Via Veneto ieri ed oggi. L'economia perduta della Roma odierna
Non sarà per un caso straordinario che i più belli, eleganti, lussuosi alberghi di Roma e forse d’Italia e d’Europa, si trovino in Via Veneto e nelle sue immediate vicinanze. Non sarà un caso neppure che a questi grandi alberghi non manchi niente per essere splendidi, affascinanti. Vanno aggiunti però alcuni altri particolari che li fanno diventare ancor più appariscenti ed attraenti. Sono dotati di ristoranti raffinati, sono situati nelle strade parallele o trasversali di Via Veneto, arteria principale che da Porta Pinciana ossia dalle antiche Mura di Belisario scende pressoché costeggiando un’ampia distesa verde che da Porta Flaminia e da Piazza del Popolo, arriva a Via Sistina, a Piazza della Trinità dei Monti, alla Scalinata di Piazza di Spagna. Si tratta quindi del tracciato urbanistico che fu ideato e fatto realizzare dal Papa Sisto Quinto.
Forse sono uno dei pochissimi a conoscere un ulteriore, singolare particolare: costituito dal fatto che, proprio a dividere l’area di Via Veneto da quella meravigliosa zona tuttora verde, esiste un grande edificio di fine Ottocento, appartenente all’Ordine dei Preti Maroniti. E debbo dire che la destinazione di parte di un così prestigioso complesso architettonico non contrasta con un uso chiamiamolo «mondano»: nel 1954 infatti, quando cominciai la mia carriera di giornalista a Roma, mi dedicai a descrivere, sul quotidiano Momento-Sera in cui lavoravo, anche le cronache dell’allora mondanità, aristocrazia e vita notturna, di cui erano protagonisti gli autentici turisti miliardari americani del dopoguerra e gli artisti italiani che popolavano i caratteristici e inaccessibili studi di Via Margutta, Via del Babuino, Piazza del Popolo e delle fitte e caratteristiche stradine intorno.
Ebbene nel locale principale dell’edificio dei Maroniti, o «preti libanesi» come sono anche chiamati, sito alla confluenza di Via di Porta Pinciana con Via Aurora, quei Padri ospitavano addirittura un locale notturno, uno dei primi, non certo per turisti squattrinati del dopoguerra. Si chiamava «Posa Posa». Non ricordo il motivo dell’insegna né chi lo gestisse, ma so che quel «tabarin» fu l’antesignano di tutti i locali aperti poi, in quegli anni, nella zona di Via Veneto e più in generale nel Centro storico. Locali che allora erano chiamati «night club» e che architettonicamente, artisticamente ed etnicamente distavano non 50, ma migliaia di anni da quelli odierni. Il Posa Posa, come lo Sheherazade di Via Monte Brianzo, era frequentato da miliardari veri, americani viaggianti in Cadillac, Studebaker, Buick, Chevrolet, Rolls Royce, Alfa Romeo, Lancia, Ferrari. Ma anche da italiani, prevalentemente giovani rampolli dell’aristocrazia romana, dalla cosiddetta jeunesse dorée dell’epoca e dagli ultimi rappresentanti del cinema cosiddetto «dei telefoni bianchi», ossia d’anteguerra.
Ma qual era la differenza tra la Via Veneto di ieri e quella di oggi? Basta sentire i superstiti, gestori, dipendenti, frequentatori di tali locali. Un habitué del ristorante-bar di uno dei grandi alberghi di Via Veneto a ridosso delle Mura di Belisario, l’Hotel Flora, ricorda che negli anni anteriori al fenomeno di costume che prese poi il nome dal film «La Dolce Vita» di Federico Fellini e di Ennio Flaiano, e cioè il barman Desideri, vi lavorava indossando una camicia da sera, di seta. Non erano da meno i suoi colleghi. Il Cafè de Paris era gestito da Victor Tombolini e da sua moglie Blanche Cirilli, dotati della raffinatezza, dello stile, della capacità e signorilità appresi a Parigi, in Costa Azzurra, a Milano, Cortina d’Ampezzo e, a Roma nell’esclusivissimo Open Gate situato all’incrocio tra Via San Nicola da Tolentino, Via Leonida Bissolati e Via Veneto, sopra i cinema Fiamma e Fiammetta.
