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CORSERA STORY. INCHIESTE TRA LE CARTE, INCHIESTE TRA LE TASCHE

L'opinione del Corrierista

Da qualche tempo il Corriere della Sera - ed ora anche altri quotidiani e settimanali - ha ripreso a pubblicare qualche inchiesta. Un’iniziativa lodevole per almeno quattro motivi: perché quel giornale ha un’antica tradizione in questo campo; perché da alcuni anni vere e proprie inchieste sui giornali non si leggono; perché se non le pubblica il Corriere, che oltre al nome e alla tradizione ha i mezzi finanziari per svolgerle, non si sa chi altro potrebbe e dovrebbe farlo; perché in coincidenza con lo sviluppo della televisione, e forse proprio a causa di questa, la massa dei lettori e dei telespettatori è tenuta pressoché all’oscuro di quanto realmente avviene nella società.

Oggi questa massa viene imbottita e frastornata da comunicati, dichiarazioni e commenti non solo superficiali e approssimativi, ma partigiani e fuorvianti in quanto emanati a proprio vantaggio da fonti costituite da forti e organizzati gruppi economici e politici, propensi ad alterare se non a nascondere la realtà, e comunque non interessati a farla conoscere. Ogni giorno si abbattono sulle redazioni di quotidiani, periodici, radio, televisioni, internet e telefonini, valanghe di comunicati, ma è una vana fatica cercarvi un’inchiesta obiettiva su qualche fenomeno reale della società.

Esistono molte istituzioni che svolgono ricerche, sondaggi e inchieste, e che forniscono i risultati alla stampa, ma da chi sono finanziate? Per conto di chi operano? Un giornalista deve sempre dubitare anche di fonti apparentemente disinteressate perché, se si tratta di istituzioni private, è difficile che, diffondendo risultati obiettivi, riescano a far quadrare i loro bilanci; se si tratta di istituzioni alimentate da pubblico denaro, devono tener conto degli interessi dei politici che decidono chi finanziare.

Seguendo questo ragionamento però, anche un giornale, in quanto non è un istituto di beneficenza ma un’azienda costretta a far quadrare i conti, potrebbe non pubblicare inchieste obiettive e disinteressate. Certamente su alcuni argomenti è difficile che esso penalizzi gli interessi dei propri azionisti. Ma proprio per questo la funzione del giornalista deve essere distinta, autonoma e indipendente da quella dell’editore, e comunque quest’ultimo non dovrebbe avere interessi in altri campi.

Anche nel secondo dopoguerra, come ora, la proprietà del Corriere della Sera era presente in altre attività, di natura industriale e finanziaria; ma non considerava il giornale uno strumento strettamente a servizio di queste ultime; o quanto meno non se ne serviva apertamente e pesantemente. Anche perché non era necessario: i politici erano a conoscenza degli interessi degli editori, dei settori in cui questi operavano; ne potevano tener conto o meno, ma senza essere dagli stessi ogni giorno adulati e comandati, oppure redarguiti e minacciati.

Nel 1962 la nazionalizzazione dell’energia elettrica fu realizzata proprio contro gli interessi dei settori - le potentissime società elettriche - rappresentati dagli editori del Corriere della Sera; come si comportarono questi? Offrirono un larvato appoggio al Partito Liberale Italiano che aveva assunto il compito di contrastare il provvedimento tanto da uscire dal Governo e passare all’opposizione per vari anni. In Parlamento si svolse un acceso dibattito sulla nazionalizzazione, imposta dal Psi per lasciare l’opposizione, entrare nella maggioranza e realizzare il centrosinistra.
I proprietari del Corriere del tempo assunsero un direttore, Alfio Russo, che si batté per ostacolare l’operazione, contrastare il centrosinistra, riesumare l’ormai defunto quadripartito centrista; tra l’altro Russo era conterraneo dell’ex ministro dell’Interno e poi presidente del Consiglio Mario Scelba, tra i più inflessibili rappresentanti della vecchia formula. Ma gli bastarono pochi mesi per capire che neppure il Corriere poteva fermare la storia, per cui presto rinunciò alla difesa delle società ex elettriche e si adeguò alla nuova linea politica, ovvero agli interessi del Paese.

Tra le inchieste giornalistiche che il Corriere della Sera ha ricominciato a pubblicare spiccano gli esami che due giornalisti, Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella, compiono sugli sprechi della classe politica. Hanno preso di mira il proliferare indiscriminato e inarrestabile delle sedi del Parlamento giunte, a pari numero di parlamentari, da 7 o 8 edifici del dopoguerra a una quarantina, con la conseguenza di trasformare il Centro storico di Roma in una cittadella blindata, di espellerne gli abitanti, di sopprimere attività professionali, commerciali, artigianali. Hanno continuato mettendo sotto inchiesta le spese compiute dalle massime istituzioni dello Stato: Camera, Senato e Governo.

A fine gennaio il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha compiuto un gesto senza precedenti, ha reso pubblico il bilancio preventivo del Quirinale per il 2007. Non sono state certo le inchieste del Corsera a indurre a tale atto il Capo dello Stato il quale, sin dalla sua elezione, si è pronunciato a favore della trasparenza e della riduzione delle spese dell’apparato pubblico, ma certamente esse contribuiscono a ciò, come contribuisce l’opinione pubblica, soprattutto dinanzi alla nuova politica del Governo Prodi. Ma basta aver raggiunto questo risultato? Bastano le inchieste giornalistiche pubblicate?

Tutt’altro. Esse devono continuare, ma non tanto per scoprire i topi dei sotterranei del Policlinico di Roma, ben conosciuti, nutriti e tollerati da almeno mezzo secolo; e neppure per dimostrare che dalle Cancellerie del Tribunale di Roma si possono tranquillamente asportare fascicoli: io l’ho fatto per anni, non rubando ma aprendo i faldoni, copiandone il contenuto e pubblicandolo proprio sul Corriere della Sera. Disabituati o mai abituati a compiere inchieste e scoop affrontando rischi e sacrifici, molti giovani giornalisti si meravigliano quando scoprono la normalità. A meno che improvvise scoperte e clamorosi stupori non servano a giustificare altrettanto clamorose operazioni politico-finanziarie, ad esempio la faraonica ristrutturazione del Policlinico.

Basterebbe frequentare le Corti d’Assise - o le borgate della periferia romana - per realizzare più di uno scoop al giorno, per conoscere tragiche ma avvincenti storie da raccontare ai lettori, per appassionarli, interessarli, sottrarli all’imperante ignoranza e banalità televisiva, per restituire alla società i sentimenti e i valori che ha perduto. Ben vengano le inchieste fatte sulle carte e sui documenti ufficiali, ma c’è soprattutto un altro mondo da raccontare: quello vero degli sprechi, degli abusi, dei favoritismi, degli arricchimenti, dei vizi e quindi delle tasche della nuova nomenklatura.
(V.C.)

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista Febbraio 2007

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