La mappa del rischio terrorismo e violenza politica nel mondo
Il 28 gennaio scorso è stata presentata a Londra l’edizione 2014 della Terrorism and Political Map, mappa annuale che analizza il rischio di terrorismo e violenza politica in tutto il mondo. Realizzata da Aon, grande broker assicurativo mondiale, in collaborazione con il Risk Advisor Group, società specializzata nella gestione del rischio globale, la mappa è uno strumento fondamentale per agevolare i processi di internazionalizzazione delle imprese fornendo informazioni di vitale importanza sui potenziali mercati e Paesi emergenti in cui è opportuno investire.
Essa mostra, in particolare, quanto sia importante al giorno d’oggi, in un contesto di grave crisi economica, disporre di mezzi adeguati per comprendere e affrontare le minacce di terrorismo e le situazioni di violenza politica. Nonostante i segnali positivi di ripresa economica globale, le imprese nei mercati emergenti sono esposte ad una sempre maggiore diversificazione dei rischi e delle minacce da parte di soggetti che operano con mezzi e tecnologie sofisticate. Nuove minacce possono svilupparsi rapidamente e nuovi terroristi possono apparire sulla scena politica creando situazioni di grande pericolo, sia attraverso la mobilitazione di proteste di massa, sia mediante l’organizzazione di violenti attacchi.
Potendo contare sull’accesso a dati regionali e a informazioni basate sui fatti, l’analisi di Aon consente alle imprese di pianificare le proprie strategie di business sviluppando il processo di identificazione del rischio necessario per poter prendere in considerazione le migliori soluzioni di risk management. In particolare, permette alle imprese di programmare con successo l’espansione all’estero e la crescita internazionale, sostenendo i loro sforzi per far fronte alle minacce del terrorismo.
È fondamentale per le aziende riconoscere che l’internazionalizzazione può comportare nuovi rischi politici ed operativi. Una chiara comprensione della propria esposizione al rischio, che comprende il possibile rapido cambiamento della situazione politica nel Paese dove si è deciso di operare, è necessaria per l’attuazione di adeguate misure per fronteggiare tali rischi. Nel commentare i risultati dell’analisi, Uberto Ventura, amministratore delegato dell’Aon Italia, ha sottolineato che la «mappa è uno strumento di vitale importanza per tutte quelle imprese italiane che, volendo seguire la strada dell’internazionalizzazione per dare una spinta alla propria attività, desiderino capire in quali Paesi e con quali modalità investire per massimizzare i propri profitti nell’ambito di un processo di risk management consapevole e protetto».
Il dato più rilevante che emerge dall’analisi è che, mentre la minaccia terrorismo in occidente è diminuita, in altre regioni si assiste invece ad un significativo aumento della violenza e delle attività terroristiche. Il terrorismo rimane una minaccia variabile in Europa e Asia. In quest’area la Russia e la Turchia sono i Paese più colpiti dagli attacchi terroristici. Anche il Giappone e il Brasile hanno visto aumentare il proprio livello di rischio. In particolare, nel Bangladesh scioperi e proteste contro i bassi salari e le cattive condizioni di lavoro hanno sconvolto il Paese per oltre 70 giorni.
Per quanto riguarda il Brasile, esso è risultato l’unico Paese latino americano a vedere aumentare, da medio a grave, il proprio livello di rischio a causa delle violente proteste anti-governative verificatesi nel 2013. L’analisi indica che agitazione e sommosse continueranno per tutto il 2014, soprattutto in vista della Coppa del Mondo di Calcio e delle elezioni presidenziali del prossimo ottobre. Significativi appaiono i dati riguardanti i 34 Paesi che hanno registrato un livello minore di rischio rispetto all’anno precedente. Mentre le stime complessive per l’Asia Pacifica e l’Oceania restano sostanzialmente stabili con solo 4 variazione in 29 Paesi e territori.
Il Medio Oriente è la regione più colpita dal terrorismo con una quota del 28 per cento di tutti gli attacchi terroristici registratisi nel 2013. Un nuovo ceppo di jihadismo salafita è emerso in questa regione e nel Nord-Africa, e ciò in seguito alla forte instabilità che ha caratterizzato dal 2011 l’evoluzione politica dei Paesi che insistono in quell’area.
Una mappa analoga, concentrata in particolare su quelle aree del pianeta caratterizzate da elevati livelli di minaccia terroristica, dove sono presenti interessi vitali nazionali, insediamenti e investimenti delle imprese italiane, è stata redatta dalla Fondazione Icsa - Intelligence Culture and Strategic Analyst -, che ha anche elaborato un Indice sintetico del rischio per le imprese italiane nelle aree di crisi, costruito sulla base di numerose variabili quantitative e qualitative.
