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Corsera Story. Le nuove duecento lire: il mistero che inghiotte le monetine

L’opinione del Corrierista

dal «Corriere della Sera», mercoledì 22 febbraio 1978

Rarefatti i mini-assegni, impuntuali le nuove monete da duecento lire, infuria di nuovo la crisi degli spiccioli. Una malattia endemica, non c’è valida terapia, sembra, di medici ufficiali. Capaci di debellarla si sono mostrati solo guaritori empirici, privati moderni stregoni: agitando caramelline, lecca-lecca, chewing gum, medagliette e pseudo-banconote. Scalzati da immote cattedre i professoroni si sono precipitati: scongiurando le banche a seppellire i miniassegni, festosamente annunciando miniere di monetine.
In dicembre nell’argenteo brillio di stelle natalizie qualche luccichio dorato s’è intravisto. In tempi di austerità, di risparmi e rinunce un dischetto di metallo appare di buon auspicio; al macero il povero sfarfallio di pezzetti di carta laceri e sporchi, ormai inattendibili. Per chi è riuscito in qualche modo ad entrare in contatto con le 200 lire, una doppia fortuna: dato il ristretto margine di tempo, l’emissione 1977 non poteva che essere limitata. Sul nascere le monetine erano destinate a scomparire, accaparrate da incurabili tesaurizzatori.
Ma l’emissione del 1978 è cominciata di buon’ora, il due, tre gennaio. Altiforni a fondere, macchine a tagliare, presse a stampare. Febbraio volge alla fine, le dorate monetine dovrebbero rotolare incontrastate dalla Zecca, in banche, poste, registratori di cassa, salvadanai, gettoniere, bussole, piattini, borsellini. Una valanga quasi inarrestabile. Invece niente.
Commercianti e consumatori privi non tanto dell’immagine di una moneta di corso legale, ma di un indispensabile strumento per quotidiane, piccole operazioni monetarie. Ci sono le 200 lire? Dove sono?
Si pensa subito alla banca, oggi la banca fa tutto: tasse, telefono, deposito. Possibile che non ci procuri la nuova moneta? «In dicembre ne abbiamo ricevuti 750 pezzi, distribuiti fra impiegati e clienti. Del 1978 ne abbiamo ottenuto un sacchetto, grazie ad un amico della tesoreria provinciale», confessa il direttore della sede centrale del Santo Spirito, in piazza del Parlamento. Una banca forse sfortunata; vediamo alla Cassa di risparmio di Roma, sede centrale di via del Corso: «Al momento della prima emissione ce n’è capitata una piccola scorta–ricorda il direttore–. Ne abbiamo date due ad ogni dipendente, al pubblico non sono arrivate. Molta gente le chiede, aspettiamo le consegne».
Vana la ricerca in ogni altra banca, la risposta sempre analoga. In un istituto di piazza di Spagna domandiamo se turisti e stranieri oltre a Trinità dei Monti siano riusciti ad ammirare quest’ultima rarità romana, anzi nazionale. «Macché stranieri–rispondono–, non le abbiamo viste neppure noi». Una peregrinazione sconfortante, un faticoso viaggio nella città che le fabbrica, nella speranza di trovare una sola monetina. Il dottor Giovanni Pinzarrone, direttore della Zecca, è il meno indicato; risponde direttamente al ministro, consegna merce solo al tesoro. Percorriamo l’ipotetico itinerario delle 200 lire. In via Guidubaldo dal Monte c’è la direzione provinciale del Tesoro; potranno dire qualcosa? «Monete da 200 lire? Le vorrei tanto anch’io–risponde una strabiliata voce femminile–. Senti qua, il telefono squilla per le cose più assurde. Comunque non è questo l’ufficio». Sarà la tesoreria provinciale di via dei Mille, affollata il 27 da insegnanti, pensionati, statali vari. «Fra Natale e gennaio abbiamo distribuito pezzi per 100 milioni di lire–spiega affabile altra voce femminile–. Provi a passare in cassa-banca, se ne hanno le distribuiscono. Ogni tanto arriva qualche rotolo, anch’io non le ho viste più, le conservano, è un disastro».
Al cuore del ministero del Tesoro, nel cortile del palazzo di via XX Settembre, s’aprono gli sportelli della tesoreria centrale. Qui a due passi del ministro dovrebbero averle, almeno per esigenze di rappresentanza: «Qualcuna ne abbiamo–infatti rispondono–, lei chi è? Venga, poi vedremo». Qualche speranza ma anche qualche delusione: le danno secondo chissà quali criteri. Però c’è uno sportello a Roma in cui non possono non averle, non debbono negarle. Via Milano, sede romana della Banca d’Italia, due passi dal severo palazzo di via Nazionale.
In effetti ne hanno, almeno sembra. Quanto a darle è una promessa, a prenderle un’avventura: «Oggi no, domani–paternalisticamente risponde un cassiere–, alle 9.30 cinque pezzi a testa». Una conquista aleatoria, ogni tanto arriva qualche sacchetto, si apre subito, si distribuisce, non c’è fila, che capitale prende. Come sarà questa fantomatica moneta? Tranne gli addetti ai lavori, la massa non le ha viste. «Grandi come le 50 lire, colorate come le venti con le quali possono anche confondersi», illustrano al ministero.
In frigo le missione 1977 - un pezzo vale, dicono, cinquemila lire -, del 1978 si calcola ne siano stati coniati 15 milioni di pezzi. Nessuno paga con essi il biglietto del tram? «Non le abbiamo viste in mano né ai fattorini né ai passeggeri», rispondono all’ispettorato dell’Atac. Le biglietterie sulle vetture potrebbero essere tempestivamente modificate per riceverle, ma finora non se ne vede proprio il bisogno. Il giornale costa 200 lire, forse qualcuno lo paga con la nuova moneta. Edicola Farina fra San Silvestro e largo Chigi, finalmente una moneta: «Su cinquanta giornali uno viene pagato con questa», calcola l’edicolante Rocco Cuccarese. Tutto sommato la sudata monetina è una delusione: minore fantasia figurativa, maggiore lievita. Due passi indietro, rispetto le 100 lire.

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