I soci di quel club erano intellettuali, aristocratici, professionisti, esponenti del mondo bancario e finanziario; fondatore e presidente era il celebre avvocato matrimonialista Gino Sotis, che tra l’altro riuscì a far sposare in Messico Sophia Loren e Carlo Ponti, facendo scoppiare uno scandalo perché Ponti risultava già sposato e in Italia la bigamia era considerata reato. Nell’Open Gate Sotis faceva ricelebrare processi storici a carico di chiacchierati personaggi del passato, interpretati da attori professionisti come Vittorio Gassman, Dawn Adams, l’avvenente pittrice Anna Salvatore. Nel club si svolgevano inoltre periodicamente proiezioni di film in anteprima assoluta e nell’ambito di tale attività fu istituito il premio cinematografico David di Donatello per il cinema, tuttora assegnato, in estate, nel Teatro greco di Taormina.
In quegli anni si erano verificati in Italia scandali clamorosi, come l’arresto di vari nobili per il consumo di droga e la misteriosa morte della giovane Wilma Montesi, trovata cadavere sulla spiaggia di Tor Vajanica. Casi clamorosi, perché, rispetto alla società di oggi, gli italiani erano usciti da poco tempo dalla guerra, erano ancora molto diffuse la povertà, la disoccupazione e le distruzioni, ma c’era anche una grande voglia di lavorare e di risorgere.
Adiacente all’Hotel Excelsior, oggi chiamato The Westin Excelsior, costruito nel 1909 all’epoca del sindaco Ernesto Nathan, nella parte «nobile» di Via Veneto era il Caffè Doney, frequentato prevalentemente da intellettuali e professionisti affermati, condotto dalla stessa proprietà e non ancora dalle varie società che poi le sono subentrate. Nei pressi dei due edifici rilucevano il notissimo negozio di Ribot per selezionatissimi amanti degli sport e la rinomatissima sartoria prevalentemente maschile Brioni, così chiamata a ricordo dell’attrazione che esercitava la maggiore isola di quell’arcipelago situato nel Mare Adriatico, allora jugoslava, nella quale numerosi capi di Stato si incontravano con il presidente della Jugoslavia maresciallo Tito che vi aveva fatto costruire una villa di vacanza; villa nel dopoguerra visitata da politici e personaggi italiani e internazionali come Elizabeth Taylor, Richard Burton, Sophia Loren, Carlo Ponti e Gina Lollobrigida. L’arcipelago di Brioni oggi appartiene alla Croazia.
In Via Veneto, tra il Doney e il Flora, era anche il Caffè Strega, notissimo perché ritrovo abituale del poeta Vincenzo Cardarelli, mitico direttore del settimanale La Fiera Letteraria. Ma anche nella parte opposta della strada, quella chiamata «riva destra» partendo da Porta Pinciana per arrivare a Piazza Barberini, pullulavano bar, alberghi, ritrovi, librerie. Al di là di Porta Pinciana, alcuni metri all’interno di Villa Borghese si elevava una piccola costruzione, la «Casina delle Rose», oggi definita «Casa del Cinema»: di giorno era luogo di relax e riposo nell’immenso verde del parco, e di notte locale notturno in cui si esibivano gli ultimi interpreti della stagione musical-canora tra le due guerre. Vi cantavano infatti Alberto Rabagliati, Achille Togliani, il Quartetto Cetra, Flo Sandon’s, Gino Latilla, eseguendo brani come «Se potessi avere mille lire al mese, Pippo Pippo non lo sa, Parlami d’amore Mariu’, Ba-Ba-Baciami piccina, Tornerai, Torna piccina mia, Oh campagnola bella, Son fili d’oro i tuoi capelli biondi» e malinconie simili. Prima la Casina delle Rose era una latteria gestita dalla famiglia Bernardini.
