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potrebbe essere eliminato un terzo dei privilegi gravanti sulle imprese debitrici

LUCIO GHIA

L'agenzia di valutazione Standard & Poor’s ha colpito ancora l’Italia per il suo debito pubblico. Questa volta il «down rating» l’ha relegata nell’area prossima ai titoli spazzatura BBB-. Dal precedente «più» all’attuale «meno» il passo è breve. Questa decisione è la conseguenza di notizie sempre più negative sulla perdita di prodotto interno, sulla disoccupazione, sull’incapacità di realizzare sino in fondo le riforme della Giustizia, del Lavoro, della Finanza, della Scuola, della Sanità, e perfino della Legge elettorale, pur annunciate a gran voce in Italia e all’Estero dal presidente del Consiglio e dai ministri italiani.
La determinazione e la forza del ciclista non basta a far muovere la bicicletta se manca la cinghia di trasmissione: cioè fisco, sindacati, giustizia, costi della Pubblica Amministrazione, tempi lunghi delle troppe Autorità preposte a qualsiasi concessione, licenza, autorizzazione, certificato, permesso ecc., sono gli anelli mancanti nella catena attuativa delle riforme; le imprese che producono continuano a trasferirsi all’estero e il Paese non riparte. Si paventa una nuova guerra dei tassi di remunerazione degli investimenti sui titoli italiani; evidentemente le misure approntate dalla Banca Centrale Europea non appaiono sufficientemente tranquillizzanti o, forse, stimolano gli appetiti dei famelici investitori esteri. Le agenzie di rating internazionali spargono benzina sul fuoco.
In questo contesto c’è però una notizia positiva collegata all’attenzione che alcune Istituzioni, costituenti la catena di trasmissione delle riforme, hanno dedicato in questi ultimi tempi alla necessità di adeguare il nostro sistema economico, produttivo e giudiziario alle direttrici che gli osservatori di rilevanza mondiale hanno da tempo individuato e continuano ad indicare. Su questa rivista mi sono già occupato del Doing business, pubblicazione della Banca Mondiale che quest’anno relega l’Italia all’89esimo posto della classifica dell’efficienza dei Paesi. Quindi, per dirla sinteticamente, gli investitori esteri che volessero investire in altri Paesi avrebbero 88 opzioni più favorevoli o più tranquillizzanti rispetto all’offerta italiana.
Tra gli indicatori di efficienza del Doing business si trova il «getting credit» pesantemente compromesso in Italia dalla rigidità del sistema creditizio che non appare sorretto da un’adeguata normativa idonea a sostenere le attuali necessità finanziarie delle imprese. Dagli Stati Uniti dovremmo aver imparato la regola aurea per ottenere finanziamenti, che è basata sulle cosiddette tre «C»: collateral, collateral, collateral. Cioè garanzie, garanzie, garanzie. Avere, quindi, a disposizione l’intera gamma di beni aziendali e non, da offrire a tale scopo di garanzia e continuare ad usarli per le necessità produttive può costituire un’ulteriore concreta possibilità per reperire finanziamenti.
Ma anche l’area delle garanzie finanziarie va sensibilmente rivitalizzata, perché oggi è pesantemente condizionata da limiti e incrostazioni secolari che la bloccano pesantemente, dovute al sommarsi delle garanzie tipiche, ovvero previste per legge. Ne ho contate alcune decine che vanno dal credito privilegiato sugli arredi dell’abitazione del debitore per i canoni di locazione non pagati e per le spese funerarie, ai crediti dei dipendenti, dei professionisti, ma soprattutto ai crediti fiscali a diverso titolo, nelle tante tipologie che li caratterizzano.
Non dovrebbe essere oggi particolarmente difficile liberarsi di molti privilegi che non hanno più ragione di esistere in quanto nati in tempi lontani e slegati dalla realtà attuale, ma soprattutto in contrasto con il regime delle garanzie analoghe, che è proprio dei Paesi ad economie avanzate, anche comunitari. Basta esaminare la normativa dei privilegi dei Paesi concorrenti per stabilire il «minimum content», ovvero quali siano i privilegi tipici normalmente fissati, e generalmente riconosciuti, per accorgersi che un buon terzo delle nostre disposizioni codicistiche e normative vigenti potrebbe essere eliminato.
