Femminicidio, il delitto c’è ma le parole sono troppe
La parola «femminicidio» è oscena tanto quanto ciò che vuole rappresentare. Già il termine «femmina», dopo l’attribuzione al momento della nascita, è stato ed è male usato; quasi sempre in senso, se non dispregiativo, certamente sottoindicativo. Poi, per la proprietà transitiva, la parola si appesantisce, direi s’involgarisce, con la crasi della parola «omicidio». Nella valutazione giuridica questo termine non vuol dire uccisione di un uomo, ma uccisione in quanto tale; stranamente però, perché dovrebbe tradursi piuttosto in «muliericidio».
Perché si è avuta la necessità di coniare il termine «femminicidio» e di abusarne, come sta accadendo? L’espressione linguistica spesso è una moda, diffusa dall’uso ripetuto della stampa; banale all’inizio, viene poi riecheggiata al punto di diventare rappresentativa di un concetto al di là dell’input iniziale. Cosa farebbero i giornalisti sportivi, e in specie i titolisti, se non esistesse il verbo volare? «Volano» uomini e mezzi, calciatori e motociclette, sciatori e turboauto, nuotatori e catamarani, ma anche i titoli e le borse.
Non che sia scorretta l’applicazione, ma perché quest’appiattimento per sbrigare la pratica prima che sia iniziata? Quante persone, che non sanno cosa sia la monarchia e in che consista, diventano regine e re, astri superstellari, divinità terrene? Ha ragione l’artista quando dipinge i baffi alla Gioconda o fotografa Einstein con la linguaccia; e le cose tornano a posto.
Parliamo delle donne. Non amo le statistiche né i luoghi comuni delle credenze folkloristiche. Ogni fatto che riguarda l’essere vivente è unico e come tale va considerato. Dimentichiamo gli anni in cui l’assassinio per adulterio era giustificato come «delitto d’onore»; ma l’adulterio era solo dalla parte di Lei; l’altro, con cui l’aveva commesso, non era considerato.
Nella mente dell’uomo, questa volta sì del maschio, si annida, ereditato, il concetto del sesso forte, dominante, prepotente, il concetto della differenza, della supremazia. E allora per coloro la cui educazione di base, che controlli i sentimenti come i gesti, è carente, l’impulso al predominio, al possesso, alla padronanza scatena quella violenza che, obnubilando il raziocinio, produce le tragedie alle quali noi assistiamo.
La civiltà, così chiamata, si è sviluppata molto lentamente rendendo ancora più radicati preconcetti e principi; e le religioni non sono esenti da colpe in questo corso della ragione al «ralenty», quando non sono causa essenziale. Il principio generale della mancanza di rispetto verso tutti gli esseri della natura è materia che nelle scuole dovrebbe non essere insegnata ma inculcata, e con un’attenzione verso l’essere femminile, non fosse che per il semplice, banale motivo che ad esso dobbiamo la vita.
I travagli d’amore, le gelosie, le economie, gli interessi, i problemi dei figli quando ci sono, sono capaci di stravolgere la sfera emozionale al punto da renderci assassini, spesso di chi in qualche modo abbiamo amato. Questi inaccettabili abbandoni, evidenti segni di incapacità o impossibilità di convivenza, questi ritorni di gelosie che, probabilmente inesistenti durante il rapporto, nascono forse per la rabbia causata dalla rinascita in nuovo modo della vita di lei; per reazioni a torti la cui gravità, per enorme che possa essere, non è mai ragguagliabile all’atto di togliere la vita magari a chi ci ha generato o abbiamo generato.
Si passa alla definizione «momento di follia», «momentanea incapacità d’intendere e di volere». Non discutiamo di chi è malato o disagiato, casi in cui la responsabilità e di chi, dovendo, non controlla. Siamo oggi pieni di problemi e ciascuno accumula mancanze, insuccessi, ansietà. Ma è giustificabile il fatto che tutta l’acredine o il livore che portiamo debbano rivolgersi contro la donna? I sociologi, che non sono profeti, definiscono quasi sempre i delitti «frutto delle colpe della società».
Questo ente incommensurabile è il catino nel quale si riversano tutte le motivazioni, le nefandezze, le cause insolute. Non abbiamo né possiamo averne indicazioni allevianti la situazione mondiale. E spunta una parola sempre più obsoleta nella vita odierna, la «coscienza»; per la sua mancanza paghiamo per tutto ciò che ci circonda. La sua esistenza consentirebbe di rivedere queste reazioni di odio incontrollato e vile. Ma di cosa parliamo, senza una scuola educatrice? Considero la figura della donna la più bella da ammirare, da doversi mai offendere né umiliare, ma soltanto esaltare.