Liberalizzazione vendite quotidiani. È difficile ma necessaria
È in corso un confronto sulla liberalizzazione delle vendite dei giornali, anche se siamo da tempo abituati, per esempio, ad acquistare giornali al supermercato o nelle stazioni di servizio lungo le strade.
Ma la situazione è ancora non ben definita, e c’è anche un vuoto legislativo: mancano i decreti attuativi della legge quadro sull’editoria approvata lo scorso novembre 2016. Cioè: dei punti fermi su cui meglio ragionare. Il problema è, come sempre, molto semplice, ma complicato per le resistenze da parte delle corporazioni. Il risultato è -anche qui come sempre- con una vittima principale: il consumatore.
Premesso: il prodotto quotidiano, all’inizio degli anni 2000, registrava una vendita giornaliera di sei milioni di copie; oggi è a meno di due milioni (1). Quindi stiamo parlando -di fatto- di un mercato in calo per vari motivi (primo fra tutti la concorrenza dell’informazione online e via etere), ma che comunque continua ad avere un certo peso in economia e nell’informazione: i quotidiani sono ancora uno dei principali punti di riferimento per buona parte dell’informazione anche online e via etere, una sorta di pilastro della cosiddetta opinione pubblica.
Dicevamo che vittima principale della non liberalizzazione è il consumatore. Ultimo anello della catena economica, dal suo comportamento dipende sempre il successo e l’insuccesso di ogni prodotto, e metterlo in condizione di scegliere in libertà ovunque, è base di una qualunque economia di mercato. Senza, siamo in presenza di un mercato condizionato e senza futuro: senza il presupposto del diritto del consumatore (che, nell’economia globalizzata del 2017, non può che essere libero), tutte le politiche economiche sono destinate -pur nell’apparenza di momentanee soddisfazioni di nicchia- a fallire.
Questo è importante: alcune associazioni di giornalai, per esempio, accorpando il calo delle vendite alla parziale liberalizzazione attuale, sostengono che è proprio la liberalizzazione ad aver fatto calare le vendite.
Non è vero. Il mondo è cambiato.
Il supporto cartaceo per l’informazione è importante ma non quasi esclusivo come in passato. Ed è a partire da questo cambio che bisogna ragionare. Certo, è probabile che se si tornasse ad un totale obbligo di vendita dei quotidiano solo nelle edicole, gli edicolanti avrebbero qualche vantaggio in più rispetto ad oggi, ma fino a quando, avendo a che fare con un prodotto di limitata diffusione, in un mercato in cui tutto si può acquistare ovunque e in qualunque momento? Cioè -per l’appunto- il mondo e l’economia sono cambiati.
Ognuno ne prenda atto e si organizzi di conseguenza, edicolanti compresi. Non sarebbe la prima volta (e non sarà l’ultima) che un mestiere perde smalto e anche senso con lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie, delle conoscenze e delle trasmissioni; è bene che gli attori di questo mercato ne prendano atto in tempo e decidano gli opportuni provvedimenti futuribili perché, se invece guardano solo al passato, sono destinati ad essere travolti in breve tempo e senza un patrimonio utilizzabile.
In questo contesto lascia perplessi la proposta del sindacato Sinagi: una tassa di 25 euro per ogni quotidiano che può essere letto da chiunque in un pubblico esercizio. Tassa che dovrebbe essere poi divisa fra i vari attori della filiera. Chi paga? Il consumatore, ovviamente!
Quale bar, per esempio, non aumenterà i suoi prezzi perché ha anche questa tassa in più? Non solo. Ma quanti bar rinunceranno al quotidiano, che quindi sarà’ meno acquistato? Due ipotesi conseguenziali che valutiamo credibili. E che sono un tipico esempio di economie corporative e non futuribili che, al di là dell’immediato, sono negative per produttori, distributori e consumatori.
Il metodo di scaricare sugli altri i propri problemi di adeguamento al nuovo e al futuro (come è insito in questa proposta di tassa), sono suicidi!
Libero di suicidarsi, per carità, ma non coinvolgete altri, che altrimenti diventa omicidio! E questo non va proprio bene! Che ognuno si assuma le sue responsabilità e agisca come attore positivo per un’economia che se non è’ libera, fa male a tutti.
1 – fonte Sinagi – Sindacato nazionale Giornalai d’Italia, affiliato Cgil
Vincenzo Donvito, presidente Aduc
Tags: Marzo 2017 consumatori