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CORSERA STORY. CHE RESTA DI TANTO PSEUDOGIORNALISMO D'ASSALTO?

L’opinione del Corrierista

Avrà perduto la presidenza del Consiglio dei ministri, Silvio Berlusconi, ma in compenso si è assicurato un grande merito verso la categoria dei giornalisti e dei fotoreporter, quantomeno verso una sottocategoria di essi, quelli cosiddetti d’assalto. Li ha talmente beneficati che meriterebbe di essere nominato il loro protettore in terra, come lo è in cielo San Francesco di Sales che essi festeggiano, si fa per dire, il 29 gennaio prossimo; io solitamente me ne ricordo, perché ho studiato proprio dai Salesiani, e penso che se ne ricordi anche l’ex presidente, visto che è anch’egli un loro ex allievo.
Mai, ritengo, i giornalisti italiani hanno avuto tanto lavoro, da svolgere, quanto glien’ha procurato Berlusconi in questi ultimi tre anni, quelli del suo quarto Governo. Un lavoro equamente distribuito tra giornalisti amici e giornalisti avversari, senza favoritismi, discriminazioni, ingiustizie, ma con la più stringente logica dell’«uno a me e uno a te», cioè «un colpo o uno scoop lo fanno i miei, subito un altro lo fanno i tuoi». Magari anche a distanza di qualche mese, ma con la massima sicurezza, con estremo rigore, scrupolo e precisione.
Talvolta penso addirittura che egli abbia compiuto qualcuna di quelle sue riprovevoli stramberie che hanno scandalizzato il mondo, proprio per fare contenti e soprattutto pasciuti giornalisti e fotografi. E l’ha fatto, per di più, garantendo l’esistenza di un’estrema lealtà tra gli avversari: un’elegante loro nonchalance, un’ammirevole impassibilità nell’accoltellarsi alternativamente e vicendevolmente, in petto o alla schiena, tra bobine di carta moschicida, bidoni d’inchiostro arsenicato, telecamere al raggio della morte. Quale bello spettacolo hanno offerto ai lettori, al modico costo di un giornale, un euro al giorno, e addirittura gratis per gli abbonati alla tv, quei giornalisti specializzatisi in cronachette avvelenate e in escort screanzate.
Ma ora che la tormenta politica si è placata e il tormentone giornalistico si è concluso, che cosa resta ai lettori, ma anche agli stessi giornalisti, di quegli assalti all’arma bianca, di quelle imboscate clamorose, di quei titoli e articoli droganti le masse, oltreché drogati essi stessi? Rientrano nella triste routine di tutti i giorni, nell’ombra e nell’oblio, lontano dalle luci della ribalta, dall’eccitazione della scoperta, dalla voluttà dello scoop? Probabilmente sarà così, anzi sicuramente, perché anche i proverbi insegnano che la febbre continua ammazza il cavallo.
Resta però un interrogativo inquietante all’interno della categoria. Chi non ricorda l’antica favola di Esopo sull’orso e la tartaruga? Era questa, all’incirca: un orso mastodontico che camminava nella foresta, non vide una piccola tartaruga che attraversava il viottolo, inciampò in essa e rovinò pesantemente al suolo; per tutta la sua lunga vita la tartaruga si vantò di aver atterrato un orso.
Giornalisti e fotoreporter sono come le tartarughe: per tutta la vita raccontano gli scoop che hanno compiuto e ovviamente pubblicato. Anche perché uno scoop compiuto ma non pubblicato non è uno scoop, non è niente. È un’occasione perduta. A raccontare gli scoop i giornalisti, una volta pensionati, vengono solitamente ascoltati, con compatimento, solo da figli e nipoti, figuriamoci se quelle notizie non le hanno neppure pubblicate. Posso dire però questo: degli scoop che ho realizzato nella mia vita lavorativa, non ne ho pubblicati tre o quattro, privando i lettori di vicende clamorosissime.
Ho fatto bene o ho fatto male? A distanza di tempo posso oggi dire che ho fatto bene. Anzi, di più: ho fatto del bene ai protagonisti di vicende scabrose perché altrimenti la loro vita sarebbe stata gravemente e spesso ingiustamente compromessa, mentre nel silenzio e nella riservatezza hanno potuto riprendersi. Ma non ho neppure danneggiato i lettori del mio giornale perché, se avessi destato e appagato la loro curiosità, avrei anche fornito loro un cattivo insegnamento; così, invece, ne hanno avuto qualcuno in meno.
So però bene che, quando nei salotti o nelle piazze si accusano i giornalisti del degrado e della perdita dei valori morali di questa società, la colpa non è tutta e soltanto la loro. Soprattutto se sono in buona fede e se hanno scelto questa professione non per secondi fini ma per passione, per pura passione. Un’infinità di giovani, troppi, oggi aspirano a diventare giornalisti. Se l’editore o il direttore di giornale di un certo colore politico fosse disposto ad assumerli, rifiuterebbero perché politicamente la pensano diversamente?
Ho conosciuto tanti anni fa un giovane aspirante giornalista, piuttosto di sinistra, accettare un «volontariato» nel Secolo d’Italia, organo del Movimento Sociale Italiano, quando intorno a quella zattera di disperati, disprezzati e ghettizzati ex fascisti c’erano solo vuoto, silenzio, quarantena. Era la passione per la stampa che lo spingeva. Certamente delle torme vocianti, soprattutto in tv ma anche nella carta stampata, di giornalisti che hanno alimentato l’appena trascorsa stagione di gazzarra gazzettiera, facevano e fanno ancora parte politici travestiti da giornalisti e giornalisti aspiranti politici.
Già nella prima Repubblica si era assistito alla progressiva penetrazione, nelle redazioni dei giornali «cosiddetti» indipendenti, di elementi politicizzati ai quali, più che l’informazione e l’acculturamento dei lettori, stava a cuore, oltre alla loro carriera, la crescente, surrettizia occupazione dei posti di potere. Ora però il fenomeno sta diventando torrenziale e non ci si dovrà meravigliare se presto si ritroverà in buona posizione nelle liste elettorali e poi in Parlamento un certo mondo dei mezzi di comunicazione, autentici o artefatti. Del resto la recente, trascorsa esperienza politica ci ha mostrato in veste di ministri gente che non conosceva neppure il significato di questa parola.
In conclusione, di tutto quello spolverio di penne con cui sparute pattuglie di giornalisti d’assalto ci hanno per qualche stagione riempito le giornate, un po’divertendoci un po’irritandoci, poco è destinato a rimanere. Cambia il Governo, accaniti avversari si riappacificano, i giornalisti d’assalto vengono congedati. Valeva la pena per loro infuocare così la contesa, portarla al calor bianco, coinvolgere e svilire le istituzioni? Non era preferibile qualche scoop in meno e qualche buon esempio in più? Tanto più che proprio a questo ora si dovrà arrivare.

Victor Ciuffa

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera fotografi Corrierista giornalisti editori dicembre 2011

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