Questa semplice operazione avrebbe molteplici effetti positivi, ampliando la gamma dei beni materiali ed immateriali che ogni impresa potrebbe dedicare, senza spossessarsene, al reperimento di ulteriori garanzie per nuovi e più facili finanziamenti, non necessariamente solo bancari, a costi più ridotti. Tale innovazione renderebbe inoltre più concorrenziali le imprese che finalmente userebbero, anche a fini finanziari, beni oggi destinati solo alla produzione, realizzando condizioni di accesso al credito più omogenee rispetto agli omologhi esteri.
Di questi problemi si è occupata l’Uncitral, e chi scrive è testimone del lavoro svolto perché fa parte da oltre 10 anni della Delegazione italiana sui Secured Interest e sulle Secured Transactions, ovvero che si occupa dei finanziamenti garantiti, della loro creazione, costituzione, funzionamento ed estinzione. Dalla Commissione permanente delle Nazioni Unite per il Diritto del commercio internazionale viene suggerito, con metodologia analitica e tipicamente pragmatica, il programma da attuare. L’analisi delle best practicies che sono proprie di esperienze già compiute in altri Paesi arricchisce il commentario delle Guide legislative pubblicate sul tema e conduce alle raccomandazioni, ai principi che è necessario osservare per ottenere i risultati voluti. I Paesi che hanno adottato questo strumento finanziario ed insieme istituto giuridico sono molti. Anche l’esperienza di Paesi come Francia, Belgio, Olanda, Stati Uniti, Cina, Israele, Australia, Inghilterra con la sua «floating charge», milita a favore dell’adozione di questi strumenti.
È evidente che, se il numero dei Paesi tende ad aumentare così come i volumi dei finanziamenti garantiti che hanno raggiunto cifre enormi, una ragione deve esservi. Le nostre resistenze, o la nostra passività, di fronte al «nuovo» che avanza non rappresentano, perciò, un buon segno nella prospettiva del recupero dell’efficienza economica e dell’efficacia del rapporto banca-imprese. Il «cuore» individuato dalle Nazione Unite di questo, per noi, nuovo strumento finanziario che dovrebbe rendere più agevole l’accesso al credito anche per le start up, è costituito da un registro elettronico delle garanzie non possessorie, di facile accesso e dai costi di iscrizione molto contenuti.
La gestione dei registri, oggi collaudata in molti Paesi tra i quali per semplicità di accesso e di funzionamento spiccano l’Australia e la Nuova Zelanda, appare estremamente semplice, diretta e priva di burocrazia. Il garante iscrive in questo registro il bene che ha concesso in garanzia precisando quali siano l’impresa debitrice, il creditore garantito e l’ammontare della garanzia. Ma lasciando da parte, per ora, i tecnicismi funzionali, torniamo alla buona notizia.
Anche in Italia in questi ultimi tempi si è mostrato interesse, o meglio si sono dati segnali di volersi avvicinare a questo strumento operativo ed insieme istituto giuridico, nuovo per il nostro sistema. Già nella scorsa legislatura è stato presentato alla Camera dei Deputati il disegno di legge n. 2092 dagli allora ministri della Giustizia Anna Maria Cancellieri e della Pubblica Amministrazione Gianpiero D’Alia, recante disposizioni per l’efficienza del processo civile, la riduzione dell’arretrato e il riordino - questa è la parte che ci interessa - delle garanzie mobiliari, nonché altre disposizioni per la semplificazione e l’accelerazione del processo di esecuzione forzata collegato alla legge di stabilità 2014.
