Libri: Facciamo giustizia, dice Michele Vietti. Appunto, facciamola
Almeno per un paio di motivi sarebbe ora di confutare la favola della scarsa produttività dei magistrati italiani: sia perché si tratta di «vecchie e logore dicerie», sia perché la causa della cronica lentezza attribuita in Italia alla giustizia va ricercata altrove. Dove? Più che ricominciare ad elencare difetti e lacune disseminate nella società italiana e nelle sue categorie e corporazioni, Michele Vietti, vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, preferisce concretamente illustrare i rimedi che detta la sua profonda esperienza di avvocato civilista, docente universitario, politico di lungo corso.
Lo fa in un libro intitolato «Facciamo giustizia», recentemente presentato con l’autorevole prefazione del presidente del Consiglio Mario Monti, il quale non esita in essa a ricordare a tutti, ma soprattutto agli addetti ai lavori, che la giustizia «ha dirette e plurime correlazioni con l’economia». O meglio, che le ha sempre avute ma che, in questo momento di prolungata e intensa crisi economica, un’improvvida gestione della giustizia provoca conseguenze ancora più gravi: lo testimoniano le crescenti difficoltà finanziarie delle famiglie, le sofferenze di anziani e pensionati, le migliaia di imprese chiuse o fallite, l’aumento di disoccupati, i suicidi di imprenditori.
Vietti è il numero due del Consiglio Superiore della Magistratura, dal momento che, al vertice del potere giudiziario, uno dei tre dello Stato, la Costituzione pone il Capo dello Stato. Compiti del Consiglio sono l’autogoverno e l’autodisciplina dei magistrati. Nel suo nuovo libro, edito dall’Egea, Vietti indica provvedimenti che potrebbero essere adottati, per di più a costo zero in questi tempi di scandali, appropriazione di pubbliche risorse ma anche di spending review per dissennati pubblici amministratori.
A proposito dei quali, sarebbe da rivedere la previsione dei due reati simmetrici: corruzione e concussione. Il concussore è il pubblico ufficiale che riceve denaro od altra utilità per compiere un atto contrario ai suoi doveri di ufficio, il corruttore è il cittadino costretto, per necessità, a promettere al pubblico ufficiale denaro o altra utilità affinché questi compia un atto contrario ai doveri d’ufficio. Perché deve esistere il reato di corruzione in un Paese in cui dai pubblici amministratori viene solo l’esempio, anzi l’invito ad alimentare la corruzione?
È una delle domande cui non c’è una risposta. Giuristi oculati e obiettivi come Vietti conoscono bene anche l’altra metà della mela, il mondo politico che non accetterebbe di essere depotenziato, vaccinato contro la corruzione. Comunque basta il titolo del suo libro ad indicare che esistono magistrati degni di questo nome, rispetto ad amministratori pubblici e politici ogni giorno coinvolti in reati, scandali, furti e appropriazione di beni e finanze pubbliche. E per i quali la classe politica degli ultimi 20 anni non ha fatto che emanare leggi double-face: ufficialmente per difendere i cittadini dagli abusi della Pubblica Amministrazione, concretamente per salvare questa da leggi, reazioni di amministrati, sentenze di magistrati.
L’azione di Vietti è super meritoria quando suggerisce, se non è possibile altro, di alleggerire la macchina giudiziaria non ammettendo ai gradi successivi di giudizio tutte le controversie, istituendo «filtri». Molti aspettano anche altro se, in campo penale, hanno esultato per un paio di ergastoli comminati per un efferato omicidio, per il quale, senza il clamore della stampa e l’interesse della massa, gli assassini avrebbero avuto sì e no 15 anni di «cosiddetta» galera.
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