COME CONTRASTARE L’ENNESIMA CURA INUTILE DELLA GIUSTIZIA CIVILE

Il Governo ha annunciato una riforma organica della giustizia partendo dal processo civile. Sarebbe l’ennesima riforma che si aggiunge alle quindici precedenti che hanno prodotto un solo risultato: l’allungamento dei processi. Questa la novità. Si è detto che il 30 giugno 2014 sarebbe partito il processo telematico. Ma non si è detto che gran parte degli uffici non erano e non sono pronti e che il sistema previsto è lacunoso (ed anche pericoloso). Si dice che saranno accorciati i tempi dei processi. Ma come? La media conciliazione obbligatoria è servita solo ad ostacolare e rimandare l’inizio dell’azione giudiziaria. Il filtro in appello è di oscura e scarsa applicazione. Mancano giudici e risorse economiche. Continuano gli sprechi nella giustizia.
Il Tribunale delle imprese non è decollato. Sono stati chiusi uffici giudiziari funzionanti. E sono stati accorpati processi e sedi con ulteriore intasamento dei processi. Da molte parti si segnalano disfunzioni e assenze di personale e di giudici. Riguardo alla media conciliazione obbligatoria assistiamo al suo fallimento. Non comprendiamo l’ostinazione del Governo e del Ministero della Giustizia nel volere dare ancora corso ad un istituto fallimentare. Forse fa comodo per far credere a Bruxelles che si sta facendo qualcosa per ridurre i tempi della giustizia?
Ma vi è di più. Insieme a 9 mila giudici togati lavorano 15 mila giudici di pace e laici che vengono retribuiti a cottimo. Un terzo della giustizia viene amministrata dai giudici laici. E si pensa di incrementarne il numero per smaltire più celermente l’arretrato e risparmiare sulle spese di giustizia. I giudici cosiddetti «onorari» sono sottovalutati e sottostimati. Non hanno previdenza ed assistenza. Il loro ruolo è di serie B. Da ogni nuova legge vengono sempre più marginalizzati. Il loro sciopero è più che giustificato.
Sull’utilizzazione di giudici laici per scrivere le sentenze, dobbiamo segnalare un ulteriore pericolo. Per smaltire l’arretrato il Ministero della Giustizia sta riflettendo sull’opportunità di prevedere una scissione, nelle sentenze, tra il dispositivo e la motivazione. Dopo anni di processo la causa si decide e, mentre la decisione viene adottata dal giudice che ha istruito la causa, la motivazione la scriverebbe un altro «su commissione». Al giudice farebbero sempre capo la titolarità e la responsabilità della stesura della decisione, con l’indicazione dei punti di diritto e di fatto che conducono ad essa, mentre la messa a punto della motivazione verrebbe affidata ad un soggetto esterno, ossia ad un avvocato.
Dopo la sentenza con la «motivazione a pagamento», siamo di fronte a un’altra bizzarria del legislatore: «sentenze in appalto» agli avvocati. Siamo alla follia di un legislatore impazzito che non ha altro da proporre che interventi privi di consistenza giuridica. La decisione viene affidata non solo al dattilografo, ma anche all’avvocato su commissione del giudice. Nel Ministero della Giustizia non c’è più il dottor Luigi Birritteri, promosso a funzioni più alte. Un magistrato di valore che ha dato esempio di grande efficacia ed operatività, per alcuni positiva, ma per gli avvocati estremamente negativa.
Il ministro Andrea Orlando può, quindi, agire in discontinuità ed affrontare per la prima volta seriamente il problema della revisione della geografia giudiziaria che non ha portato alcun risultato utile sul piano della riduzione delle spese e dell’efficienza della giustizia. Il Parlamento ha già formulato fondate critiche e indicato soluzioni e riaperture di uffici giudiziari ingiustificatamente soppressi. Se vuole operare bene, il ministro Orlando dovrà solo leggere e valutare gli atti parlamentari. I disastri procurati dalla selvaggia revisione della geografia giudiziaria sono, infatti, enormi.
Dopo le recenti conclusioni di una incompiuta Commissione monitoraggio, un quotidiano «filo-revisione» ha titolato un articolo «Tribunalini, non servono marce indietro». Il titolo doveva essere il contrario: «Tribunalini, servono marce indietro». Infatti la stessa Commissione fa rilevare che permangono situazioni di forti difficoltà da approfondire «con un costante monitoraggio, affiancato da un’attività ispettiva» in alcune sedi come Alessandria, Vicenza, Siena, Latina, Santa Maria Capua Vetere, Lagonegro, Bari, Ragusa ecc. L’elenco si può tranquillamente allungare.
La realtà è, infatti, ben diversa da quella rappresentata dalla Commissione di cosiddetto monitoraggio. In più del 50 per cento delle sedi la giustizia è stata allontanata inspiegabilmente dal territorio e vi sono insopportabili carenze strutturali e ritardi nell’attività giudiziaria. Oltre che un deprecabile allontanamento della giustizia dal territorio, che rappresenta il danno maggiore procurato dall’improvvida riforma, abbiamo assistito ad alcuni paradossi.
Si è voluto sopprimere il Tribunale di Bassano del Grappa per trasferirlo a Vicenza. Ma l’ufficio giudiziario di Vicenza è in fase di decozione, al punto che, con un’istanza «provocatoria», il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, con altri enti e associazioni, ne ha chiesto «simbolicamente» il fallimento. Nell’istanza si accusa il Tribunale di essere largamente venuto meno all’adempimento di gran parte degli obblighi istituzionali dei quali è portatore. Rinvii delle cause a 5 anni, diminuzione di magistrati e di personale. Di qui l’istanza di fallimento. Dopo la demolizione di più di 800 uffici giudiziari, anche in numerose altre sedi saranno presentate analoghe istanze.
