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CORSERA STORY. Giornalismo, informazione, carrierismo e killeraggio

«Non è compito di media indipendenti organizzare e condurre campagne pro o contro uomini e partiti politici per delegittimarne il ruolo istituzionale. Dovere dei media è riferire i fatti ed esprimere giudizi verificabili nei fatti. Il resto è militanza politica. Legittima. Ma altra cosa dal giornalismo». È la semplice ma clamorosa lezione che l’ex direttore del Corriere della Sera Piero Ostellino ha impartito, a chiusura del «fondo» pubblicato il 12 agosto scorso dallo stesso giornale, ai colleghi o meglio agli ex colleghi che, spacciandosi ancora per giornalisti, hanno riempito e riempiono i loro giornali dei più bassi attacchi personali contro uomini politici per conto di altri uomini politici, loro avversari.
È difficilissimo trovare, in alcuni giorni e addirittura in alcuni periodi, qualche «notizia» in certe testate cosiddette, per di più, indipendenti. Abbiamo assistito a una lotta spietata a base di rivelazioni, denigrazioni, colpi bassi, scandalismo, ricorso ad ogni mezzo per demolire l’immagine di alcuni politici. Un sistema del quale, poi, tutti i contendenti, giornalisti e mandanti, finiscono per essere prima o poi, a loro volta, vittime.
Non desidero discutere dei contenuti e delle linee politiche dettate dai leader. Ma non posso non riflettere sulle caratteristiche e sulle mansioni che la professione giornalistica è venuta assumendo negli ultimi tempi, e che la stanno completamente snaturando. È vero che oggi il giornalismo strillato sembra, anzi è l’anticamera della carriera politica e quindi la porta di ingresso in un Eden ricco di benefici, vantaggi, carriere, guadagni ed altro, che neppure le più celebrate e osannate firme hanno mai percepito né tantomeno sognato.
Questa degenerazione della categoria ha avuto illustri esempi e modelli in altri settori, in particolare nel comportamento di certa magistratura che, spinta dal vuoto programmatico e operativo della classe politica di fine ‘900, ha cominciato a sostituirsi ad essa, a riempirne i vuoti, ad intervenire in campi non propri. Basta ricordare la nascita e l’intraprendenza dei pretori d’assalto, il fenomeno della «supplenza giudiziaria» e il conseguente passaggio di esponenti della Giustizia, ossia del terzo potere dello Stato, nel Parlamento e nel Governo, ossia nel secondo e nel primo potere. Le ambizioni personali si sono via via moltiplicate e, attraverso varie strutture tra cui i sindacati di categoria, è cominciato l’inarrestabile travaso dall’una all’altra funzione, per di più conservando ingiustificatamente la prima.
Certamente sarebbe stato più utile al Paese un Di Pietro piemme che un Di Pietro onorevole; lui, comunque, si è dimesso dalla Magistratura. Ma ovviamente anche lui ha alimentato il cattivo esempio, perché il virus della politica ha contagiato anche la categoria dei giornalisti. È vero che Benito Mussolini, per citare il caso più clamoroso, da semplice giornalista si trasformò, date le circostanze e la situazione del Paese, in un leader politico e a poco a poco in un dittatore. Anche egli scriveva articoli di fuoco, critiche e attacchi furibondi, ma basati su argomentazioni concrete, non su dicerie da lavanderia.
Oggi certi giornali, e quelli a loro politicamente contrapposti, sembrano non opera di giornalisti professionisti o meglio professionali, ma esternazioni, appunto, di lavandaie assatanate, volgari, sguaiate. E sicuramente presto ci ritroveremo in Parlamento, o addirittura nel Governo, «firme» che eccellono in questa gara alla conquista del livello più basso; come pure finiremo, tranne qualche lodevole eccezione di giornali basati tuttora sull’equilibrio e sulla moderazione, per non avere più giornali che forniscono informazione ai lettori, ma vivai di manovalanza per il killeraggio.
Come non definire killer, infatti, quei giornalisti che, su commissione camuffata da contratto di lavoro giornalistico, si prestano a vere e proprie «esecuzioni» mediatiche? È assolutamente necessario, pertanto, che la categoria dei giornalisti si fermi un attimo a riflettere, ad esaminare freddamente il punto in cui una parte di essa è caduta. Io non dico che politici e aspiranti tali non debbano scrivere sui giornali; ritengo però che i giornalisti, quelli veri, non debbano ingannare i lettori pubblicando, ad esempio, interviste in cui «mettono in bocca» a personaggi politici giudizi negativi e attacchi feroci contro i loro avversari.
Il vero giornalista non lancia il sasso e non nasconde la mano; quanto scrive, se risponde alla verità, costituisce notizia e doverosamente va pubblicato assumendone la paternità; se si trincera dietro virgolette contenenti domande artatamente rivolte e risposte sollecitate e scontate, solo per colpire gli avversari dei suoi padrini politici, non si è un onesto giornalista. Insomma occorre che gli Ordini dei giornalisti si pronuncino, intervengano in qualche maniera, chiariscano, anche creando un terzo Elenco nella professione oltre ai due riservati ai giornalisti professionisti e ai giornalisti pubblicisti.
Non dico di chiamarlo dei «giornalisti polemisti», definizione buona per una battuta di spirito; ma certamente è necessario che i lettori sappiano quali «firme» forniscono solo informazioni e interpretazioni possibilmente oggettive dei fatti; e quali invece si servono dei giornali per farsi pubblicità, per conquistare elettori, per avere voti, per demolire gli avversari spesso calpestando o comunque nascondendo, appannando, distorcendo la verità.
Al lettore possono fare anche piacere i loro articoli, ai quali però dovremmo cambiare nome definendoli quello che sono, cioè libelli o comizi. Ma non piacciono a chi compra e paga i giornali, compreso l’abbonamento alla Rai-tv, per avere notizie e non imbonimenti, chiacchiere da lavatoio pubblico d’altri tempi, ping pong di accuse e controaccuse, illazioni, supposizioni, distorsioni della verità.

Victor Ciuffa

Tags: Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista politica giornalisti magistratura Settembre 2010

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