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italia-montenegro: e' venuto finalmente il tempo della comprensione?

Milo Djukanovic, presidente del Consiglio del Montenegro

All’inizio di ottobre di quest’anno la Commissione Europea ha pubblicato un rapporto sul processo di associazione del Montenegro all’Unione Europea durante il 2014. Paragonando con gli stessi report degli anni scorsi quando tutto era pervaso soltanto di ottimismo e di prospettive solari, il documento del 2014 sembra molto più misurato: indica i problemi come la supremazia della legge, la libertà di stampa, la mancanza di divisione tra il potere esecutivo e quello legislativo; il fatto che gli investitori stranieri, che hanno investito centinaia di miliardi di euro nell’economia del Montenegro, si sono trovati indifesi davanti ai soprusi dei poteri locali.
In realtà l’Italia rischia di perdere più di 500 milioni di euro, già investiti nell’economia del piccolo Paese balcanico. I primi campanelli di allarme già stanno suonando. I funzionari della Commissione Europea devono adottare un energico atteggiamento chiedendo dal Governo del Montenegro la stretta osservanza di tutti gli obblighi assunti da questo Paese per quanto riguarda l’associazione con l’Unione Europea. Solo così potremmo proteggere i nostri interessi. Dal punto di vista degli investimenti stranieri, l’Italia ha fortissimi posizioni economiche in Montenegro. Le aziende italiane stanno investendo nella costruzione di centri balneari e alberghi. Ma l’obiettivo principale dei nostri investimenti è il settore energetico.
Nel 2009 l’azienda energetica milanese A2A ha comprato il 44 per cento delle azioni dell’azienda elettroenergetica montenegrina EPCG, pagando 436 milioni di euro e acquisendo un contratto di gestione per 5 anni. L’EPCG è l’azienda montenegrina monopolista produttrice di elettricità. I suoi asset aziendali sono alcune centrali idroelettriche della capacità produttiva di 950 megawatt e le reti elettriche. Nel 2011 la maggiore azienda italiana di elettricità, Terna Spa, ha acquistato il 22 per cento delle azioni della CGES, operatore nel mercato montenegrino dell’energia elettrica, pagando alcune decine di milioni di euro. L’obiettivo principale delle aziende italiane era quello di organizzare l’esportazione di energia elettrica dalla penisola balcanica verso l’Italia. La logica di questo progetto è più che chiara: il costo dell’energia elettrica nei Balcani è quasi tre volte inferiore a quello italiano. Inoltre quella regione ha molte prospettive per quanto riguarda l’idro-potenzialità: vi si possono costruire alcune centrali idroelettriche di medie dimensioni.
È proprio quello che intendeva compiere l’A2A in Montenegro, mentre Terna puntava a costruire la linea di trasporto dell’energia elettrica dalla città montenegrina di Teodo a Villanuova in Abruzzo via cavo sottomarino di 400 chilometri posato sul fondo del Mare Adriatico. Il progetto di esportazione di energia elettrica era stato elaborato e discusso già dal 2007. Ed inoltre aveva ottenuto un ampio sostegno della Commissione Europea perché poteva accrescere la sicurezza energetica dell’Italia e nello stesso tempo aumentare la quota di energia prodotta da fonti rinnovabili nel bilancio energetico del Paese.
Ma in realtà, invece che dinanzi ad una generale allegria per un’opera, negli accordi, di ampio respiro, le due aziende italiane si sono trovate faccia a faccia con i gravi problemi del Montenegro. Subito dopo il ricevimento, da parte dell’A2A, della gestione dell’EPCG, il Governo del Montenegro ha ridotto del 20 per cento le tariffe dell’energia elettrica, causando minori entrate all’azienda italiana.
