CORSERA STORY. DE BORTOLI, FA ANCORA SCUOLA IL CORINFORM SOPPRESSO
L'opinione del Corrierista
Il ritorno di Ferruccio de Bortoli alla direzione del Corriere della Sera rende necessario ricordare a chi c’era, e a far sapere a chi non c’era, la fulgida stagione del Corriere d’Informazione, il fratellino minore del Corriere della Sera, un giornale del pomeriggio che, nato subito dopo la Liberazione, fu stoltamente soppresso negli anni 80 da amministratori ottusi e incolti. L’affidamento per la seconda volta della direzione del massimo quotidiano italiano a De Bortoli costituisce un riconoscimento postumo della validità e dell’eccellenza di quella formula giornalistica, perché è proprio nel Corinform che egli si formò e dal quale proviene.
Vi sono giornalisti che fanno carriere nei grandi giornali o alla Rai, e finiscono pure in Parlamento e al Governo, perché si «iscrivono» subito, come ho scritto in altra occasione, a un partito o a un sindacato, dei lavoratori o degli imprenditori, com’è ad esempio la potentissima Confindustria; o si legano via via a personaggi ricchi e autorevoli. Ma ve ne sono altri, sicuramente molto bravi professionalmente, che non si legano a nessuna organizzazione ma talvolta vengono scelti, appunto perché bravi, da qualche editore che non esige il cieco servilismo, la militanza indiscussa, la stupidità manifesta, requisiti che alla lunga lo danneggiano.
Parliamo di organizzazioni che sempre, o in alcuni periodi, consentono nei propri giornali, e in generale nei propri strumenti di comunicazione, il dibattito, il confronto delle idee; perché il vero imprenditore, quello che non vive di provvidenze pubbliche e di scambi di condizionamenti e favori con i politici, sa bene che - se vuole vendere automobili, immobili, servizi bancari, polizze assicurative ed altro -, deve aprirsi a tutti gli acquirenti e non certo alienarsi le simpatie neppure di un lettore.
Un esempio di intelligenza, di apertura mentale, di intuito e, se vogliamo, anche di astuzia, fu proprio quello dei proprietari del Corriere della Sera, i tre fratelli Crespi, i quali avrebbero potuto sopprimere il Corriere d’Informazione dopo pochi mesi, quando gli fu consentito di ripubblicare il Corriere della Sera; invece lo conservarono con il risultato di creare il quotidiano dell’epoca più brillante e nello stesso tempo profondo, più leggibile e nello stesso tempo autorevole, e non solo tra i quotidiani del pomeriggio ma anche fra quelli del mattino. Non per altro un imprenditore illuminato e coraggioso come Enrico Mattei cercò di emularlo fondando nel 1956 Il Giorno.
Il Corriere d’Informazione si avvalse di firme di primo piano all’epoca - e ne creò altre per il futuro, come il caso De Bortoli dimostra -. Vi scrissero Indro Montanelli, Vittorio G. Rossi, Maner Lualdi, Giovanni Mosca, Max David, Domenico Bartoli, Virgilio Lilli, Dino Buzzati ecc. Diretto da Gaetano Afeltra, sin dall'invasione di Budapest da parte dei carri armati sovietici nel 1956 intravvide il futuro politico mondiale e inaugurò la stagione dell’«apertura a sinistra», e in particolare al Psi che difatti dopo 6 anni, nel 1960, dalla più dura opposizione di sinistra passò prima ad appoggiare un Governo di centro, poi due anni dopo ad entrarvi direttamente dando vita al primo Governo di centrosinistra.
Il veto posto nel 1961, in occasione dell’uscita dal Corriere della Sera del vecchio direttore Mario Missiroli, dagli «otto grandi» alla nomina del successore nella persona di Giovanni Spadolini, indusse gli editori a una scelta sbagliata: quella di Alfio Russo che, conterraneo del ministro Mario Scelba, combatteva il Psi auspicando il rientro nella maggioranza del Pli e il ritorno a un Governo quadripartito centrista. Una linea completamente opposta a quella, vincente, propugnata da un quinquennio da Afeltra sul Corriere d’Informazione.
Ma Alfio Russo si liberò presto di lui. Con l’uscita di Missiroli, Afeltra finalmente e ufficialmente avrebbe dovuto assumere la carica di direttore del Corriere d’Informazione. Ma Russo propose una direzione unica per i due giornali, a lui affidata, e due vicedirezioni, competenti pure per entrambe le testate, affidate una ad Afeltra e l’altra a Michele Mottola. Sconsigliai vivamente Afeltra di accettare, sostenendo l’autonomia del Corriere d’Informazione, ma Afeltra accettò e cadde nell’imboscata. Perché, al contrario di Missiroli, Russo cominciò ad occuparsi attivamente del Corinform senza consentire però ad Afeltra di occuparsi del Corsera.
Dopo qualche mese Afeltra fu costretto ad andarsene e Russo fu libero di nominare al Corinform redattori-capo a lui ossequienti, timorosi di pubblicare, come era sempre avvenuto prima, le notizie prima del Corsera, che usciva il giorno dopo. Più volte portai in redazione scoop da lanciare nelle edizioni pomeridiane, e dovetti constatare amaramente di vederle rinviate al pomeriggio del giorno seguente, dopo la pubblicazione sul Corriere e spesso, ovviamente, anche su giornali concorrenti. Una ripicca contro uno staff giornalistico che, con pochissimi mezzi rispetto alla grande potenza del Corriere, era riuscito a creare la testata più brillante, aggiornata, aperta e arguta del panorama giornalistico europeo.
Al confronto il Corsera era un giornale retrò, stantio, imbalsamato, che non riuscì a prevedere i nuovi fermenti della società italiana dopo l’ubriacatura del boom economico e la prima congiuntura economica del 1963, e nonostante il maquillage compiuto da Russo con la sostituzione, dopo i deludenti per lui risultati elettorali del 1964, dell’intero staff dei giornalisti politici delle due testate. Per cui il Corriere si trovò spiazzato dal movimento studentesco del ‘68 e dall’«autunno caldo» sindacale del 1969.
Forse questi «interna corporis» del più grande giornale italiano non interessano neppure gli studenti delle facoltà e dei corsi di giornalismo di oggi, più acculturati probabilmente sulle odierne giornalistiche vicende di veline e dei loro padrini. Non è che questo mondo fosse sconosciuto all’epoca; anzi proprio sul Corinform Afeltra cominciò a pubblicare nel 1956 le storie di Via Veneto e dintorni che quotidianamente gli trasmettevo dando vita alla Dolce Vita. Basta rileggere quelle cronache, trattate con una sottilissima e costruttiva satira di costume e non con la sperticata adulazione, o il pecoreccio pettegolezzo, o la livorosa e abietta lotta politica che troviamo in molta stampa di oggi. Della tv non vale la pena di parlare. Per questo il ritorno di un ex-Corinform alla guida del Corriere è una suprema garanzia.
V. C.
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