Entrambi i documenti sono contenuti in un rapporto sul terrorismo internazionale di matrice jihidaista, presentato il 28 novembre scorso presso la Camera dei Deputati. Secondo gli analisti dell’Icsa, le cosiddette primavere arabe, modificando radicalmente gli assetti politici, economici e sociali di gran parte di questi Paesi, senza che ai regimi crollati siano subentrati sistemi di governo stabili e condivisi, favorendo così ulteriori reazioni e restaurazioni talvolta sostenute dalle stesse forze che avevano promosso i cambiamenti, hanno contribuito ad innalzare il livello di rischio terroristico. Nuovi santuari jihadisti hanno potuto affacciarsi e radicarsi sulle sponde del Mediterraneo, trovando nella forte turbolenza politica favorevoli opportunità di rilancio ed espansione. In particolare, la caduta del regime di Hosni Mubarak in Egitto ha favorito la crescita di gruppi terroristici nel Sinai, a ridosso di Israele, ma anche nel canale di Suez, che hanno mostrato una pericolosa contiguità tra i Fratelli Musulmani e i fratelli separati delle galassia qaedista.
Secondo alcuni, i motivi che hanno spinto il generale Fattah al Sissi a deporre il 3 luglio 2013 il presidente regolarmente eletto Mohammed Morsi, è stato proprio il rifiuto di quest’ultimo di autorizzare una vigorosa azione di contrasto del terrorismo jihadista nella penisola del Sinai, che peraltro gode dell’appoggio di molti clan beduini locali da sempre considerati paria dai Governi del Cairo, chiaro esempio di sinergia tra un movimento, forte di un grande consenso e mobilitazione di massa, come quello dei Fratelli Musulmani e l’azione della galassia qaedista.
La deposizione di Morsi e la successiva eliminazione totale e assoluta di agibilità politica ai Fratelli Musulmani hanno fatto sorgere l’ambiguità di Hamas. Lo stesso Governo palestinese di Gaza è infatti apertamente accusato dalle Forze Armate egiziane di aver inviato propri miliziani a compiere azioni terroristiche nel Sinai. La preoccupazione espressa da fonti ufficiose del Cairo è che queste forze qaediste possano un domani prendere di mira il traffico nel canale di Suez, con potenziale pericolo per gli interessi della comunità internazionale.
Anche in Tunisia non sembrano destinate a diminuire le turbolenze che attengono tanto al quadro politico, quanto alla sicurezza. Al riguardo va ricordato che tunisini erano molti dei volontari afgani nel 1990; tunisini i terroristi che diedero il via all’11 settembre con l’assassinio del leone del Panshir, Ahamad Shah Massud; tunisini sono infine i numerosi appartenenti alle formazioni qaediste impegnate nel conflitto siriano. Anche molti degli aspiranti jihadisti, partiti dall’Italia per l’Iraq nell’imminenza dell’intervento occidentale del 2003, erano tunisini.
Instabilità, insicurezza e forte difficoltà a stabilire una forma di coesistenza nazionale e unità territoriale caratterizzano l’attuale situazione in Libia, dove il determinante intervento della Nato ha rovesciato il regime di Gheddafi, ma non ha certo potuto assicurare stabilità tra le fazioni tribali storicamente in conflitto tra di loro. L’uccisione dell’ambasciatore statunitense Chris Stevens a Bengasi l’11 settembre 2012 ha costituito la cartina al tornasole di una situazione fuori controllo in cui bande armate qaediste possono scorrazzare e agire sostanzialmente indisturbate in aree vitali nel Paese. Consistenti gruppi di mercenari tuareg delle truppe di Gheddafi si sono, inoltre, riversati in Mali, alleandosi con Aqmi - Al Qaeda nel Maghreb islamico -, e sconfiggendo rapidamente l’esercito locale grazie anche agli arsenali libici di cui si erano impadroniti. L’intervento francese nel gennaio 2013 con l’Operazione Serval ha momentaneamente messo in rotta queste formazioni, che si sono ritirate nel Sahel per riorganizzarsi e progettare nuovi incursioni.
Altro segnale estremamente allarmante e di indentica matrice è stata l’occupazione dell’impianto petrolifero algerino di In Amenas, che ha evidenziato sia le difficoltà di combattere in un conflitto asimmetrico, anche per un dispositivo rodato come quello algerino, sia le pesanti ricadute nell’economia europea, e italiana in particolare, che simili iniziative potrebbero provocare. A sua volta l’area sub-sahariana registra fattori di minaccia comuni a quella magrebina, lungo una fascia che attraversa il continente in senso longitudinale dal Senegal al Golfo di Guinea e al Corno d’Africa, e che trova senza dubbio in Nigeria e nell’area di confine tra Kenya e Somalia le regioni a più forte criticità.
Il primo di tali fattori è dato dai legami accertati tra il movimento terroristico nigeriano Bako Haram e le reti jihadiste sahariane riconducibili ad Aqmi e Mujao - movimento per l’unicità e la jihad nell’Africa occidentale, radicate in Algeria e Mali ed oggi parzialmente confluite nel gruppo degli Almovaridi. Sono stati, infine, registrati legami con il gruppo qaedista somalo Al Shabaab, che opera nell’area più meridionale del Paese e nelle regioni frontaliere tra Somalia e Kenya. Se si analizzano gli attacchi nei confronti di enti e aziende, risulta che commercio (33 per cento) e trasporti (18 per cento) sono stati i settori maggiormente colpiti. Per quanto riguarda il settore commercio, mercati pubblici e centri commerciali rimangono l’obiettivo principale di molti attacchi terroristici, come ricorda l’attentato in Kenya del settembre 2013.
di ANTONIO MARINI
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