Poco oltre, dentro Villa Borghese, verso la Terrazza del Pincio, c’era la Lucciola, un locale estivo ricavato in un tendone, vicino al famoso orologio ad acqua; era sempre affollato di studenti universitari; vi si andava in automobile e i suoi camerieri servivano le consumazioni agli avventori in auto direttamente sui vassoi. Maurizio Arena la notte lo visitava spesso, cantava qualche canzone, vinceva tutti gli incontri a braccio di ferro, era applaudito dagli studenti squattrinati ai quali era pertanto costretto ad offrire la consumazione.
Al di qua di Porta Pinciana, la riva destra di Via Veneto si apriva con un piccolo bar situato all’angolo con Via di Porta Pinciana chiamato Golden Gate, senza altre pretese che il servizio di latteria agli abitanti della zona. Solo pochi anni fa l’hanno chiamato Harris Bar, nome affascinante perché, anche se oggi non si sa più, come ho ricordato nel libro «La dolce vita minuto per minuto, tutta la verità su un fenomeno falsato», Harry’s Bar era il nome del bar in cui fu presentata per la prima volta, al mondo del cinema a Los Angeles, la giovane e prorompente Marilyn Monroe.
Pochi metri a valle si susseguivano invece due bar, il Carpano e il Rosati; il primo di proprietà dell’omonima ditta torinese produttrice di vermouth; il secondo da non confondere con l’altro famoso ed ancora esistente Rosati di Piazza del Popolo. Esercizi pubblici affascinanti, adesso il loro posto è occupato dalle banche, che tra l’altro lavorano poco perché in quella strada non si reca gente per compiere operazioni bancarie, per cui essa ospita insegne pressoché anonime.
Una volta l’amministrazione comunale romana tentò di far rivivere Via Veneto, di restituirle l’antico, scomparso splendore vietandovi la circolazione delle auto e consentendo di piazzare tavoli e sedie per i consumatori in mezzo alla carreggiata. Accorsero molti curiosi ma il risultato fu un flop clamoroso, l’ambiente sembrò ridotto ad uno squallido angolo di periferia. Si raccontò che il tentativo fosse stato suggerito da Victor Tombolini, creatore e gestore del Cafè de Paris, il quale era molto amico del presidente della Repubblica allora in carica Giuseppe Saragat. Fallito anche quel tentativo, la strada, continuò ad impoverirsi e a squalificarsi.
Quindi niente più personaggi di alta cultura neppure da Rosati. Niente più Ennio Flaiano, Sandro De Feo, Giovanni Russo, Ercole Patti, Andrea Rapisarda, Italo De Tuddo, Enzo Nasso, Augusto Borselli, Mino Guerrini, Vincenzo Talarico, Gian Gaspare Napolitano. Niente più gli umoristi Gioacchino Covili detto Attalo autore delle serie di vignette «Genoveffa la Racchia» e «Il gaga aveva detto agli amici»; Ugo Giammusso, Pasquale Curatola, Achille Campanile, Pasquale Festa Campanile, Italo Dragosei, Italo Fasan, Umberto Onorato, Mario Camerini, Mameli Barbara autore della serie delle prosperose «Signorine grandi Firme». Niente più i pittori Mario Mafai, Giovanni Omiccioli, Giulio Turcato, Sante Monachesi, Antonio Vangelli, Sergio Agostini, Franco Gentilini, Gino Zocchi, Vincenzo Petrillo, Roberto Jurlo, Laura Grisi, Anna Salvatore, Mimmo Rotella; gli scultori Alessandro Monteleone e Carmelo Scirocchi autore delle Muse della nuova facciata del Costanzi, ossia del Teatro dell’Opera. Via anche i poeti Sandro Penna, Marino Piazzolla e Gaio Fratini.