Questo disegno di legge, che ha avuto vita breve in quanto, presentato il 12 febbraio 2014, è stato subito ritirato, potrebbe certamente essere migliorato anche alla luce degli studi e degli indirizzi dell’Uncitral, ma senz’altro rappresenta un buon inizio perché gli ostacoli tradizionali che la finanza garantita trova sul proprio cammino, che sono caratteristici del nostro attuale sistema, vengono senz’altro affrontati. Infatti, la frammentarietà, la scarsa efficienza, la proliferazione nel tempo dei privilegi, la mancanza di un registro elettronico dedicato ai beni mobili materiali e immateriali e alle garanzie che vi vengono costituite, sono tutti temi che non vengono ignorati.
La tecnologia telematica è oggi così avanzata che permette di avere in tempo reale completezza informativa sui beni a disposizione dell’impresa, in una prospettiva elastica ed omnicomprensiva che possa includere anche le loro variazioni; per esempio il «magazzino», i marchi, i brevetti, il know how, l’avviamento ecc., tutti assets oggi in attesa di sviluppare anche la loro vocazione non solo produttiva, ma di garanzia finanziaria.
Le iscrizioni nel registro elettronico dovrebbero servire a rendere opponibili ai terzi le annotazioni dei privilegi concessi ai creditori, creando anche la certezza della loro data, in modo da stabilire se un’iscrizione è stata fatta prima di un’altra, e da ciò far discendere l’applicazione del principio: «prior in tempore, potior in iure», e quindi enunciare il grado dei privilegi che gravano su beni aziendali. L’avvento di questo sistema, tra l’altro da chi scrive già auspicato su questo giornale, potrebbe finalmente accelerare quel processo di trasparenza e di visibilità del reale indebitamento delle imprese, realizzando progressivamente quei principi di chiarezza, veridicità e completezza dei bilanci delle imprese che costituiscono il traguardo comune dei Paesi più industrializzati. Forse esistono ancora troppe opacità nei bilanci delle imprese italiane perché possano essere eliminate in tempi ragionevoli, ma l’avvento della trasparenza e della chiarezza è ineludibile, ed anche l’agenzia Standard & Poor’s ce l’ha ricordato con durezza. La possibilità per il garante di continuare ad usare i beni aziendali oggetto di garanzie, l’eliminazione del «patto commissorio» di sommaria memoria, ovvero la possibilità per il creditore garantito di diventare proprietario dei beni oggetto della garanzia, nel caso di mancata restituzione delle somme garantite oggi vietate, ma ammesse da altri ordinamenti di riferimento, la possibilità di regolatore contrattualmente l’escussione delle garanzie senza ricorrere necessariamente al Giudice, costituiscono conquiste della finanza moderna sospinta dall’efficienza dei registri elettronici, e appaiono realizzabili anche in Italia.
La necessità di un cambiamento veloce quanto epocale è avvertita diffusamente dagli operatori economici, ma per raggiungere questo obiettivo virtuoso sul piano della competitività, dell’efficienza e della produttività è urgente che tutte le forze interessate quindi il legislatore ma anche le imprese, i sindacati, il mondo del lavoro, le banche, il fisco, la pubblica amministrazione e i professionisti, si sentano autenticamente coinvolti in una partita unica giocata da tutti quanti insieme, nel rispetto dei diversi ruoli e funzioni, ma dalla stessa parte e contemporaneamente. Se questa è la direzione comune e condivisa dalle parti interessate, promettenti ed opportune sono le iniziative adottate in questi giorni, prima tra tutti dall’ABI, che ha organizzato una riunione di esperti su questi temi, alla quale hanno partecipato professionisti, professori universitari, rappresentanti di enti finanziari e bancari; e l’altra dal Ministero degli Esteri che ha dato vita a metà dicembre a una giornata di lavoro sul recupero dell’efficienza del nostro sistema attraverso il potenziamento e il rinnovamento del settore relativo alla finanza garantita.
Costituiscono, questi, segnali da non scoraggiare, primi passi di un percorso appena iniziato ma essenziale, che, rispettando le diversità funzionali delle varie Istituzioni coinvolte, mira ad un’azione unitaria, nell’interesse del Paese e di tutti. 

Tags: Gennaio 2015 Lucio Ghia

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