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Con la spirale tecnocratica l’Europa muore

Maurizio de Tilla, presidente dell’ANAI, Associazione Nazionale Avvocati Italiani

Diverse concezioni si contrappongono sull’Unione Europea. In un libro scritto da Giuliano Amato e da Ernesto Galli Della Loggia le tesi contrapposte sono le seguenti: l’Europa va solo corretta (Amato); l’Europa non va, bisogna ripartire da zero (Galli Della Loggia). Mentre Amato ritiene che l’Unione Europea, nonostante le difficoltà, può riprendere la marcia con alcune incisive riforme nel senso di una maggiore integrazione, Galli Della Loggia contesta alla radice l’ideologia europeista che, a suo avviso, covava dentro di sé fin dai Trattati di Roma del 1957 i germi della malattia esplosa di recente.
Il conflitto tra le due concezioni è stridente e quasi irrisolvibile. Intanto il filosofo Jürgen Habermas fa rilevare che «con la spirale tecnocratica l’Europa muore». Disattese infatti le condizioni ottimali per una moneta unica, le disuguaglianze strutturali delle varie economie nazionali hanno finito per aggravarsi. E continueranno ancora ad aggravarsi finché la politica europea non la farà finita con il principio per cui ogni Stato nazionale deve decidere sovranamente da solo, senza guardare agli altri Stati associati.
Le riforme fin qui decise dall’Europa non hanno mai intaccato la sovranità degli Stati. Anzi l’hanno rafforzata, come il Trattato di Lisbona. Si è, quindi, perseverato nell’errore di aver costruito un’unione monetaria senza abbandonare l’idea di Stati sovrani. Per abbandonare questa visione dell’Europa si indicano come necessarie alcune riforme. Bisogna anzitutto decidere di portare avanti il processo di trasformazione della comunità monetaria in una vera unione politica. Decidersi per un forte nucleo europeo è qualcosa di più che un semplice passo verso il trasferimento di singoli pezzi di sovranità. Sul piano procedurale, la detronizzazione di un Consiglio europeo ancor oggi sovrastante il processo legislativo significherebbe finalmente passare dall’intergovernabilità a un metodo sostanzialmente comunitario.
La concezione fortemente comunitaria non solo può incrementare direttive ed azioni europee, ma aiuta a superare il particolarismo degli Stati nazionali. Sia nel Consiglio sia nei Comitati interparlamentari, i rappresentanti sono, infatti, obbligati anzitutto a difendere gli interessi delle loro rispettive nazioni. Ora, a parte la bontà delle proposte delle quali non intendiamo in questa sede discutere, emerge la consapevolezza che non esiste un’Europa autorevole, essendo tutto o quasi affidato ad impegni volontari, che spesso non sono vincolanti. Per progredire in un cammino virtuoso occorre, peraltro, una nuova solidarietà europea.
Solidarietà è, infatti, un concetto che non piace a certi Paesi dell’Unione Europea. Molti l’interpretano esclusivamente come l’obbligo di aiutare Paesi che hanno disatteso i loro impegni. Invece è la realtà stessa che ci spinge all’aiuto reciproco, e la misura di questo aiuto non è solo quella che sta scritta nei testi giuridici. La solidarietà non deve essere necessariamente scritta nei Trattati, ma deve costituire il tessuto connettivo di un’Unione che sia reale e incondizionata. La solidarietà non presuppone un «do ut des», ma il modo più efficace per stabilire una reale convivenza politica.
È chiaro a tutti che l’Europa ha perso numerose occasioni per una più compiuta Unione politica. Anzitutto l’abbandono, per la determinazione di alcuni Stati, della Costituzione europea e il ripiegamento nel Trattato di Lisbona con il quale si è riaffermata la sussidiarietà politica dell’Unione Europea. L’appello di alcune illustri personalità italiane per la costruzione di un’Europa federale con un’assemblea costituente europea, è da condividere anche se questa sembra idealistica nei tempi che viviamo di crisi di identità europea e di egemonia, non condivisibile, della Germania nel contesto dei partners.
Tra i sottoscrittori dell’appello figurano Umberto Veronesi, Pellegrino Capaldo, Antonio D’Amato, Giuseppe De Rita, Romano Prodi, Giorgio Squinzi, Luciano Violante. Intanto, la crisi economica non aiuta un discorso di rifondazione dell’UE che, viceversa, si frantuma per effetto di un eccessivo rigore. Secondo l’economista Paul Fitoussi, non si cresce per miracolo, ma con un impegno costante e interventi appropriati che non hanno nulla a che vedere con la politica UE del rigore. Il rischio, se si continua così, è passare dalla recessione alla stagnazione, così come nel recente passato si è transitato dalla depressione alla recessione. Per evitare ciò bisogna abbandonare la politica esasperata del rigore, spendendo molto di più per la crescita.
Roberto Poli, coordinatore del Gruppo di studio per un’analisi comparata della finanza pubblica, ha affermato che è molto meglio osare cose straordinarie piuttosto che vivere nel grigio e indistinto crepuscolo che non conosce né vittorie né sconfitte. L’Italia esita ancora una volta, presa dalla morsa di una politica instabile e da un’incalzante caduta di etica della politica. Anche se i parametri di Bruxelles sono flessibili, l’Italia reclama in Europa una maggiore e più consistente elasticità per avviare la ripresa e lo sviluppo.
Rispettare i parametri con una «supertassazione» non contribuisce certamente a favorire la crescita di un Paese dilaniato dagli effetti della crisi economica: disoccupazione e precariato record, redditi dei professionisti e degli autonomi più che dimezzati, imprese fallite o chiuse, dimezzamenti degli esercizi commerciali per il calo dei consumi ecc..  

Tags: Gennaio 2015 Unione Europea libri Maurizio de Tilla Fitoussi

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