Le autorità montenegrine, essendo lo Stato il secondo azionista di EPCG, non volevano consentire la ristrutturazione della società e la riduzione del personale in eccesso. Hanno costretto invece le aziende italiane a fornire senza pagamento elettricità alla fabbrica di alluminio locale e agli enti statali. Proprio per questo motivo nel 2011, invece di un profitto la EPCG ha registrato la perdita di 66 milioni di euro, e l’anno successivo di 5 milioni di euro.
In questa situazione il Governo del Montenegro chiede all’italiana A2A ampi investimenti nelli reti di elettricità e la costruzione di un’unita elettrogena sulla centrale termoelettrica Pljevlja, dallo stesso nome della città in cui si trova, situata nel nord-est del Paese, del costo di 200 milioni di euro. E il massimo del cinismo è costituito dal tentativo del Governo montenegrino di esigere un credito di 45 milioni di euro dall’EPCG e dall’A2A come tassa sull’elettricità fornita gratuitamente ai consumatori in base alle direttive governative.
Alla fine di lunghe trattative questo cosiddetto «debito» di EPCG è stato convertito nei titoli che erano stati sequestrati dallo Stato. In tal modo il pacchetto azionario dell’italiana A2A nella società EPCG si è ridotto dal 44 al 41 per cento. Ora i deputati del Parlamento montenegrino stanno chiedendo al loro Governo di rescindere il contratto di gestione con l’A2A e riportare l’EPCG indietro, ossia sotto il controllo del Governo. La direzione dell’italiana A2A ha già dichiarato di voler uscire dall’EPCG, di voler denunciare il caso e chiedere un arbitraggio internazionale sulle pretese del Montenegro.
Ha incontrato problemi anche la Terna; praticamente la più grande azienda italiana del elettricità è diventata oggetto di ricatto in Montenegro. È stato rinviato il progetto della costruzione del cavo sottomarino del costo stimato in un miliardo di euro. La ragione è che, dopo la conferma del progetto, si è scoperto che appartengono a persone fisiche private le aree della città Teodo (nelle quali si volevano costruire gli impianti a sevizio delle elettroreti, e che quelle persone esigono dalla Terna di acquistare quelle aree a prezzi varie volte più alte di quelli di mercato).
Alla fine Terna si è trovata in una situazione molto difficile: ha già investito somme consistenti per la parte italiana del progetto; bloccarlo adesso comporterebbe subire gravi perdite. Secondo i media montenegrini e italiani, i proprietari di quelle aree hanno stretti legami con funzionari governativi di quel Paese. Le date di avvio del funzionamento del progetto sono state cambiate più di una volta: dall’inizio del 2013 alla fine del 2015 e ora alla fine del 2017.          
Ovviamente l’autorità montenegrina considera gli investitori stranieri non partner ma solo «vacca da latte» grazie alle quali risolvere i problemi del deficit del bilancio statale ed anche delle proprie tasche. E non si tratta solo delle aziende italiane ma dell’applicazione ad esse di un sistema attuato già dal Governo del Montenegro agli investitori di altri Paesi membri dell’Unione Europea. Questo mentre la Commissione Europea fino agli ultimi tempi puntava l’attenzione solo sulla volontà politica del Montenegro di entrare nell’UE, chiudendo gli occhi su quello che stava succedendo in quel Paese, ossia su violazioni di leggi e sui problemi che hanno incontrato i maggiori investitori più europei senza eccezione, per la colpa di quel Governo.  
Nel 2011 per la colpa dello stesso ha sofferto l’azienda olandese MNSS, proprietaria della più grande fabbrica metallurgica di quel Paese. La MNSS ha acquisito il pacchetto di controllo di quella vecchia fabbrica nel 2008. Ha investito nella sua modernizzazione decine di milioni di euro trasformandola in un’impresa moderna. Nel 2011 l’azienda olandese è stata allontanata dalla sua gestione con una procedura di bancarotta fraudolenta.  Al termine di quella vicenda il Governo montenegrino ha acquisito la fabbrica e nel 2012 l’ha rivenduta ad un’azienda turca. In questo modo la MNSS, che vi aveva investito più di 100 milioni di euro, si è ritrovata estromessa senza ottenere nessuna compensazione. Ha fatto ricorso alla Corte d’arbitraggio di Washington contro il Governo montenegrino ed ha ottenuto una prima vittoria.  
