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Corsera Story - La Potente Vita soppianta in Via Veneto la Dolce Vita

L'opinione del Corrierista

i continua ad ogni pie’ sospinto a parlare di «dolce vita», a rievocare gli ormai antichi fasti di Via Veneto, a organizzare mostre su quel film e su quel periodo, a girare «fiction» televisive e film, ad esporre foto di divi nei caffè della strada, eseguite, quando quel fenomeno di costume era già esaurito, da fotografi che all’epoca erano in culla. Insomma ad ingannare avventori, passanti, nuove generazioni di italiani e soprattutto turisti stranieri. Nessuno osa dire che è tutto un bluff, che è inutile cercare in Via Veneto qualche reperto di dolce vita, anzi è inutile cercare proprio Via Veneto, perché non c’è più, è stata trasformata in un ristorante di pseudo-lusso teatro di incontri sospetti, e in una superstrada al servizio esclusivo del «Palazzo».
Sì, proprio del Palazzo. Nessuno l’ha mai capito e soprattutto nessuno l’ha mai scritto. Eppure giornalisti famosi e dilettanti, giornali autorevoli e rionali, continuano a balbettare le solite trite frasi di 60 anni fa, senza prendersi la briga di compiere non dico un’inchiesta, ma neppure un sopralluogo di mezz’ora, od anche di cinque minuti, magari per un aperitivo o un caffè. A parere di uno che dal 1954, prima di tutti, ha cominciato a scrivere di Via Veneto e dintorni, e dal 1956 sul Corriere della Sera, e le cui cronache venivano riprese da settimanali come l’Europeo e l’Espresso e dallo stesso Federico Fellini per il suo famoso film (lo spogliarello del Rugantino fu una mia esclusiva), da decenni la Dolce Vita è stata definitivamente uccisa e sostituita da quella che io chiamo la «Potente Vita».
Ossia la vita dei potenti, del Palazzo, di politici e alti burocrati e, ovviamente, delle loro fans. Avendo continuato ad osservare assiduamente quel che avveniva in questa strada, abitando tra l’altro a un centinaio di metri da essa, ho potuto vedere come della sua decadenza hanno approfittato i politici per vari scopi, non certo a vantaggio della stessa strada e del mito diffusosi nel mondo. È vero che la presentazione nei cinematografi del film di Fellini, il 4 febbraio 1960, con il richiamo di ingenti masse di curiosi in Via Veneto, ne avviò il progressivo degrado.
Ma è vero anche che, apparentemente per restaurare quel mito avvizzito, i politici amministratori del Comune di Roma hanno realizzato iniziative che hanno posto fine definitivamente ad un irripetibile fenomeno di costume, a un mito e soprattutto a una realtà storica, architettonica, economica e sociale non solo degli anni 50 in cui fiorì la Dolce Vita, ma anche di fine ‘800 e del primo ‘900, deturpandone ogni aspetto. Hanno cominciato le Amministrazioni comunali degli anni 90 a consentire ai titolari di pubblici esercizi, per assicurarsene il consenso elettorale od altro, la costruzione di ristoranti esterni in stile funerario, e la sostituzione delle edicole di giornali con giganteschi, plumbei catafalchi.
Ma al contrario delle aspettative dei gestori, quell’iniziativa ha ridotto drasticamente il numero degli avventori: nelle decine di tavoli all’aperto dei bar un tempo si susseguivano giornalmente migliaia di avventori; nelle attuali cappelle funerarie se ne contano giornalmente poche decine. Prevalgono la desolazione, i tavoli e le sedie vuote nella maggior parte del giorno, mentre prima, dalle 7 alle 4 del giorno seguente, si registrava un ininterrotto flusso di clienti. Gli stessi passanti e curiosi sono fortemente diminuiti sia perché non c’è più motivo di frequentare Via Veneto, sia perché le costruzioni esterne hanno eliminato i larghissimi marciapiedi otto-novecenteschi, lasciando strettissimi camminamenti di un paio di metri occupati, per di più, da stoviglie e accessori dei ristoranti.
Altra operazione congiunta fra alcuni ristoratori e gli amministratori è stato il rimedio: l’allargamento dei marciapiedi di alcuni decimetri con restringimento, però, della grande arteria conosciuta in tutto il mondo. Solo i titolari dei locali occupati dalla libreria Arion, che avevano ottenuto di costruire una simil-cappella funeraria sul marciapiede, hanno avuto il coraggio e il merito di demolirla nonostante l’afflusso di clienti in ogni ora del giorno, rispetto ai ristoranti frequentati solo all’ora di pranzo e di cena.
Una volta Via Veneto fu dichiarata isola pedonale; il risultato fu tale che mi indusse a definirla Via Verano. Ma perché ora parlo di Potente Vita? Non perché sia assiduamente frequentata dalla casta; lo è più da Polizia giudiziaria, Guardia di finanza e Arma benemerita per via di certe infiltrazioni. Ma perché è stata divisa in quattro corsie riservate a mezzi pubblici e auto blu: non ci si accorge che collegano, ininterrottamente, il Palazzo, ossia Presidenza del Consiglio, Ministeri contigui, Camera e Senato, direttamente e ininterrottamente con la «tangenziale», l’autostrada Roma-L’Aquila, il Grande Raccordo Anulare, l’autostrada Milano-Napoli, insomma tutte le direzioni.
Perché questo? Per la sicurezza nazionale, per il transito nell’uno e nell’altro senso di mezzi pubblici in caso di gravi emergenze, di mezzi blindati o corrazzati, di colonne militari ecc.? C’è stato in questi ultimi decenni, o è temuto nel presente un qualche pericolo di golpe? Magari i politici fossero così previdenti. In realtà le quattro corsie riservate e la trasformazione di Via Veneto in un autodromo servono per  consentire a qualche migliaio di parlamentari e di altri potenti di affluire e defluire facilmente e rapidamente a bordo delle loro auto blu. E questo in particolare avviene il martedì per l’inizio settimanale dei lavori e il giovedì per la loro conclusione.
Ecco perché alla Dolce Vita è subentrata la Potente Vita. E perché in tali lavori e iniziative sono stati spesi, negli ultimi venti anni, ingenti capitali pubblici. Se si volesse realmente rivitalizzare quel fenomeno di costume o comunque risollevare la fama e l’economia di Roma e dell’Italia, in Via Veneto andrebbero quanto meno riportati i ristoranti esterni a caffè, ripristinati gli antichi marciapiedi, eliminate le corsie preferenziali, aboliti i divieti di sosta, consentita la sosta delle auto lungo i marciapiedi, magari ad orario. Insomma la strada andrebbe rianimata con traffico e afflusso di gente, come ai tempi della Dolce Vita.
Ma se è impossibile sia raggiungerla in automobile perché bisogna parcheggiare a chilometri di distanza, sia trovare larghi marciapiedi per passeggiare o sedersi all’aperto, perché andarci? È questo un altro regalo fatto a Roma e all’Italia dalla casta.

Victor Ciuffa

Tags: Aprile 2013 Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista Dolce Vita via Veneto

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