Giustizia amministrativa: occorrono riforme, non superficiali rottamazioni
Qualcuno ha notato che nel Governo Renzi sono diminuiti i consiglieri di Stato. In effetti non ci sono, tra i ministri, i Frattini, i Patroni Griffi, i Catricalà; restano alcuni magistrati amministrativi in ruoli tecnici operativi di rilievo nelle istituzioni. È un bene, è un male? Forse non è neppure un problema. Per Max Weber la burocrazia pubblica era l’insieme di regole, strutture, procedure e ruoli di autorità amministrativa, legittimati dal potere legale nello Stato moderno. Per Cavour «i rotismi della burocrazia» erano essenziali per far girare lo Stato. Ma la maggioranza delle persone oggi condivide decisamente l’amaro aforisma di Franz Kafka secondo cui «i ceppi dell’umanità tormentata sono fatti di carta bollata».
Oggi la lotta alla burocrazia è al primo punto di ogni agenda, soprattutto in Italia. Per Angelo Panebianco il vero nemico è «il potere burocratico-giudiziario» che avviluppa lo Stato. Ernesto Galli della Loggia condivide ma, poi, precisa meglio: «Ci sono burocrazie intelligenti e burocrazie stupide». Anche per Giuliano Amato «Renzi non deve fare la guerra all’élites, ma alle élites arteriosclerotizzate. Abbiamo bisogno di specialisti dell’innovazione che ci aiutino a cambiare». E in effetti, occorre essere un po’ più precisi, più competenti, anche per vincere la battaglia per la semplificazione e contro le «carte burocratiche». Un primo concetto è quello di una dirigenza modello civil service, virtuosamente temporanea, misurabile nei risultati, e di un diritto amministrativo più sussidiario e veloce basato, «alla scadenza del termine», su «atti di autoamministrazione», con certificazioni professionali.
Il secondo è che non è possibile fare confusione tra giudice amministrativo e burocrate, come spesso avviene. Nell’ancien régime era in effetti così, ma con la Rivoluzione francese e le costituzioni liberali borghesi dell’Ot-tocento le cose cambiarono, fino all’espansione dello Stato sociale e pluriclasse del Novecento, che ha esteso confini e attività non solo nei servizi ma soprattutto nell’economia, a partire dal New Deal. Il giudice amministrativo è divenuto piuttosto l’antagonista del burocrate, il controllore, il garante dei cittadini dagli abusi del potere. Per questo è sbagliato fare di tutta l’erba un fascio.
Naturalmente anche per i giudici amministrativi, dei Tar e del Consiglio di Stato, occorre esercitare un controllo critico. Ci sono stati in passato eccessi negli arbitrati, oggi però preclusi dalla legge ai giudici amministrativi. Ci sono forse stati eccessi anche nell’impiego delle alte professionalità presenti nella giustizia amministrativa in ruoli di Governo o di staff giuridico del Quirinale o della Corte Costituzio-nale, ma la legge Severino ha posto limiti precisi: un massimo di 26 posizioni, non oltre dieci anni nella carriera. E ci sono anche casi, pochi per il vero, di magistrati amministrativi coinvolti in condotte poco consone o addirittura di rilievo penale: ma chi sbaglia è giusto che paghi, nel rispetto delle dovute garanzie.
Ed è al riguardo significativo che sia proprio il nuovo Consiglio di presidenza, l’organo di autogoverno della Magistratura amministrativa, a proporre al legislatore un’organica e seria riforma della responsabilità disciplinare, sul modello dei «cugini» della Magistratura ordinaria. Già, perché ciò che oggi non è proprio accettabile è l’idea stessa di un potere pubblico che possa apparire come una corporazione che si auto protegge e si auto assolve. Segnali di cambiamento, da incoraggiare, perché certo qualche resistenza non manca, ma in realtà, al fondo delle critiche e anche di campagne stampa ingenerose e un po’ ignoranti (a proposito, gli stimati Gianantonio Stella e Sergio Rizzo la smettano di minacciare di togliere ai Tar il pubblico impiego perché è già avvenuto 15 anni fa) c’è l’idea che si possa rottamare l’intera giustizia amministrativa.
Non si è mai sopita, in effetti, la polemica sulle ragioni stesse di esistenza della giustizia amministrativa quale giurisdizione separata e distinta da quella del giudice ordinario. Serve ancora? Sono sempre valide le motivazioni che portarono i Padri costituenti a scrivere che «contro gli atti della Pubblica Amministrazione è sempre ammessa la tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi agli organi di giurisdizione ordinaria o amministrativa» (articolo 113 della Costituzione) e che «il Consiglio di Stato e gli altri organi di giustizia amministrativa (oggi Tar) hanno giurisdizione per la tutela, nei confronti della pubblica amministrazione, degli interessi legittimi e, in particolari materie indicate dalla legge, anche dei diritti soggettivi» (articolo 103 della stessa Costituzione)?
