CORSERA STORY. ED ORA LA GRANDE STAMPA SMENTISCE IL GRANDE BARZINI
L'opinione del Corrierista
Con il proverbio «A chiesa vuota non si predica», nel 1932 Luigi Barzini senior cominciò una nota di servizio rivolta ai redattori del Mattino di Napoli, di cui in quell’anno assunse la direzione dopo oltre vent’anni di Corriere della Sera, dopo aver girato mezzo mondo come inviato speciale e corrispondente di guerra, dopo aver corso e vinto insieme al principe Scipione Borghese la «Pechino-Parigi» e aver diretto negli Usa il Corriere d’America. Più che una nota, in realtà era una vera e propria lezione di giornalismo, zeppa di insegnamenti, di nozioni e consigli frutto della sua ricchissima e lunga esperienza nel settore. Una lezione certamente ignorata dai giornalisti di oggi, che invece dovrebbero conoscerla e studiarla a memoria.
Per i redattori e collaboratori di Specchio Economico è affissa in bacheca. Non so se viene distribuita agli studenti delle Facoltà di Giornalismo, agli iscritti ai numerosi corsi e corsetti organizzati perfino da personaggi e categorie che nulla hanno da spartire con il giornalismo. Ma non in questo numero desidero affrontare e approfondire l’argomento. Intendo però restare alla nota di servizio del grande Barzini il quale premetteva una massima all’epoca fondamentale: «Il giornale moderno di grande informazione deve curare al massimo lo sviluppo della sua circolazione per due ragioni, indipendentemente da scopi industriali».
E spiegava la prima ragione appunto con il proverbio, aggiungendo che la penetrazione o la diffusione dei principi che un giornale propugna è proporzionale al numero dei lettori da esso raggiunti e convinti. Il che però significa anche il contrario: che il numero dei lettori raggiunti e convinti dimostra quanto siano diffusi i principi propugnati da quel giornale. Secondo l’insegnamento di Barzini senior, quindi, se ad esempio attualmente si vendono complessivamente in Italia 2 milioni di copie - 700 mila del Corriere della Sera, 600 mila di Repubblica, 250 mila del Messaggero, altrettante del Sole 24 Ore, 200 mila di tutti gli altri -, i principi e quindi la politica seguita dal Corriere sarebbe condivisa da poco più di un terzo degli italiani; quella seguita da Repubblica da poco meno di un terzo, mentre il restante terzo seguirebbe giornali e quindi politiche assolutamente minoritarie, marginali, di nicchia.
Una conferma dovrebbe essere fornita, con larga approssimazione, dai risultati elettorali, che invece rivelano schieramenti più massicci, anche in presenza di molti piccoli partiti e movimenti politici. Ovviamente la diagnosi di Barzini non può applicarsi alla situazione odierna, soprattutto per due motivi: perché egli scriveva in piena era fascista, quando «i principi, i sacramenti e la fede» cui egli si riferiva erano imposti dal regime fascista; e perché non esistevano strumenti d’informazione così numerosi e così diffusi come quelli di ora. E per di più non esisteva la televisione, che costituisce oggi il principale strumento di imbonimento, più che di informazione, della massa.
Per cui la conclusione dovrebbe essere l’inattendibilità della prima tesi di Barzini: ossia, non è vero che la diffusione di alcuni principi è proporzionale al numero delle copie vendute di un giornale. Una conferma di questo viene dal numero degli elettori che si astengono dal voto. Quali principi seguono gli astensionisti? Da quale giornale tali principi sono propugnati?
Lo stesso Barzini senior, scomparso nel 1947, poté constatare la fallibilità della sua teoria via via che l’Italia perdeva la seconda guerra mondiale, e soprattutto il 25 luglio 1943 quando la massa degli italiani, forzatamente costretta fino a quel giorno a seguire la stampa filofascista, scese in piazza demolendo tutte le insegne del regime e dimostrando che non condivideva affatto quei principi.
Il secondo motivo per il quale Barzini sosteneva che il giornale moderno deve avere una grande circolazione, o comunque una «sufficiente circolazione», consiste nel fatto che solo in tal modo la stampa può sottrarsi alla necessità di ricorrere a finanziamenti di imprese industriali che, tramite essa, potrebbero influenzare, nel proprio interesse, l’opinione pubblica. Non esiste nulla di più attuale, oggi, di questo timore espresso da Barzini. Anzi, allora era un timore, oggi è una consolidata certezza, ovvero la realtà che vanifica e smentisce, purtroppo, anche la sua prima tesi, illustrata con il proverbio della predica inutile nella chiesa vuota.
Perché non è vero che una sufficiente, ma anche una vastissima diffusione dei giornali evita la necessità di ricorrere ai finanziamenti di industriali interessati. Negli ultimi decenni si è rivelato esattamente il contrario, in quanto più un giornale è diffuso, più suscita gli appetiti e gli interessi di gruppi industriali, bancari, finanziari, e non riesce a sottrarsi al loro abbraccio reso possibile da leggi che questi stessi gruppi ottengono esercitando la loro influenza anche su partiti e movimenti politici.
Oggi i giornali più diffusi in Italia, ossia le testate che vendono di più, singolarmente e nel complesso, appartengono a gruppi bancari, finanziari e industriali. Nel 2010, l’ordine di servizio diffuso dal grande Luigi Barzini nel 1932, quasi 80 anni fa, va rivoltato: «I principi, i sentimenti, la fede propugnati da un giornale sono inversamente proporzionali al numero delle loro copie vendute». La spiegazione è semplicissima: i giornali «padronali» devono perseguire fini di lucro, commerciali, speculativi, non rispettosi dell’interesse dei lettori.
Ormai i principi, i sentimenti, la fede cui si riferiva Barzini possono essere osservati e propugnati dai giornali indipendentemente dalla loro diffusione o, addirittura, solo nei casi in cui quest’ultima è limitata, cioè quando non suscita appetiti, interessi, manovre legali e illegali dirette ad appropriarsene per aumentare i propri affari.
di Victor Ciuffa
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