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CORSERA STORY. ESPULSIONI: UN’AUTOBOMBA NEL MONDO DEI GIORNALISTI

L’opinione del Corrierista

Il 14 dicembre scorso è scoppiata un’autobomba che apparentemente ha colpito e devastato il mondo del giornalismo italiano; apparentemente, perché in realtà è destinata a non avere conseguenze per il semplice motivo che il Giornalismo, quello con la G maiuscola - ogni altro non è Giornalismo -, era morto da tempo. Ma a questo nessuno aveva fatto caso, tutti lo credevano vivo, vitale e pimpante, vedendo apparire il suo fantasma ogni sera in tv, in trasmissioni pseudo-giornalistiche. Per cui tutti hanno creduto o possono credere che sia morto proprio il 14 dicembre, in quell’ora e in quel minuto, a causa dell’autobomba innescata e attivata addirittura da uno dei due più autorevoli e folti Ordini dei Giornalisti, quello di Milano e della Lombardia.

Si tratta dell’autobomba con la quale è stato degradato, destituito, radiato, scacciato dall’Ordine stesso e da tutta la stampa italiana addirittura il direttore di una storica, illustre e un tempo autorevolissima testata, oggi del primo Gruppo editoriale italiano, quello del Corriere della Sera. Una testata che per tutti i giornalisti italiani è stata un punto di riferimento; era un onore avervi lavorato ma anche solo respirato quell’aria; ancora costituisce un titolo di professionalità, di importanza, di qualità affermare di aver conosciuto i protagonisti di quell’eletto cenacolo giornalistico. Si rievocano con rispetto, con devozione e con rimpianto gli uomini che costituirono e resero celebre quella redazione.

Ma che cosa è avvenuto negli ultimi venti, trenta anni? Nulla di eccezionale, o meglio tutto di eccezionale: il degrado che via via ha sommerso il Paese, la società, la classe politica, quella dirigente, i mezzi di comunicazione e in primo luogo la televisione, ha colpito inflessibilmente e impietosamente anche la stampa e il Giornalismo. Se dovunque in Italia c’erano da aspettarsi corruzione, scandali, ruberie, perdita di valori morali e umani, se dovunque tutto ciò poteva più o meno giustificarsi, c’era un’isola in quell’oceano putrido e insidioso che non doveva farsi travolgere dalla melma degli scandali, dal fango della disonestà e della frode: la stampa, il Giornalismo. E, tra i vari giornali, il Gruppo del Corriere della Sera.

Non è un problema di una pecora nera, di due o tre pecore nere; ci sono sempre state e ci saranno. Non è neppure un problema di greggi isolate, disorientate, sbandate, sperdute. È un problema di massa, di quasi totalità. Quale classe giornalistica, quali giornalisti possiamo aspettarci per il futuro se questi sono gli esempi? E, peggio ancora, se questi esempi sono offerti proprio da coloro che pretendono di scoprire, giudicare, censurare, condannare, additare alla pubblica riprovazione i rei di malversazioni, appropriazioni indebite, privatizzazioni ed espropriazioni illegittime di beni pubblici e privati.

Tuttavia non possiamo unirci alla massa che di colpo scopre la disonestà di questa categoria, che l’accomuna a politici, dirigenti dello Stato, manager pubblici e privati protagonisti di arbitrii, appropriazioni di beni pubblici, profitti ingiustificati, protervia e arroganza del potere. Conosciamo troppo bene la categoria, le singole persone, i meccanismi individuali che le animano, ma anche gli apparati che cercano in ogni modo di coltivarle, nutrirle, ingrassarle, arricchirle, adularle, cooptarle, asservirle, sottometterle, schiavizzarle, plagiarle, strumentalizzarle per conseguire i loro illegittimi scopi e interessi a danno della collettività.

Non entriamo assolutamente nel merito dei fatti oggi emersi e delle colpe attribuite, vere o presunte. Potrebbero essere fondate ma anche inconsistenti, bolle di sapone destinate presto a sgonfiarsi; alcuni giornalisti una dozzina di anni fa furono tratti in manette da magistrati e additati in televisione al ludibrio della gente, e che oggi siedono insieme, nel Governo e in Parlamento, a chi gli mise le catene e li mandò in galera. Nessuno ha più il pudore e il coraggio di protestare, di dimettersi. Giornaliste non si sa per quali meriti assunte e promosse dalla tv pubblica, inquisite dalla magistratura per reati a danno del patrimonio e dell’interesse pubblico, continuano a imperversare in tv e nei salotti che contano inquisendo e redarguendo, a loro volta, magistrati e politici quanto meno eletti dal popolo.

Un tempo, neppure tanti anni fa, le persone oneste si dimettevano al solo aleggiare di un sospetto, di un’ombra sulla loro estrema correttezza e onestà. Ecco anche perché non dobbiamo più aspettarci nulla, apprendere nulla in questo Paese. Spesso si sentono addurre esempi tratti da altri Paesi, senza alcuna possibilità di riscontro e di comparazione reale; noi non cadiamo in questi tranelli fuorvianti, viviamo in Italia e di questa parliamo. E diciamo chiaramente che non ci piace questa giustizia sommaria che di colpo gli organi di autogoverno della categoria dei giornalisti scoprono e applicano.

Perché occorre aspettare e conoscere l’esito finale del procedimento aperto a carico del direttore di una illustre testata del Corriere della Sera; e perché un’autobomba del genere è destinata a non avere alcun effetto sul comportamento futuro della categoria. Il giornalista che sbaglia va riprovato, censurato, condannato, addirittura radiato; ma è più colpevole un direttore che accetta danaro da una banca estranea, di uno che l’accetta dalla banca padrona del proprio giornale e dalla quale ha avuto l’incarico - e le cariche - proprio di perseguire esclusivamente, pesantemente e ciecamente gli interessi della stessa?

Un’eventuale infedeltà del giornalista può costituire una violazione dell’obbligo, sancito anche dal codice civile, di fedeltà verso la propria azienda e il proprio datore di lavoro. Ma diverso è il problema per il lettore e per l’opinione pubblica in generale. Il giornale si pubblica per dare notizie e commenti non ai suoi azionisti o a quelli di gruppi concorrenti, ma alla massa dei lettori, alla società, a tutti. Un giornalista che si fa corrompere da una banca avversaria della banca da cui dipende non tradisce la massa dei lettori, forse offre a questi maggiori elementi di valutazione di quelli interessatamente forniti dal proprio gruppo editoriale, bancario, industriale, finanziario. Gli Ordini dei giornalisti devono difendere, e in anticipo, l’indipendenza i propri iscritti da azionisti e contro-azionisti; non condannarli dopo. Perché potrebbero far nascere il sospetto di tutelare non il lettore e l’opinione pubblica, non il Giornalismo con la G maiuscola; ma gruppi bancari e finanziari legati politicamente a determinati partiti, contro altri gruppi bancari e finanziari legati ad altri partiti. Se fosse così gli Ordini dei giornalisti darebbero una validissima mano proprio a chi ha interesse a sopprimerli.

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti

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