La gente di cultura, gli intellettuali erano tanti, ma nello stesso tempo si sedevano spessissimo in Via Veneto personaggi come l’ex re d’Egitto Faruk, l’ex imperatrice di Persia Soraya Esfandiari, la presunta altezza reale Marziano Lavarello Comnemo Laskaris Griffo Fokas Paleologo Obrenovix, pretendente al trono imperiale di Bisanzio e di Serbia, con la madre cosiddetta «basilissa», ovvero imperatrice; i reali di Grecia, d’Olanda, di Spagna e di Svezia. Innumerevoli gli attori italiani e internazionali a cominciare dalla folta pattuglia francese della cosiddetta «nouvelle vague cinematografica», ossia il più noto, più bello e più bravo Jacques Sernas, ed inoltre Jean Paul Belmondo, Roger Vadim, Jean-Louis Trintignant, Alain Delon, Pierre Brice, Jean Pierre Brialy, Michèle Morgan, Milene Demongeont, Jeanne Valery, Annette Stroyberg, Annie Girardot, Pierre Brasseur, Daniel Gelin, Anouk Aimée, Ivonne Fourneaux, Yvonne Sanson e i cantanti Yves Montand, Gilbert Becaud, Charles Trenet, Edith Piaf, Juliette Greco, Marcel Mouloudji.
E poi i grandi divi e le grandi stars americane: Elizabeth Taylor, Ava Gardner che usciva la notte con Walter Chiari, Tyrone Power che da poco aveva sposato nella chiesa di Santa Francesca Romana l’attrice Linda Christian; Rita Hayworth, Clark Gable, Humphrey Bogart, Victor Mature, John Wayne, Marlon Brando, Frank Sinatra, Gregory Peck, Robert Mitchum, Micky Rooney, Danny Kaye, Alan Ladd, Afdera Franchetti, Ginger Roger, Fred Astaire, Virginia Mayo; la coppia latino-americana Abbe Lane - Xavier Cugat con il cagnolino; gli inglesi David Niven e Cary Grant, l’ungherese Eva Bartok, le svedesi Ingrid Bergman e Anita Ekberg; il messicano Anthony Quinn.
Passato in altre mani, Rosati è diventato una banca, Carpano un’altra banca, Strega ha cambiato molte gestioni chiamandosi via via Wympy, Cavallino Rosso e poi tornando Strega. All’angolo con Via Sicilia era il negozio di scarpe di Raphael Salato, detto il re delle scarpe o lo sceicco bianco, sul cui marciapiede c’era sempre una folta fila di acquirenti. Oggi nella zona si aggira una moltitudine di «porteur», che bloccano i passanti invitandoli a seguirli in negozi, ristoranti e locali notturni.
Sono scomparsi i locali chic, come per esempio quello che era sotto l’Hotel Majestic, La Ninfa, nel quale suonavano grandi orchestre. In Via Emilia si apriva il Victor’s Bar di Tombolini, diventato poi Club 84 e poi Da Oliviero all’84. La vita anche notturna era molto vivace, i visitatori si attardavano fino a notte inoltrata. Molti si recavano in Via Veneto per ammirare le automobili americane, le cabriolet dai colori sgargianti o tenui, pastello, in prevalenza rosa o verde pisello. La domenica mattina vi si andava a comprare le paste, lo Strega aveva un’eccellente pasticceria. Vi si arrivava a piedi; molti, provenendo dal quartiere Prati, si servivano del tram: vi salivano in Piazzale Flaminio e scendevano a Porta Pinciana. Senza la giacca e la cravatta non si poteva passeggiare in Via Veneto; un giorno i carabinieri fermarono un ragazzo perché indossava un abbigliamento sportivo, e lo invitarono ad adottare giacca e cravatta.