Nel 2013 di una vicenda simile è stata protagonista l’azienda cipriota CEAC, quale azionista della fabbrica di alluminio Podgorica, l’impresa industriale più grande in tutto il Montenegro. Nel 2005, nell’ambito delle privatizzazioni in atto nel Paese, la CEAC ha comprato la fabbrica e la miniera di bauxite che forniva a questa la materia prima. Subito dopo l’affare, si era chiarito che il Governo montenegrino aveva falsificato la contabilità finanziaria dell’impianto, e quanto meno non esistevano informazioni su debiti e sulle altre obbligazioni dell’azienda ammontanti a decine di milioni di euro. Nel 2007 CEAC ha iniziato la procedura di arbitraggio contro il Governo del Montenegro a Francoforte sul Meno. Ma nel 2009, nella situazione di crisi in cui è finito il settore dell’alluminio, ha deciso di firmare un «trattato di pace» in cambio del consenso del Governo montenegrino alla ristrutturazione dell’impianto, che permetteva all’azienda cipriota di ridurre il personale eccessivo. Come risultato della modernizzazione e ristrutturazione dell’impianto, nel gennaio 2012 per la prima volta dal 2006 la fabbrica ha registrato un profitto. Però nel 2013 il Governo montenegrino ha avviato la procedura di bancarotta fraudolenta dell’impianto ed ha allontanato la CEAC dalla gestione cipriota.
Alla fine di questa storia l’impianto è stato dichiarato in bancarotta ed è stato venduto dal Governo montenegrino all’azienda locale Uniprom per un importo simbolico di 28 milioni di euro, nonostante la decisione della Corte distrettuale di Nicosia di chiudere tutte le operazioni con i beni di proprietà della CEAC in Montenegro. Come riferiscono i mass media montenegrini, il proprietario di Uniprom Veselin Perisic, legato alle autorità del Montenegro, prevede di vendere in futuro questo impianto ad investitori stranieri ad un prezzo molto più alto di quello che ha pagato. La CEAC ha avviato due processi contro il Governo montenegrino a Vienna, chiedendo il risarcimento degli investimenti compiuti, pari ad oltre 900 milioni di euro.
Questo atteggiamento costringe gli investitori stranieri ad andare via dal Paese. Va anche ricordato che l’ex primo ministro montenegrino, Milo Djukanovic, alla guida del Paese da 30 anni, ha cambiato soltanto i nomi delle cariche che occupa ma è ritenuto responsabile di quello che sta succedendo. Era comunista, pupillo del presidente della Iugoslavia Slobodan Milosevic. Adesso è lui che sta portando il Paese nell’Unione Europea. Nel 2001 la Procura della Repubblica di Bari ha avviato un processo contro di lui accusandolo di contrabbando di sigarette in Italia.
Sembra che finalmente i funzionari della Commissione Europea stiano aprendo gli occhi e comincino a capire che la realtà montenegrina è talmente diversa dal bel quadro che il Governo del Montenegro sta dipingendo alle delegazioni dell’UE. Ovviamente il Montenegro trarrebbe notevoli vantaggi dall’associazione all’UE. Ma questo non deve accadere: i funzionari dalla Commissione Europea devono chiedere ai montenegrini la stretta osservanza di tutti gli obblighi assunti dall’inizio del processo di associazione. Devono essere promosse adeguate riforme, devono essere risolte tutte le situazioni problematiche con gli investitori stranieri. Solamente così l’Italia potrebbe assicurare gli investimenti già fatti e quelli futuri verso Montenegro.

Tags: Novembre 2014

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