CORSERA STORY. MIMMO ROTELLA, O DEGLI ANNI 50 NARRATI NEL 2000
L'opinione del Corrierista
Una mattina del 1953, nel suo studio di Via Principessa Clotilde presso Piazzale Flaminio, si risvegliò con un’idea nuova. Si vestì in tutta fretta, scese in strada e prese a strappare furiosamente i manifesti pubblicitari dai muri».
«L’illuminazione, così amava chiamarla, arrivò una mattina del 1953. ‘Giravo in Piazza del Popolo, ero in crisi, non volevo più dipingere, poi vedo un manifesto lacerato. Mi fermo, un colpo al cuore. Una specie di choc. Forse è questo il nuovo messaggio’. Da lì nasce il Rotella che conosciamo».
Queste due differenti versioni si leggevano lunedì 9 gennaio scorso negli articoli, dedicati alla scomparsa dell’artista Mimmo Rotella, rispettivamente dal maggior quotidiano romano e dal maggior quotidiano nazionale. Qual’è la versione vera? Nessuna delle due. È vero che oltre cinquant’anni dopo quel 1953 esiste il rischio che chi c’era poco ricordi, e chi non c’era copi notizie errate o le inventi. Affrontiamo questo argomento per confutare non gli uni o gli altri, semmai il modo in cui sono fatti oggi i giornali. Ma non possiamo lasciar passare questa occasione senza offrire un sostanziale contributo all’affermazione della verità e del vero giornalismo.
La storia è completamente diversa, anzi un’altra. Fu Enzo Nasso a suggerire a Mimmo Rotella di strappare i manifesti, anzi glielo insegnò. Perché lui lo faceva già. Era responsabile della Terza Pagina del glorioso Momento Sera dell’epoca, aveva vinto premi per raccolte di poesia, faceva anche il regista di documentari cinematografici. Nasso è scomparso tre anni fa. Io lo conobbi nel gennaio 1954 quando fui assunto dal Momento Sera. Frequentavamo Piazza del Popolo, Via Margutta, Via del Babuino, gli artisti squattrinati dell’epoca, le squallide osterie e trattorie in strade allora popolate da negozietti di umili casalinghi - il carbone, la legna, le scope, la varechina - e bottegucce di artigiani, i più moderni dei quali erano l’elettrauto, il gommista, il carrozziere, a causa del primo diffondersi della motorizzazione.
In Via della Vite c’era il gommista Belillo, in Via Borgognona ad angolo con Via Mario dei Fiori una tipografia, in quest'ultima strada due case chiuse con lunghe file domenicali di militari, altre in Via Capo Le Case, Via degli Avignonesi, Via Laurina, Vicolo del Leonetto, tanto per non allontanarsi affatto. Gli artisti erano Turcato, Omiccioli, Monachesi, Monteleone, Purificato, Vespignani, Vangelli, Canevari, Capogrossi, Fazzini,Tamburi, Dorazio, Perilli, Gentilini; non c’erano Franco Angeli, Tano Festa, Gino Marotta e Mario Schifano, apparsi sulla scena artistica e mondana romana negli anni 60 avanzati.
In un’intervista rilasciata nel 2000 e pubblicata lo scorso dicembre da uno dei due giornali, e definita dall’autore una «chiacchierata», Rotella avrebbe raccontato di aver cominciato a strappare i manifesti nel 1958, e di frequentare negli anni 50 il «Gruppo di Piazza del Popolo» di cui facevano parte Festa, Angeli e Schifano. Basterebbe controllare le date di nascita e quelle delle mostre per capire come, ai lettori disattenti, giornalisti disinformati raccontano indistintamente fatti del passato sovrapponendo i decenni, come se parlassero di personaggi tra loro contemporanei. Probabilmente se scrivessero di Andrea Mantegna e Caravaggio sosterrebbero che erano amici.
Nei primi anni 50 Rotella era tornato dagli Stati Uniti ma non era affatto l’«americano a Roma» che si racconta sia stato preso a modello da Alberto Sordi per il proprio film. Trascorreva le giornate e le serate in Piazza del Popolo tra gli artisti e gli intellettuali dell’epoca, e non nelle borgate tra i «borgatari». Non era Pier Paolo Pasolini. Con un gran cappello in testa e una sciarpa colorata intorno al collo - ma era la moda dell’epoca, non la scimmiottatura del Kansas City - fermava tutte le belle ragazze in cui si imbatteva in strada; trascorreva ore dinanzi al Bar Canova in Piazza del Popolo a intercettare tutte quelle che provenivano o imboccavano Via del Babuino.
A tutte indistintamente rivolgeva un invito a visitare il suo studio. Ventinove su trenta, fermate ogni giorno, declinavano l’invito ma qualcuna accettava. Un giorno io e Nasso gli chiedemmo di prestarci lo studio per un appuntamento galante con due ragazze. Nasso si era procurato una bottiglietta di cantaridina, un liquido estratto dalle piccole cantaridi che nascono e muoiono in giugno nutrendosi dei fiori degli ulivi; si riteneva fosse un afrodisiaco, un sistema innocente per attutire le resistenze delle ragazze somministrandone qualche goccia in una sambuca.
Ma una delle due si sentì male, l’atteso festino nello studio di Rotella andò in fumo. Che Nasso fosse l’ispiratore dei décollage di Rotella lo dimostrò anche nei decenni successivi continuando a dedicare qualche ritaglio di tempo a quello che per lui era solo un hobby, perché, lasciato nel 1955 il Momento Sera si era dedicato completamente alla regia di documentari, ricevendo riconoscimenti e anche Nastri d’Argento, per poi passare alla produzione degli stessi.
Negli anni 80 con il sistema del décollage creò anche copertine per Specchio Economico. Era molto amico di Rotella, il quale però si era poi trasferito a Parigi e quindi a Milano. Nasso non rivendicò mai ufficialmente la paternità della propria invenzione, anche perché era consapevole di aver aiutato a trovare una strada un amico che non aveva altra professione oltre quella di artista. Anche Rotella si cimentò nella poesia; ne scrisse varie che definì epistaltiche. Ma così chiamava non solo le poesie: tutto il suo linguaggio dell’epoca - era il 1954, il 1955 -, era epistaltico. Ma anche quello era un espediente per attirare l’attenzione delle belle ragazze con parole astruse che le sue interlocutrici neppure comprendevano, tanto che lui si vantava con gli amici, usando sempre quella terminologia, di averle «scatoplerizzate». Grazie ai suoi décollage e ovviamente al proprio genio e alla propria arte, Rotella negli anni successivi ebbe un grande successo e anche molte ricchezze; ma lontano da Roma si dimenticò gli anni di Piazza del Popolo e degli amici di quell’epoca povera e squattrinata, ma eroica.
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