione.
Le tasse sono finanche aumentate!
Aumenta, infatti, la pressione fiscale (portata al 26 per cento) ma le Casse professionali continuano ad investire. Nel 2014, l’Enpam ha messo nel budget 1,89 miliardi di euro, Inarcassa è a quota 823 milioni, mentre la Cassa dei commercialisti investirà 683 milioni. Maggiori investimenti comportano migliori rendimenti. Ed il Fisco si ingrassa, incrementando la doppia tassazione ed ignorando che gli investimenti tendono a garantire i livelli di trattamento pensionistico fortemente ridotto dai doppi prelievi fiscali.
Non sappiamo poi come si faccia a propiziare investimenti a favore di iniziative pubbliche, quando lo Stato non si comporta amichevolmente con le Casse e impone frequentemente interventi che sono limitativi della gestione autonoma. Sono tali gli investimenti diretti in immobili circoscritti al 20 per cento del patrimonio dell’Ente. Secondo le indicazioni del Ministero dovranno essere prevalenti gli investimenti in strumenti negoziali nei mercati regolamentati e nelle infrastrutture pubbliche che sono notoriamente molto più rischiosi di quelli immobiliari.
Un dato è certo: le Casse professionali continuano ad essere sottoposte ai continui appetiti dello Stato. Si succedono a ritmo continuo aumenti di prelievi e di tassazione, spending review, verifiche assillanti ed improprie sui bilanci attuariali. L’obiettivo è sempre il solito: dimostrare che le Casse non sono sostenibili per accorparle e renderle pubbliche. E questa non è un’illazione. Ritorna spesso l’istanza di accorpamento delle Casse professionali che disattende la loro finalità e non ha alcun fondamento fattuale. Diversissime sono, infatti, le tipologie delle contribuzioni e dei trattamenti contributivi e previdenziali. Alcune Casse applicano il contributivo, altre il retributivo, altre il sistema a capitalizzazione. Alcune Casse hanno un trattamento uguale e solidaristico, altre hanno minimi garantiti e pensioni proporzionali ai redditi e alla contribuzione. Alcune categorie hanno redditi medio-alti, altre hanno redditi bassi o bassissimi. Alcune categorie operano prevalentemente nel settore impiegatizio, altre svolgono attività esclusivamente libero-professionale.
Si parla, quindi, a sproposito di razionalizzazione del comparto, ma in realtà si persegue il solo fine di rendere le Casse professionali «facili prede» degli appetiti pubblici che vorrebbero unificare e accorpare per poi ricondurre tutto alla gestione vorace e dissolutoria dell’Inps. Ciò lo abbiamo da sempre capito. E ci siamo regolati di conseguenza.
Un’altra tagliola per i professionisti è data dalla pressione contributiva insostenibile della Gestione Separata Inps. Per fortuna i professionisti italiani ricevono, in massima parte, tutela previdenziale con l’istituzione delle Casse previdenziali private, la cui iscrizione è obbligatoria (vedi forense). Tuttavia limitate partite Iva e freelance sono ancora assoggettate alla Gestione separata Inps che con il suo attivo colma alcune lacune della previdenza pubblica. La contribuzione è allucinante (va dal 27,2 per cento fino al 33,72 per cento del reddito) e raramente offre un trattamento previdenziale. Sono così soggetti ad una previdenza inutile informatici, consulenti di marketing, traduttori, pubblicitari, formatori, comunicatori, creativi delle aziende editoriali e dei media, grafici, designer. Non mancano, inoltre, nella gestione speciale ingegneri, architetti, psicologi che non hanno la necessità (e l’obbligatorietà) di essere iscritti all’Ordine.
Non è male ricordare che venti anni fa le Casse professionali hanno scelto la via virtuosa della privatizzazione dando quindi natura privata agli enti (fondazioni o associazioni) e non più veste pubblica. Di qui si dovevano trarre conseguenze naturali e giuridiche: autonomia normativa e gestionale, impossibilità di effettuare prelievi forzosi, gare private per le forniture. Tutto ciò non è, purtroppo, avvenuto. E si susseguono ulteriori segnali contrari.
Va ribadito che le Casse professionali sono sotto molteplici aspetti virtuose. Si stanno, infatti, impegnando al massimo per contenere le spese. Nella graduatoria dei compensi erogati dalle Casse per gli organi statutari l’Enpam è al primo posto con una spesa di 3.913,419 euro. Seguono l’Inarcassa (3.622.000) la Cassa geometri (3.463.370), la Cassa forense (2.605.082), la Cassa commercialisti (1.972.156), l’Eppi-Periti industriali (1.609.958), la Cassa notariato (1.581.321). L’ultima è la Enpaf dei farmacisti (300.426).
Se rapportati ai patrimoni la graduatoria cambia. In testa la Cassa infermieri, i Pluricategoriali, l’Onaosi. Tenuto conto della complessa gestione, la spesa non è esagerata ed è in fase di contenimento. In particolare, riportando alcuni interventi positivi, la Cassa di Previdenza forense ha programmato di collaborare con gli iscritti per l’accesso ai fondi europei al fine di avviare o riorganizzare lo studio, di partecipare a progetti innovativi, di riqualificare o indirizzare le competenze. Un pacchetto «chiavi in mano» per i bandi delle Regioni è stato elaborato dalla Cassa e sarà affidato alle Autonomie, che programmano e intermediano una grande fetta dei fondi europei.
Il «dossier» per rendere accessibili le risorse comunitarie ai professionisti è solo una tessera della nuova strategia della Cassa degli avvocati: non più solo previdenza e assistenza. L’iniziativa è apprezzabile e va sostenuta. Insieme ad un progetto di welfare integrativo di cui si sta compiutamente dotando l’ente previdenziale forense. Intanto, il settore previdenziale privato deve fare i conti con la caduta libera dei redditi dei professionisti, che rendono spesso difficoltosi i pagamenti dei contributi. In generale il ceto medio è in forte caduta, specie per l’appunto nel settore delle professioni e, in queste, nella grande fetta di giovani che abbracciano l’esercizio di un’attività libero-professionale. Negli ultimi anni il reddito medio è sceso del 30-40 per cento. Se prima era basso, ora è talvolta al di sotto del margine di povertà. Moltissimi professionisti non riescono a vivere con le entrate professionali e stanno prosciugando i pochi risparmi accumulati nel tempo. Intanto tasse e contributi aumentano inesorabilmente.
Incurante di ciò, il Governo continua a parlare di nuove liberalizzazioni per le professioni. È stato presentato un disegno di legge sulla concorrenza ideato dal Ministero dello Sviluppo economico che riapre molteplici questioni e non tiene conto della situazione di deriva reddituale. Ad esempio, la cancellazione della previsione della esclusiva attività per gli avvocati di consulenza legale e di assistenza stragiudiziale, l’introduzione del socio di capitale, il ripristino del patto di quote lite e del preventivo scritto obbligatorio (a scatola chiusa). Per i notai sono previste regole più elastiche per le sedi e maggiori restrizioni per l’applicazione delle tariffe; per i farmacisti si torna nuovamente sull’ampliamento del numero e delle sedi. Una sfilza di penalizazioni per tuta la categoria.
Si intende, quindi, dare senza alcuna plausibile ragione un’ulteriore «mazzata» a professioni che hanno già subito gli effetti pregiudizievoli delle precedenti liberalizzazioni selvagge e della crisi economica.   

Tags: Maggio 2015

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