Il nostro sito usa i cookie per poterti offrire una migliore esperienza di navigazione. I cookie che usiamo ci permettono di conteggiare le visite in modo anonimo e non ci permettono in alcun modo di identificarti direttamente. Clicca su OK per chiudere questa informativa, oppure approfondisci cliccando su "Cookie policy completa".

Corsera Story. «Handicappati/normali» L’equipe c’è, ma riesce a funzionare?

L’opinione del Corrierista

dal «Corriere della Sera», martedì 14 febbraio 1978

Una volta a scuola c’era la maestra. Oggi c’è l’équipe. Meglio, dovrebbe esserci, perché in molte scuole ancora non c’è. Si spera, la pedagogia ufficiale s’è pronunciata, il problema è posto, non ha importanza quando si risolverà. Mancano i soldi, come per tutte le riforme. Questa sarà una delle più innovatrici, anche se ancora non appare; una riforma che, prendendo atto della evoluzione già avvenuta o in corso, imprimerà un’ulteriore svolta alla scuola elementare, ai rapporti fra insegnanti e famiglie.
Anticamente la maestra era una vicemadre. Oggi, anche se la vicemadre possono permettersela, privatamente, solo ricche disaffezionate borghesi, alla maestra viene negata tale funzione. Anzi spesso è declassata in antimadre, contromadre. Imputata in un tribunale in cui parte lesa è l’alunno, legge violata la pedagogia ufficiale, giudici i genitori. Accanto a lei spuntano nuove figure: consigli di classe e interclasse, medico scolastico, équipe socio-psico-pedagogica.
L’équipe è diretta filiazione del gran dibattito che si fece una decina d’anni fa sul problema degli handicappati. Una questione spinosa, esplosa durante l’avvio del piano decennale per la scuola. Erano i tempi delle classi differenziali per handicappati; pedagogisti, insegnanti, autorità scolastiche, medici, psicologi, specialisti trattarono l’argomento in varie sedi. Ma tuttora la massa dei genitori non afferra appieno il senso. Chiede solo: perché fino a ieri dicevate che gli handicappati dovevano essere separati dagli alunni normali, e creavate le scuole differenziali; e improvvisamente scoprite che il metodo è errato, gli handicappati vanno inseriti fra i ragazzi normali? Sbagliava prima o sbaglia adesso la pedagogia ufficiale?
Interrogativo giustificato, inquietante; così gravi, autorevoli contraddizioni incrinano la credibilità del sistema. Tanto più che entrambi i metodi hanno vantaggi e svantaggi: sono esaltati e vituperati. Discorsi di insegnanti, pedagogisti, esperti: separati dai normali, stretti nel loro ghetto, gli handicappati non ricevono stimoli, sollecitazioni più varie e vaste; il recupero è lento, lo sviluppo non aiutato. È la teoria dei riformatori.
Non la contestano in pieno gli oppositori, per lo più insegnanti e genitori di ragazzi normali. È vero, obiettano, ma avviene a danno dei normali, dei più dotati, si ritarda l’avanzata media dell’esercito scolastico, si rallenta l’azione dell’insegnante, si riduce il profitto degli altri. Teorie vecchie e nuove, quindi, basate su diversi obiettivi da raggiungere. Si vuole il progresso dei normali o il recupero degli handicappati?
Bisognerebbe avere tutto, puntare su entrambi i risultati, che appaiono contrastanti. È possibile? «La risposta sta nella disponibilità di adeguati mezzi–spiega un esperto, il professor Luigi Tufi, direttore didattico della scuola elementare di Grottaferrata, dotata di équipe–. Occorrono apposite strutture. Noi abbiamo istituito anche classi di sostegno. Non appena la permanenza di un handicappato nella classe normale diventa gravosa, il bambino viene affidato ad un’altra insegnante, trasferito in classe di sostegno, dove viene seguito in pratica quasi individualmente».
Partito in volata nella predisposizione di una scuola d’avanguardia, il professor Tufi ha chiesto in tempo al provveditorato l’autorizzazione per l’esperimento. Anche altre scuole si sono mosse ma molte hanno già fatto marcia indietro. L’onere finanziario per il funzionamento delle équipe socio-psico-pedagogiche grava sullo Stato: per Roma e provincia si aggira attualmente intorno al miliardo di lire l’anno. E non tutte le scuole ne beneficiano. In città l’hanno 89 circoli su 144; in provincia 17 su 56. Delle medie, in città 235 hanno il servizio, in provincia una dozzina. Ne sono fornite 7 scuole materne statali a Roma, 5 in provincia.
L’équipe è al servizio di tutta la scuola, non solo degli handicappati. Ha una funzione integrativa; non più solo l’attività didattico-pedagogica dell’insegnante, ma anche quella preventiva dello psicologo e dell’assistente sociale, cui si affianca quella del medico scolastico. Il rapporto a tre - insegnante, alunno, genitori - è diventato plurimo, la scuola - è diventato plurimo, la scuola non è solo insegnamento, è la sede in cui il ragazzo viene istruito ma anche controllato nella salute fisica e psichica, guidato, curato in caso di bisogno. Quando ne ravvisa la necessità, nei casi di handicappati gravi l’équipe provoca l’intervento di un altro organo, l’unità territoriale riabilitativa, formata da altri specialisti, neuropsichiatri, fisioterapisti, logopedisti. Questa fase d’intervento è a carico dei comuni che stipulano convenzioni con il provveditorato agli studi, utilizzando i mezzi finanziari concessi dalla Regione cui è stata delegata dallo Stato la funzione propriamente assistenziale: assistenza medica, psichiatrica, riabilitativa.
Dalla maestra vicemadre all’équipe socio-psico-pedagogica - della quale fanno parte naturalmente gli insegnanti - così in pochi anni si è trasformata la scuola. Proficua l’operazione? Il caso di Marco G., il ragazzo terribile della seconda H della scuola elementare Cardinal Massaia, dimostra di no. Ma i sostenitori del sistema hanno una risposta pronta: l’équipe funziona per la normalità; per i casi molto anormali occorre qualcos'altro. Come quando c’era la sola maestra.

Tags: Dicembre 2016 scuola Corsera story Victor Ciuffa Corriere della Sera Corrierista handicap

© 2017 Ciuffa Editore - Via Rasella 139, 00187 - Roma. Direttore responsabile: Romina Ciuffa