L’ambasciatrice americana Clara Boothe Luce, con la quale la cosiddetta «giornalista pettegola di Hollywood» Elsa Maxwell era solita intessere pettegolezzi, si metteva spesso a sedere in un bar di Via Veneto; quando vi scorgeva seduta, intenta a sorbire una bibita, Anna Magnani che era una donna dai modi molto popolari, si alzava e andava a salutarla. Oggi i nostalgici viavenetini lamentano che i fotografi prediligono ritrarre ragazzette apparse in qualche comparsata televisiva, e che si fanno ritrarre in abiti succinti, con tre quarti delle gambe scoperte. Molti si domandano se il divismo delle grandi attrici dell’epoca sia paragonabile con quello delle starlettes dell’odierna tv. È vero che alcune «manager» televisive come è ritenuta Maria De Filippi, consorte del conduttore tv Maurizio Costanzo, hanno creato dei personaggi, ma non c’è nulla da paragonare ai tempi in cui in Via Veneto passeggiavano persone come Vittorio De Sica e Totò.
Talvolta la sera sedeva fuori del caffè de Paris perfino l’inflessibile ministro dell’interno Mario Scelba che nei Governi del dopoguerra si trovò a reprimere, con cariche della «Celere», proteste e manifestazioni della sinistra, come quelle del 1953 contro il tentativo della DC di far approvare in Parlamento la cosiddetta «legge truffa» diretta ad assegnare un cospicuo «premio» di seggi al partito che nelle elezioni avesse riportato la maggioranza relativa dei voti; violenti tafferugli scoppiarono in Via del Tritone e in Piazza Barberini, sedati da violente cariche annaffiate dalle manganellate della Celere, che interveniva ma che ha sempre rispettato Via Veneto.
Chi importunava di più erano i fotografi o paparazzi dell’epoca, che si infilavano addirittura nelle camere d’albergo di illustri ospiti. All’Argentario uno di loro riuscì a farsi ospitare addirittura a pranzo dal re e dalla regina di Svezia; era Lino Nanni, titolare dell’Agenzia Globe Foto situata in un punto strategico del centro storico di Roma, in Piazza della Rotonda, ovvero a fianco del Pantheon. Nanni era definito dai colleghi il «musichiere» perché assomigliava al pupazzo della trasmissione tv di Mario Riva. Altri attivissimi e intraprendenti fotografi furono Tazio Secchiaroli, Ivan Kroscenko, Marcello Geppetti, Elio Sorci, Mario Pizzi, Velio Cioni, Giacomo Alexis, Sergio Spinelli, Antonio Tredici, Umberto Salvemini, Umberto Spagna e tanti altri, ma non c’erano, come oggi, i falsi paparazzi che si autodefiniscono autentici e ingannano italiani e stranieri. Lentamente quel mondo è finito, perché il Cafè de Paris è passato in altre mani ed ora è addirittura chiuso a causa di un’intricata vicenda giudiziaria. La vita anche notturna era molto vivace, i visitatori si attardavano fino a notte avanzata.
Io fui il primo a pubblicare sul Corriere d’Informazione la foto dello spogliarello compiuto il 5 novembre 1958 nel ristorante-sala da ballo «Rugantino» di Trastevere da Aïché Nana, che viveva eseguendo disegni ad inchiostro di china, e striptease in locali notturni, come le colleghe Rita Cadillac, Dodo D’Hambourg e Baby Diamond. Aïché una volta lanciò il bustino che si stava togliendo contro l’ex re Faruk d’Egitto che, seduto a un tavolo dinanzi a lei, strillava mentre lei si spogliava. L’invitò a fare silenzio e a rispettare il suo lavoro, lui le rispose: «Ma stai zitta tu!» e lei gli scagliò il bustino in faccia. L’episodio avvenne nella Rupe Tarpea, in Via Veneto, locale per turisti ma nel cui interno ve ne era un altro, il Jicky Club, per nottambuli totali.
