MINO PECORELLI E L’ASSEGNO DI 400 MILA LIRE A VALPREDA
L'opinione del Corrierista
Avevo appena lasciato la redazione romana del Corriere della Sera situata in Via del Parlamento 9 quando, alle 17 circa del 12 dicembre 1969, transitando in auto in Piazza Venezia a Roma, assistetti a due potenti deflagrazioni avvenute ai due lati del Vittoriano, il mastodontico monumento a Vittorio Emanuele II conosciuto anche come l’Altare della Patria. Precipitatomi in redazione, appresi dalle agenzie che un’altra bomba era esplosa a Roma nel sotterraneo della sede della Banca Nazionale del Lavoro, causando tutte 17 feriti, e una quarta invece, micidiale, a Milano, nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana, provocando 16 morti e 84 feriti. Non immaginavo certo che, per i Servizi segreti, a distanza di oltre tre anni sarei stato coinvolto in quella tragica vicenda.
Fermato per accertamenti, il successivo 15 dicembre l’anarchico Giuseppe Pinelli precipitò da una finestra della Questura di Milano - episodio per il quale il 17 maggio 1972 fu assassinato il commissario di Polizia Luigi Calabresi -; il giorno dopo fu arrestato, per l’attentato di Piazza Fontana, il ballerino anarchico Pietro Valpreda, rimesso poi in libertà nel marzo 1973. Nel 1979, mentre era in corso a Catanzaro uno dei processi per la strage di Piazza Fontana a carico di Valpreda, Franco Freda, Giovanni Ventura, Guido Giannettini, Mario Michele Merlino e Antonio Labruna, il giornalista Mino Pecorelli pubblicò sulla propria agenzia di notizie O.P. (Osservatorio Politico) una nota intitolata «Versamenti segreti sul conto di Valpreda». «Nella seconda decade del marzo 1973–affermava Pecorelli–, uscito di galera da poco, Valpreda si recò nell’agenzia n. 1 della Banca Nazionale del Lavoro, sede di Roma, per effettuare un versamento di L. 500.000 sul libretto di piccolo risparmio n. 2110788 intestato a lui e a Raggi Laura, emesso dall’agenzia n. 4 della Bnl di Milano. Due giorni dopo si ripresentò di nuovo agli sportelli della stessa agenzia per riscuotere un assegno di L. 400.000 staccato dal conto corrente 149.05.55 della Cassa di Risparmio di Montecompatri e intestato al dott. Victor Ugo Ciuffa, insospettabile giornalista del Corriere della Sera».
Questa era la notizia, seguita dal commento: «A che titolo queste operazioni bancarie del ballerino? Per aiutarlo, la stampa socialista, comunista ed extraparlamentare aveva lanciato una sottoscrizione popolare. Perché Victor Ciuffa, democristiano di provata fede, ricco, lussuosa villa a Monte Doddo (Montecompatri) ha voluto aggiungere all’altrui il suo contributo? A Montecompatri circolano strane voci. Si parla di loschi figuri, di noti pregiudicati che nel recente passato avrebbero avvicinato e minacciato il giornalista democristiano costretto per difendersi a chiedere l’uso della pistola». Ed era questa la perspicua conclusione: «Ecco un altro mistero che si aggiunge ai molti misteri di Piazza Fontana. Si tratta di un mistero che va al più presto chiarito».
Lo chiarii a Carmine Pecorelli detto Mino, autore di rivelazioni scandalistiche sui politici dell’epoca, telefonandogli immediatamente, irritato: «Lei fa l’avvocato e il giornalista, legge i dossier che i suoi amici dei Servizi segreti le forniscono, non mi interessa per quali scopi; ma non legge i giornali più importanti». Altrimenti avrebbe appreso il perché di quel denaro da un’intera pagina pubblicata, il giorno prima della riscossione di quell’assegno di 400.000 lire, dal Corriere d’Informazione, giornale del pomeriggio del Corriere della Sera. Denaro che non era certo il saldo del prezzo per l’esecuzione della strage di Piazza Fontana.
Quella pagina conteneva un’intervista esclusiva che mi aveva rilasciato Valpreda appena uscito dal carcere; i «loschi figuri» e i «noti pregiudicati» che mi avrebbero avvicinato e minacciato erano ladruncoli di paese che avevano tentato di penetrare nella mia casa di campagna per ripicca contro il mio guardiano che non li faceva lavorare nella mia tenuta. E perché democristiano se ero stato sempre estraneo alla Dc?
La vicenda dell’assegno era cominciata il giorno che avevo saputo che Valpreda, detenuto, stava per essere rimesso in libertà; mi ero precipitato ad attenderlo e l’avevo inseguito fino a una pensioncina di Via Carlo Alberto a Roma, nei pressi di Piazza Vittorio; era con la fidanzata Laura Raggi. Gli avevo chiesto l’intervista, mi aveva risposto: «Che voglia di dare interviste avrei, se non so come pagare la camera dove dormiremo stasera?». Ci eravamo accordati sul prezzo e avevo telefonato al giornale per chiedere come comportarmi. «Il direttore dice che sei il capo della redazione romana; e che le spese sostenute per il giornale ti vengono rimborsate», mi fu risposto.
Avevo tratto dal portafogli il mio libretto personale e firmato l’assegno. Valpreda aveva cominciato a parlare. Avevo scritto una pagina, l’intervista era stata uno scoop. Ma tutto questo non risultava a chi, dei Servizi o altro, forniva i dossier a Pecorelli. Uscito dal carcere, Valpreda era tenuto sotto stretta sorveglianza dalla polizia; i suoi conti bancari erano controllati. Non poteva sfuggire il mio assegno il cui importo non era ingentissimo ma comunque considerevole. Un pagamento di cui non fu accertata la causa, ma che era rimasto per 6 anni in un dossier su Valpreda.
Finché quel dossier non era finito in mano a Pecorelli. Ma bastava leggerlo per scoprirne la provenienza e gli autori. I quali, controllati i conti bancari di Valpreda, avevano compiuto accertamenti sui «finanziatori» del ballerino anarchico. Dove? Anche nella stazione dei Carabinieri del comune di Montecompatri in cui, pur vivendo a Roma, avevo conservato la residenza. Da tutto questo Pecorelli aveva tratto e pubblicato un risibile miscuglio di retroscena sullo stragismo internazionale e sui ladruncoli di paese.
Pecorelli si scusò e mi invitò nel suo studio per concordare la rettifica. Una mattina andai e vi trovai una bella signora che si definiva sua segretaria; mi disse che l’avvocato era dovuto correre in tribunale. Pregandomi di attenderlo, mi offrì di collaborare a O.P. Mi alzai indignato e me ne andai, rinviando la rettifica. Pochi giorni dopo giunse in redazione la notizia che l’avevano ammazzato. L’hanno definito un furbo, una volpe, un doppiogiochista. A me dette l’impressione di essere un ingenuo. Valpreda, assolto per insufficienza di prove il 1 agosto 1985 dalla Corte d’Assise d’appello di Bari, dopo anni di vicissitudini giudiziarie, è morto a 69 anni il 6 luglio 2002.
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