In effetti molto è cambiato dal discorso preparato da Silvio Spaventa per l’istituzione della IV Sezione del Consiglio di Stato già nel 1890. Oggi il giudice amministrativo (circa 460 unità di fronte a 1.300 in Francia e 2.500 in Germania), interviene in molti delicati campi, dai servizi pubblici all’urbanistica, agli appalti, all’energia, alle attività soggette a regolazione delle Autorità garanti, all’immigrazione, ai diritti elettorali. È il giudice del diritto europeo, dei mercati e della concorrenza ed è presente in tutta Europa in forme diverse. È un giudice altamente specializzato che rende giustizia in tempi assai più celeri di quello ordinario, in media 10 mesi per il primo grado, due anni per il secondo. Può disporre anche il risarcimento, utilizzare mezzi di prova non solo «cartacei», garantire l’esecuzione della sentenza. È pensabile di «rottamarlo» per appesantire ancora di più la giustizia ordinaria?
Per quanto concerne la proposta, contenuta nelle note del Jobs Act, di abolire la tutela cautelare, ossia la «sospensiva», occorre approfondire. Oggi è il mezzo più rapido che c’è, circa 10 giorni. Se essa è usata come mezzo dilatorio per bloccare, rallentare, il problema si pone, tanto più che è previsto l’appello. Ma se c’è una demolizione da eseguire o un ecomostro da costruire, con provvedimenti che appaiono illegittimi, e un grave danno che può derivare dall’esecuzione, che cosa bisogna fare? Attendere l’esito del processo? La sentenza sarebbe, a quel punto, inutile e assai oneroso il costo della riparazione dell’esecuzione illegittima.
Bisogna inoltre considerare che la tutela cautelare ci è stata, in sostanza, imposta dal diritto europeo: difficile litigare sul punto. Si può invece prevedere, nella direzione sollecitata, una maggiore estensione delle materie in cui, al provvedimento di sospensione, si accompagna una definizione del giudizio in forma abbreviata, fermo restando che già i tempi del processo amministrativo sono assai più celeri del rito civile.
E si potrebbero prevedere, anche per la giustizia amministrativa, sedi «semicontenziose» e alternative per la risoluzione anticipata delle controversie. Prevenire è meglio e costa meno. Occorrono dunque riforme, e non superficiali «rottamazioni». A tal fine, sarebbe utile e sostenibile un cambiamento della Costituzione, di questi tempi? Certo che no.
Eppure i cambiamenti necessari non mancano. Dall’azzeramento dell’arretrato all’organizzazione interna, alla migliore valutazione del merito (non del «non demerito», come è oggi) per la progressione delle carriere, ad una più moderna responsabilità disciplinare, al superamento delle penalizzazioni dei magistrati dei Tar nell’accesso al Consiglio di Stato. Occorre aprire ai tirocini dei praticanti legali, giovani risorse utili anche per la maggiore produttività.
Soprattutto occorre più trasparenza negli incarichi esterni, nei «fuori ruolo» al servizio dei Governi e delle istituzioni. Molto dipende da norme vetuste da riformare. È il caso del Tar Piemonte ingiustamente criticato per la tardiva sentenza di annullamento delle elezioni regionali, che è però incolpevole perché ha dovuto attendere (irragionevolmente) i tre gradi del giudizio penale in materia di falso documentale. Sono i casi, in questi giorni emersi nella cronaca, di magistrati amministrativi coinvolti in fatti di rilievo penale su cui il nuovo Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa, organo di autogoverno, ha prontamente concluso l’istruttoria del procedimento.
Siamo impegnati in una stagione riformatrice che promuova la piena efficienza e rilanci il prestigio della giustizia amministrativa. Le alte professionalità presenti - un talento raro che ben conosce legislazione, amministrazione e giurisdizione - devono essere con orgoglio al servizio del Paese, come nell’École nationale d’administration francese. Alla luce del sole, senza conflitti di interesse, senza arroccamenti corporativi né scorciatoie rottamatorie, favorendo la certezza del diritto e la semplificazione burocratica. Il diritto amministrativo deve tornare ad essere quello delle origini ossia un diritto di garanzia dei cittadini dagli abusi del potere, non il suo contrario.
* Pierluigi Mantini, professore di diritto amministrativo nell’Università di Milano, avvocato cassazionista, già parlamentare in Italia e nell’Osce, è stato nominato dal Capo dello Stato nel Consiglio di presidenza della Giustizia amministrativa, ove è stato eletto presidente della Commissione disciplinare.
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