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DEBITO PUBBLICO - SUPERARE LA CRISI CON IL CONTRATTO DI RETE PER LE MICRO PMI

GIANLUCA ESPOSITO, direttore generale pmi ed enti cooperativi del Ministero per lo Sviluppo Economico

Di Gianluca Esposito, direttore generale del ministero per lo Sviluppo economico

Fra i primi in Europa, nel maggio del 2010 il Governo italiano ha recepito la normativa europea denominata Small Business Act (SBA), che costituisce un punto di diversificante svolta del sostegno pubblico alla piccola impresa. Grazie ai dieci principi fondamentali su cui si fonda, è stato possibile avviare un’innovativa politica produttiva per 4,5 milioni di micro imprese italiane, pari al 96 per cento dell’intero comparto delle piccole e medie imprese, complementare e integrativa rispetto alla «politica industriale» della medio-grande impresa. Guardando al «bisogno dei piccoli», lo SBA ha previsto differenti interventi di policy scanditi al ritmo del ciclo di vita dell’impresa e delle rispettive fasi: dallo start up all’entrata a regime, dalla trasformazione sino alla cessazione dell’attività. Ad ogni stadio corrisponde un set di strumenti e interventi specifici.
Trattasi di una rivoluzionaria pianificazione per obiettivi che inaugura un «new deal» delle politiche dedicate alle micro imprese. In fase di avvio l’intervento mediante il venture capital è una risposta efficiente alle esigenze di capitalizzazione delle piccole imprese di middle class o di fascia alta, mentre il private equity è funzionale al successivo sviluppo evolutivo. Nei prossimi anni circa 300 mila imprese italiane, soprattutto a carattere familiare, saranno interessate a fenomeni di trasferimento e successione: per queste si sono messe a punto misure di salvaguardia dei patrimoni occupazionali e conoscitivi, difficilmente colmabili con la nascita di nuove imprese.
Fine ultimo è spingere il maggior numero di imprese verso la maturità aziendale a 360 gradi, in termini non solo quantitativi-dimensionali - aumento degli addetti, del fatturato ecc. -, ma soprattutto qualitativo-relazionali: individuazione di nuovi mercati di sbocco, miglioramento del proprio posizionamento competitivo, sperimentazione di nuovi prodotti, operare in rete ecc. La realizzazione di questo obiettivo passa per la soluzione dei due principali problemi delle imprese italiane: la sottocapitalizzazione e la limitata dimensione aziendale, per i quali lo SBA ha previsto il ricorso al «contratto di rete».
Rispetto alle forme tradizionali di contratti associativi la rete - nata con la legge n. 33 del 9 aprile 2009, poi modificata dalla legge n. 122 del 30 luglio 2010 - valorizza la collaborazione incrociata tra i «piccoli» e ne incentiva la definizione di un piano comune di impresa, lo scambio di informazioni e prestazioni di natura industriale, commerciale e tecnica. È questo il modello dell’aggregazione globale delle piccole e medie imprese, utile a superare nodi strutturali del sistema produttivo italiano imputabili primariamente alle modeste dimensioni aziendali.
In due anni circa questo strumento ha ottenuto un successo straordinario: alla fine dello scorso giugno l’Italia ha superato la soglia dei 362 contratti di rete, coinvolgenti 1.900 imprese, 19 Regioni, 89 Province; dallo scorso dicembre il ritmo è aumentato sino a 25 contratti al mese, quasi uno al giorno. Per far fronte alla crescente domanda di informazioni sul contratto di rete, sia da parte dei policy makers che dei territori, nel gennaio 2012 è stato attivato un «Osservatorio sui contratti di rete» che verifica mensilmente il ricorso allo strumento in guisa da orientare interventi e misure correttive atte a favorirne una progressiva migliore diffusione.
L’analisi sulle reti appena ultimata, conferma una crescente «domanda di relazionalità» abbinata a un vero e proprio cambio di cultura nel «fare impresa», necessario per uscire dal localismo e penetrare nei mercati lontani. Nel dettaglio, risulta che le imprese partecipanti alla rete sono sopraperformanti rispetto alle imprese isolate: più del 60-70 per cento di esse dichiara che l’adesione da almeno un anno al contratto ha consentito il mantenimento o la crescita dei propri livelli di fatturato, di investimenti, di occupazione e di esportazioni, e quasi nessuna ne ha registrato una riduzione.
Inoltre la partecipazione al contratto di rete ha anche accresciuto la conoscenza e la propensione ad innovare: il 33 per cento delle imprese ha accresciuto il proprio know how, circa il 60 per cento ha sviluppato l’innovazione di prodotto e il 52 per cento la promozione di un marchio comune e la realizzazione di attività in ricerca e sviluppo. Infine il contratto di rete è visto dalle imprese anche come veicolo per migliorare i rapporti con il sistema bancario, anche se il percorso da intraprendere è ancora lungo: il 60 per cento delle imprese denuncia ancora una scarsa considerazione, da parte delle banche, della partecipazione al contratto di rete, e il 75,33 delle imprese intervistate sostiene la necessità di un «rating di rete».
Dall’indagine emerge, inoltre, che le imprese sollecitano il Legislatore a rendere permanenti le agevolazioni fiscali previste e ad «aprire» il contratto di rete ad altri soggetti, e non solo alle imprese italiane: il 74 per cento di esse propone di rendere continuativi nel tempo gli incentivi fiscali; il 53,3 per cento degli intervistati, di estendere il contratto di rete ad Università e Centri di ricerca; il 39,1 per cento ad imprese estere; il 32,6 per cento ai professionisti.
Per concretizzare le indicazioni delle imprese sono state elaborate alcune ipotesi di modifica dello strumento, in funzione peraltro dell’ampliamento della platea degli utilizzatori finali. In questo senso si è pensato a un’apertura del contratto di rete a imprese estere, ad Università, a Centri di ricerca e alle libere professioni. Inoltre, anche nella fondamentale direzione del contrasto al «credit crunch», si pensa a specifici parametri di rating della rete, a premialità e alla partecipazione delle reti alle gare di appalti.
Tutto questo va nella direzione di rendere più utile alle imprese questa specifica modalità di cooperazione, inaugurando una seconda generazione. L’obiettivo, frattanto, è arrivare a quota 500 contratti entro il 2012, nella convinzione che aiuteranno a traghettare il sistema produttivo oltre la crisi economica in atto.

 

Tags: Settembre 2012 ministero dello Sviluppo economico

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