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CORSERA STORY. ADESSO LE SMENTITE SI CHIAMANO INTERVENTI

Albino Luciani - papa Giovanni Paolo I

L’opinione del Corrierista

L’infortunio in cui sono caduti alcuni quotidiani nel dare per certa, la mattina del 3 novembre scorso, la vittoria del candidato alla presidenza degli Stati Uniti John Kerry, deve indurre i giornalisti a riflettere seriamente sulle origini, sulla trasformazione e sulle prospettive della loro professione. Il fatto che tra tali giornali figurasse il primo in Italia, il Corriere della Sera, rivela il modo di lavorare invalso ormai in gran parte della stampa. Che l’infortunio sia capitato a una testata minore come Il Manifesto non è giustificabile ma è spiegabile: non ha così tanti mezzi da permettersi uno staff di giornalisti, tecnici, maestranze deste tutta la notte per “ribattere” una pagina o addirittura, a giorno fatto, pubblicare un’edizione straordinaria; neanche per un avvenimento così eccezionale come l’elezione del capo di Stato più importante del mondo.

Alcuni infortuni giornalistici sono dovuti a cause di forza maggiore. Ma essi sono rarissimi, o quanto meno devono essere tali. Soprattutto se folta e ben pasciuta, una redazione deve essere preparata a tutto: far partire gli inviati in qualunque momento, attivare la rete dei corrispondenti, avere un archivio aggiornato, possedere servizi e articoli già composti e impaginati, contare su un’organizzazione adeguata all’importante servizio pubblico - ossia l’informazione - che si offre ai lettori. Considerazioni talmente ovvie da apparire banali. Ma non è così.

Non avveniva, un tempo, quello che succede oggi, figuriamoci poi al Corriere della Sera. In occasione della morte di papa Paolo VI, ad esempio, si prepararono, come sempre per tali e per anche meno importanti avvenimenti, una serie di ritratti dei probabili successori. Furono mobilitati una decina di giornalisti, tra i quali anch’io. Ad ognuno fu assegnato il nome di un probabile papa. Dovevamo predisporre un servizio sul nuovo pontefice come se fosse stato eletto in quell’istante. A me toccò il patriarca di Venezia, cardinale Albino Luciani.

Mi misi immediatamente in azione, ne studiai la vita, cercai tutti gli episodi conosciuti e non conosciuti di cui era stato protagonista, lessi i testi che aveva scritto e le prediche che aveva fatto, rintracciai persone a lui vicine allora e nel passato, interrogai compagni di studi, fedeli, collaboratori, compii un vasto giro nelle sperdute parrocchie della sua sperduta diocesi. Scrissi in anticipo l’articolo della sua elezione, come fecero i miei colleghi per i loro candidati. Il caso volle che fosse eletto papa, il 3 settembre 1978, proprio Albino Luciani. Ai lettori il mio articolo sembrò scritto subito dopo la fumata bianca. Ma quanto lavoro, fatica, organizzazione, risorse finanziarie era costato al Corriere della Sera? Un grande giornale è tale per lo sforzo, la passione, il sacrificio dei dipendenti.

A volte anche per le risorse finanziarie, ma queste non sono tutto: anzi spesso i giornalisti troppo ben trattati diventano star, dive, mezzibusti, attori, istrioni, non esercitano più il vero giornalismo, diffondono tra le masse immagini false, ingannevoli, illusorie di questa professione. Il cui deterioramento raggiunge oggi il punto massimo nella televisione, che spinge il giornalista a dimenticare l’obbligo di cercare e dare le notizie, ad abbandonare il ruolo di semplice informatore, ad assumerne altri: presentatore, conduttore, attore, protagonista, politicante, tribuno, divo ecc.

È vero che per dieci star del giornalismo, soprattutto tv, esistono diecimila giornalisti seri, affidabili, motivati, appassionati di questo lavoro, infaticabili segugi alla ricerca di notizie, operanti nell’anonimato, nella routine quotidiana, al tavolo di redazione, in cronaca, in tipografia ecc. Ma spesso non hanno maestri, i direttori sono nominati con criteri diversi da quelli di un tempo: non bastano più la bravura e l’iscrizione all’ordine professionale, indispensabile per legge; occorre soprattutto quella a un partito e anzi, sempre più spesso, a un’organizzazione segreta.

I risultati sono la mancanza di rigore, la sciatteria, l’approssimazione, la superficialità, il pressappochismo nel raccogliere notizie, nello scriverle, nel verificarle, nell’accertarne la fondatezza, nell’osservare le regole della grammatica e della sintassi, nel conoscere il vocabolario italiano. Quando fui assunto dal Corriere della Sera, nel lontano 1956, mi fu subito spiegata una regola fondamentale, anzi una legge: il Corriere non smentisce mai. Ossia, non accetta smentite alle notizie e alle affermazioni che pubblica.

Che significava? Una prepotenza, una prevaricazione, una violazione dell’obbligo di rettificare errori, notizie infondate, attribuzioni sbagliate a qualcuno di fatti inesistenti, disonorevoli, infamanti? Nulla di questo, significava l’opposto: il Corriere della Sera non smentiva e non rettificava mai perché non sbagliava mai, pubblicava notizie assolutamente vere, senza possibilità di confutazione, correzione, modifica. Era possibile? Certo, perché prima di essere scritta, una notizia era rigorosamente controllata e accertata; se non era sicura si preferiva ometterla.

Ma non era possibile qualche errore umano? Come facevano i giornalisti a non sbagliare mai? Un sistema c’era, e ci sarebbe anche ora: oltre all’orgoglio di appartenere a un giornale che non sbagliava mai, impedivano di farlo l’abitudine, l’esercizio, il rigore mentale. Oggi, al contrario, libero da quest’ultimo, privo di un imperativo categorico, il giornalista non si preoccupa di controllare, attribuisce fatti inesistenti, diffama e danneggia gravemente le persone.

In questi ultimi tempi la categoria si è battuta per ottenere dal parlamento la depenalizzazione del reato di diffamazione e l’attenuazione dell’obbligo di risarcire i danni alle persone offese. Non condivido tale privilegio se il giornalista non riacquista la certezza di quanto scrive, lo scrupolo di non danneggiare persone con l’attribuzione di fatti non provati o con giudizi non fondati, il rigore in uso un tempo al Corriere della Sera. Dico “un tempo” perché purtroppo anche in questo giornale tale stile è dimenticato. Lo dimostrano le frequenti smentite e rettifiche pubblicate, frutto evidente di altrettanti errori, imprecisioni, avventatezze. Smentite e rettifiche eufemisticamente ribattezzate “Interventi e repliche” nell’inopportuno tentativo di camuffarle e di riservare ingiustamente, al giornalista che ha sbagliato, sempre l’ultima parola.

 

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista giornalisti Papa anno 2004

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