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Giuseppe Recchi: è pubblico solo dove non arrivano i privati operatori contro bassanini

La soluzione dovrebbe essere quella di una società partecipata da tutti gli operatori del settore come proposto da Cassa Depositi e Prestiti, ma che è stata subito bocciata da Telecom. Il problema nasce dal fatto che esistono zone definite in gergo tecnico «market failure», assai diffuse in Italia, e proprio lì il Governo chiede di investire ed offre fondi. La sfida pubblica è far crescere la domanda forzando processi digitali. Rappresenta ormai un dovere per lo sviluppo nazionale, e proprio in quella direzione vanno i Piani di Crescita digitale e Banda ultralarga varati dal Governo.
Giuseppe Recchi, presidente della Telecom, ha polemizzato indirettamente con Franco Bassanini, presidente della Cassa Depositi e Prestiti, che aveva definito insufficienti i fondi stanziati da Telecom per la rete con tecnologia Ftth. «C’è da rimanere stupiti a sentire critiche a privati che vogliono investire quando in tutto il mondo i Paesi concorrono per attirare queste risorse. Questo è veramente il mondo alla rovescia».
Presto è arrivata, via Twitter, la controreplica di Bassanini: «Concordo, ma a condizione che i privati investano davvero e in tempi brevi, se no è bene che il Governo incentivi a farlo».
La quota di investimenti proposta da Telecom, in effetti, è assai modesta e lontana dal conseguire una rete in fibra ottica avanzata e diffusa almeno nelle aree più rilevanti del Paese. Un atteggiamento dovuto al comprensibile interesse per questo operatore, per altro oberato di debiti, a rendere produttiva il più a lungo possibile la propria attuale rete di proprietà, il vero valore dell’azienda. Si aggiunge a questo la legittima vocazione a detenere un solido primato nel settore delle telecomunicazioni.
Gli altri operatori, d’altro canto, non mostrano grande disponibilità a investire sia per le precarie condizioni economiche di qualcuno, sia per disinteresse di altri a gestire una rete. Il tutto confeziona il solito prodotto Italia: immobilismo, assenza di investimenti strategici, polemiche in eccesso ed incapacità decisionale. La Cdp intende costruire una rete ultra veloce, basata sulla tecnologia Ftth, e propone che Telecom diventi azionista di Metroweb, attualmente controllata dal fondo infrastrutturale F2i e dal Fondo strategico italiano (Fsi), controllato dalla Cassa. Il Governo ha approvato un piano di incentivi pubblici agli investimenti nella rete telefonica, che attende però ancora le disposizioni attuative.
Telecom, dal canto suo, sembra intenzionata a proseguire da sola con il proprio piano di investimenti che si basa sulla tecnologia Fttc («Fiber to the cabinet», che offre un’ampiezza di banda minore) e Ftth in 40 città. C’è chi alimenta i dubbi circa il rischio di un inutile doppio cablaggio (Telecom da una parte e Metroweb dall’altra) che comprometterebbe l’obiettivo di arrivare a una copertura in banda larga dell’80 per cento del Paese come richiesto dall’Europa. La polemica prosegue e si alimenta anche nei piani politici, in quanto Renzi non avrebbe mantenuto le promesse relative allo scorporo della rete Telecom, «unica vera soluzione – questo lo slogan contenuto nel programma presentato dall’attuale premier per le Primarie del 2012 – al drammatico ritardo del Paese sull’Agenda digitale».
Due le alternative. La prima per Telecom andare alla «guerra», mettendo i 2 miliardi appena raccolti con il bond convertibile per accelerare il completamento della formula Fttc - la fibra fino agli «armadietti» sui marciapiedi - per tutta la rete, cosa che, a detta dei tecnici, potrebbe anche essere fattibile nel giro di sei mesi. Oppure venire incontro alle istanze governative e condividere con il Fondo strategico della Cdp gli investimenti necessari per procedere più speditamente con la fibra fino all’edificio (Fttb, «fiber to the building») o addirittura fino alle abitazioni e gli uffici (Ftth).
Maurizio Tamagnini, amministratore delegato di Fsi, ha comunicato in questi giorni a Telecom che non ci sono le condizioni per prendere in considerazione un possibile accordo per la costruzione di una nuova rete in fibra ottica per la banda ultralarga.
L’ipotesi dei vertici di Telecom prevedeva che il Gruppo entrasse con una quota del 60 per cento in Metroweb con una limitazione dei diritti di voto al 40 per cento, per arrivare a detenere - una volta terminati gli investimenti - il 100 per cento. Al contrario Cdp ha sempre tentato di coinvolgere il maggior numero possibile di operatori, in un condominio che l’ex monopolista ha sempre escluso dai propri orizzonti, come spiegato dai vertici aziendali.
Il presidente Franco Bassanini sta tentando comunque in extremis di recuperare, ponendo l’accento sull’altra condizione che Telecom ha sempre posto per entrare: avere la maggioranza del capitale necessaria al consolidamento, anche a garanzia del debito. Una mano tesa dalle sue ultime affermazioni: «La soluzione migliore è una società dove siano coinvolti, con noi, tutti i maggiori operatori. In un’ipotesi del genere, Cdp non pone condizioni di maggioranza. Se il contributo maggiore lo dà Telecom, può averla da subito». Inoltre il numero uno di Cdp e Metroweb richiama il documento pubblicato di Antitrust e Agcom secondo il quale i finanziamenti pubblici dovranno andare a un operatore di rete «puro», partecipato da diverse società di cui nessuna in posizione di controllo.
Difficilmente nel prossimo consiglio di amministrazione di Telecom vi saranno cambiamenti di rotta in tal senso. A differenza di un mese fa, oggi Telecom non è più l’interlocutore unico al tavolo perché, nel frattempo, Vodafone ha fatto passi formali con la lettera d’intenti inviata a Metroweb e ai suoi azionisti ed è stato individuato in Metroweb Sviluppo - una scatola vuota (Metroweb Milano in questo schema resta fuori) - il veicolo per costruire l’infrastruttura. Tant’è che la società italiana, parte della multinazionale inglese, sta lavorando fianco a fianco con il F2i e il Fsi per simulare ipotesi di azionariato e quantificare le risorse necessarie per sviluppare il piano di investimenti che porterebbe negli anni la fibra in 300-500 Comuni italiani. Vodafone ha posto le condizioni: guida pubblica e nessuna preclusione all’ingresso di altri operatori di TLC, purché paritetici e senza alcuno in maggioranza.
Ma secondo Patuano, «non esiste un solo caso nel mondo in cui una soluzione consortile abbia funzionato». I motivi: necessità di un operatore di svolgere senza impedimenti un’attività complessa, in un quadro regolatorio adeguato; soci finanziatori che rispettino le regole. E allora? O i soci di Metroweb convincono Vodafone ad accettare Telecom in maggioranza e quest’ultima ad adattarsi al condominio; o Metroweb sceglie tra Telecom e Vodafone.    

Tags: Maggio 2015 telecomunicazioni telefonia Ubaldo Pacella banda ultralarga Cassa depositi e prestiti - CDP compagnie telefoniche

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