La revisione della geografia giudiziaria doveva attendere l’attuazione puntuale del processo telematico. Abbiamo protestato, ma non siamo stati ascoltati. Lo spirito critico non è, infatti, quasi mai gradito a chi gestisce il potere. Certo è che talvolta l’esercizio dello spirito critico può rallentare il processo decisionale. Ma al ritardo si unisce spesso la modifica del previsto provvedimento. Si opera meglio valutando le osservazioni esterne che formano spesso parte integrante della procedura che porta al provvedimento.
Nel Governo, e poi nel Parlamento, lo spirito critico e comunque la discussione sono stati eliminati con l’inflazione di decreti legge approvati e non discussi per avere la fiducia in sede di conversione. Quando non c’è un maxi-emendamento che stravolge il decreto e che si avvale illegalmente di un procedimento legislativo di urgenza.
Il ministro Orlando potrà finalmente ascoltare le istanze di cittadini, sindaci e avvocati per porre riparo alle improvvide e affrettate «rottamazioni». Intanto, dopo i Tribunali minori si passa all’eliminazione dei piccoli ospedali. La motivazione è il risparmio dei costi. Ma il pericolo è l’allontanamento dei presidi sanitari dal territorio. Il cosiddetto «Patto per la salute», che altro non è che un «accordo scellerato contro la salute», si traduce nel taglio dei piccoli ospedali e delle mini cliniche con meno di 60 posti letto.
Sotto questa soglia gli ospedali dovranno essere riconvertiti in strutture per l’assistenza nel territorio e per la riabilitazione, mentre le clinichette, salvo quelle mono-specialistiche, dovranno riaccorparsi fino a raggiungere la dotazione di almeno 100 letti o chiudere i battenti. Dopo quello che si è fatto nella giustizia si continua a sbagliare. Dopo aver pagato amaramente l’eliminazione dei presidi giudiziari, i cittadini subiranno anche il danno per la rottamazione dei presidi sanitari.
È stata attuata la digitalizzazione della giustizia? Lo diciamo da tempo: se si va avanti così, il processo telematico non potrà entrare in funzione se non a macchia di leopardo. Ed infatti dai dati acquisiti è emerso che i Tribunali attivati per la fase monitoria sono 86 su 140, per la fase esecutiva 47 su 140, per gli atti di merito endo-procedimentali 53 su 140. Inoltre i Tribunali che permettono non solo il deposito del ricorso per ingiunzione, ma anche il pagamento elettronico dalle spese e concludono la procedura con l’emissione del decreto sono solo il 36 per cento del totale nazionale.
Per quanto riguarda il merito e il deposito degli atti endo-processuali, la percentuale scende al 16 per cento. In ambito esecutivo, i Tribunali che effettivamente permettono il deposito telematico dell’istanza di vendita e il pagamento del contributo unificato rappresentano il 13 per cento del totale. Il termine del 30 giugno 2014 è stato prorogato per i vecchi processi, il processo telematico entra in vigore, e parzialmente, solo per i decreti ingiuntivi e per gli atti endo-processuali delle nuove cause. Le cause pendenti dovranno attendere ulteriore tempo. Per accelerare i tempi dei processi da più parti si sostiene che si debba «rottamare» il giudizio per Cassazione. Troppe vertenze. Troppi avvocati, troppi giudici, troppi costi per la giustizia. Ma che fare?
Qualcuno irresponsabilmente propone di introdurre filtri e surrettizie pronunce di inammissibilità affidate alla discrezionalità dei giudici e all’inappellabilità dei loro giudizi, anche se errati. Qualcuno più responsabilmente propone, invece, di eliminare, con una norma di revisione costituzionale, la possibilità in taluni casi di ricorrere in Cassazione. Michele Ainis, su «L’Espresso», così si esprime: «Ecco, la Cassazione, potrebbe diventare la prossima vittima di Matteo Renzi, e non è detto che sia un crimine».
Sul filtro si è intervenuti anche nel giudizio in Appello con l’introduzione di norme scriteriate ed incomprensibili. Il prof. Pietro Trimarchi, emerito di Diritto civile nell’Università di Milano, ha tentato di dare soluzioni credibili per smaltire l’arretrato. E ciò ha fatto in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera dal titolo «Processi e avvocati, il Paese degli eccessi». Ha, anzitutto, proposto che la parte soccombente, la quale abbia temerariamente abusato del processo agendo o resistendo in giudizio con malafede o colpa grave, sia condannata a pagare allo Stato una sanzione adeguata. Anche la Pubblica Amministrazione, spesso citata in giudizio, potrebbe essere più responsabile separando le posizioni da mantenere in giudizio da quelle da abbandonare.
Altro rimedio è quello che riguarda il numero degli avvocati. Ma per fare ciò bisognerebbe fissare un numero programmato all’Università o negli Albi. Il prof. Trimarchi è d’accordo su questo punto. Non ci risulta che siano della stessa opinione gli attuali reggenti delle Facoltà di Giurisprudenza. In conclusione, possiamo tranquillamente affermare che non si rifiuta mai di sedersi a tavola con un ministro. L’apertura del dialogo con l’Avvocatura è una buona cosa che potrebbe portare a risultati utili e positivi. Dobbiamo solo osservare che le «pietanze» del tavolo sono limitate. Non si parla più di provvedimenti necessari per rimediare ai guasti della selvaggia revisione della geografia giudiziaria e dell’assurdo di una «media conciliazione» obbligatoria che ha un esito fallimentare.
Tags: Settembre 2014 Maurizio de Tilla Ministero della Giustizia giustizia