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CORSERA STORY. INCHIESTE GIORNALISTICHE: SCOMPARSE O DIMEZZATE

L’opinione del Corrierista

Da anni le inchieste giornalistiche sono pressoché scomparse dai giornali, soprattutto dai grandi che pure hanno sufficienti mezzi finanziari per compierle. Un’inchiesta costa finanziariamente, ma i giornali sono finiti in mano a pseudo editori e pseudo amministratori interessati a risparmiare non solo denaro ma soprattutto notizie, per carenze culturali ma anche perché dalle inchieste potrebbero emergere oscuri affari, loro e di amici e partner; sono editori quindi non di giornali ma di antigiornali, non sono amici del giornalismo e dei giornalisti.

Ma anche per altri motivi sono scomparse le inchieste. Il secondo infatti è costituito dai requisiti richiesti a chi le compie: occorrono infatti impegno, fatica, preparazione, professionalità, coraggio, qualità pressoché scomparse e comunque difficilmente riproducibili nelle decine di pseudo-scuole di giornalismo che fabbricano titoli di studio e qualifiche come quelle cripto-organizzazioni che offrono, a pagamento, certificati, diplomi, titoli accademici e onorifici, cavalierati.

Un terzo motivo è costituito dai programmi della televisione, che sono esattamente il contrario delle inchieste giornalistiche, anche quelli che vengono definiti prettamente giornalistici. Il motivo è ovvio: l’inchiesta si basa sulla ricerca e sulla documentazione della verità; ma il giornalista non può scoprire la verità se si presenta con un’intera troupe - cameramen, elettricisti, tecnici ecc. -; e se cerca di avere notizie da persone che appariranno sul teleschermo per cui tutto il mondo saprà chi ha rivelato notizie, vicende, particolari.

Per compiere una vera inchiesta talvolta il giornalista deve nascondere la propria identità e, soprattutto, la propria professione: spessissimo, infatti, capita al giornalista di constatare come la sua sola presenza, anche casuale o determinata da motivi del tutto extraprofessionali, provochi nell’ambiente una sottile diffidenza, un larvato timore e, soprattutto, una diffusa prudenza e un’ingiustificata reticenza. Talvolta il giornalista, soprattutto televisivo, trova chi è disposto a parlare, anche troppo, chi strumentalizza la tv «rivelando» il contrario della verità o fornendo versioni dei fatti manipolate secondo i propri principi o la propria convenienza.

L’unica formula di inchiesta televisiva attendibile sarebbe quella realizzata con la tecnica della «candid camera», usata la prima volta in Italia non da un giornalista ma da un regista cinematografico, Carlo Lizzani; ma si tratta di un espediente ora vietato da quella legge sulla riservatezza che, emanata per casi specifici, nella pratica viene comunemente applicata o evocata in Italia per coprire e nascondere, illegalmente, proprio quello che per la tutela dell’interesse pubblico dovrebbe essere rivelato e conosciuto.

In questa situazione negli ultimi tempi il Corriere della Sera sembra abbia ricominciato a pubblicare qualche inchiesta; non sappiamo se per caso, per decisione del direttore, o per zelo, volenterosità, bravura e iniziativa di qualche esimio redattore. Esemplari sono quelle di Gian Antonio Stella, che è stato mio cronista nella redazione romana del Corriere della Sera quando in qualche periodo mi sono trovato a dirigere la «bianca». Tempestive, puntuali, approfondite, ricche di dati e notizie ma ciononostante a mio parere insoddisfacenti, non complete. In che cosa e per quali motivi?

Rispondo al primo interrogativo portando due casi particolari: un’inchiesta sull’abusivismo edilizio e una sulle spese del Parlamento. La prima, pubblicata lo scorso anno, ebbe anche il merito di rivelare un clamorosissimo caso di abuso in una pregevolissima area supervincolata di Roma. Ma a mio parere era viziata di unilateralismo. Perché è certamente vero che per la legge l’abuso edilizio è un reato penale e va represso in quanto viola norme urbanistiche e piani regolatori stabiliti dalle competenti autorità. Ma un’inchiesta sull’argomento non può limitarsi a questo aspetto, deve essere estesa a che cosa sono i piani regolatori, a come vengono redatti, se nell’interesse pubblico o di privati, ossia di grandi società immobiliari ed edilizie che, proprietarie anche di giornali, possono influire, anzi solitamente influiscono sui pianificatori, ossia su politici e amministratori pubblici in cambio quanto meno di sostegni giornalistico-elettorali.

Un’inchiesta sull’abusivismo edilizio andrebbe quindi seguita da un’altra su quello urbanistico altrimenti, tempestiva, puntuale, approfondita e ricca quanto sia, non elimina ma anzi avvalora il sospetto che gli abusivi siano additati al pubblico disprezzo come trasgressori di leggi, autori di reati e meritevoli di condanne anche detentive solo perché complessivamente sottraggono ingentissime cubature da edificare appunto alle grandi società immobiliari ed edilizie, proprietarie di giornali.

Un’altra inchiesta di Stella, realizzata «a quattro mani» con Sergio Rizzo - non ho mai capito come si fa a scrivere a quattro mani un’inchiesta, un articolo, una cronaca, io mi rifiutai risolutamente di farlo l’unica volta che mi fu chiesto - ha riguardato a metà ottobre le spese di Camera e Senato, con un’attenzione particolare all’incessante moltiplicazione delle sedi parlamentari, da 4 del dopoguerra a una trentina, tanto da trasformare il centro storico di Roma in una cittadella del potere, di giorno invasa di macchine blu con tanto di apposite corsie preferenziali, e di notte deserta.
Ebbene avrei voluto sapere un po’ di più dai bravi Gian Antonio e Sergio, dal momento che il Corriere ha dedicato un’intera pagina all’argomento.
Ossia: quali politici e partiti hanno venduto a basso prezzo a società immobiliari private molti di quei 30 edifici che fino a qualche anno fa erano dello Stato? E che queste società hanno immediatamente affittato allo Stato stesso ad altissimi canoni, lucrando ottimi redditi, sicurezza di pagamenti, durata inimmaginabile dei contratti? Chi sono i soci, palesi e occulti, di tali privati? Non era difficile saperlo perché proprio il Corriere della Sera ha avuto in affitto per 24 anni, in Via del Parlamento a Roma, Palazzo Theodoli, del Credito Italiano, ossia dell’Iri, ossia dello Stato, destinato alla redazione romana e ora appendice della Camera dei deputati. Sono sicuro che, se fosse dipeso da loro, Stella, Rizzo e tanti altri colleghi del Corriere della Sera e di altri giornali proseguirebbero e completerebbero quelle interessanti inchieste. Al cinema, se viene proiettato solo il primo atto di un film, gli spettatori chiedono il rimborso del biglietto. A un giornale non si usa chiedere la restituzione del prezzo.
(V.C.)

 

 

 

 

Tags: Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti anno 2006

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