Spesso nei bar di Via Veneto si fermavano per un aperitivo l’ex re Costantino di Grecia e la consorte Anna Maria di Danimarca. Tra il Caffè Strega e l’Hotel Flora, c’è un grande portone dal cui androne si accedeva ad un piccolo, esclusivo e riservato locale notturno, il Brick Top, gestito da una signora, la cantante Gracie Field, che all’epoca gestiva anche la «Canzone del Mare» di Capri. Una notte il Brick Top fu addirittura assediato dai fotografi che avevano scoperto all’interno la coppia Ava Gardner-Anthony Franciosa.
Ma gli anni passavano e le mode cambiavano. A metà degli anni 60 si ebbe un segnale significativo: l’avvocato Alberico Crocetta e il commerciante di auto di lusso Giancarlo Bornigia aprirono una maxi discoteca chiamata «Piper» per i più giovani in Via Tagliamento, in un ex garage che non aveva ottenuto il cambio di destinazione d’uso a cinematografo. Fu una rivoluzione, anzi l’inizio di un nuovo fenomeno di costume: addio night club, locali ristretti, atmosfere ovattate, ambienti fumosissimi, canzoni sussurrate, cantanti e complessi confidenziali.
Il Piper, che segnò il successo di nuovi personaggi come Patty Pravo e Mal dei Primitive, accelerò il tramonto dell’ormai stanco e superato Club 84 e del Number One, quest’ultimo nato alla fine degli anni 60 in Via Lucullo ad iniziativa di un gruppetto di play boy rampanti che ne determinarono, però, anche una rapida e ingloriosa fine, ossia la chiusura d’autorità per la presenza in esso di droga, il cui uso ormai stava diffondendosi dal mondo aristocratico a quello dello spettacolo e delle professioni.
Victor e Blanche Tombolini, che avevano creato il fenomeno Dolce Vita, si avvidero subito dell’arrivo delle nuove tendenze e, gestendo sempre il Cafè de Paris, corsero ai ripari. Esisteva in una strada adiacente a Via Veneto un locale dedicato alla pubblicizzazione e commercializzazione della Birra Moretti. Fu invitato a gestirlo Tombolini, il quale accettò ma solo dopo l’esortazione rivoltagli dall’ex re Faruk, che gli indicò la persona ideale per gestirlo. Nacque così il Sans Souci, ovvero il «senza preoccupazioni», che prese il nome da uno dei più famosi castelli di Potsdam, capitale del Brandeburgo, residenza estiva in stile rococò del re di Prussia Federico II il Grande.
Dopo averlo gestito per un paio di anni, Tombolini cedette questa seconda attività, durata complessivamente 40 anni, fino a quando fu venduto tutto il palazzo della Birra Moretti. Il successo di quel locale fu talmente grande che nell’alta stagione turistica gli americani facevano la fila e si mettevano all’angolo tra Via Veneto e Via Sicilia sin dalle 19. Ma per un locale chiudeva ne sorgeva subito un altro. Il che avvenne puntualmente in una parallela di Via Veneto, Via Marche, ove esisteva la succursale di una Vetreria di Murano, il cui gestore cedette un intero piano che fu adibito a nuovo locale-ristorante, intitolato La Clef. Ebbe un grande successo, vi furono celebrate ricorrenze fastose nel bel mondo romano-internazionale, il 18esimo compleanno di Carolina di Monaco; il matrimonio della contessa Mimì Pecci Blunt; il compleanno di Miguel Bosé; i 18 anni di Roberto Rossellini, figlio del banchiere Renzo. Questi gli avvenimenti più significativi.
La Clef ha avuto tante stars, come Josephine Baker che aveva difficoltà nell’entrarvi a causa degli alti cappelli di piume bianche. Una sera il play boy romano Gianfranco Piacentini vi accompagnò il cantante Franco Califano che, invitato ad esibirsi in una canzone, riscosse un grande successo, fu subito assunto e ruppe il contratto che lo legava al Club 84 di Oliviero Comparini. In breve tempo Califano determinò un successo clamoroso superando i pienoni e gli incassi di Peppino Di Capri.
Tags: Marzo 2015 Roma hôtellerie Victor Ciuffa Dolce Vita via Veneto caso Montesi