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LORELLA ANSALONI (coldiretti): IMPRENDITRICI MULTITASKING PER LA NUOVA AGRICOLTURA

Lorella Ansaloni, responsabile nazionale di Donna Impresa Coldiretti

a cura di
CLAUDIA MARIN

 

Assunzioni in crescita e aziende nascenti, guidate da giovani e con tante donne protagoniste. Prospettive, confermate da tutti gli indici economici, sorprendentemente ottimistiche. È il «ritorno alla terra» a segnare la controtendenza in questi anni di crisi. Ma non è un salto indietro nel passato, bensì l’approdo a una dimensione profondamente mutata rispetto solo a qualche decennio fa. Perché il settore agricolo italiano oggi ha un nuovo appeal grazie a molteplici professionalità e a strategie imprenditoriali che vanno ben oltre la mera produzione agro-alimentare. Parola d’ordine, multifunzionalità. Visibile ad occhio nudo. Basti pensare come, alle distese di campi coltivati di un tempo, oggi si affianchino agriturismi e altre forme di accoglienza, vendita diretta di prodotti eterogenei, produzione per il giardinaggio ed altro ancora.
«Il carattere multifunzionale dell’agricoltura sta alla base dell’interesse e del successo di tante donne, per natura e background impegnate da sempre in tanti fronti, che sempre più spesso scelgono di dedicarsi a questo campo–esordisce Lorella Ansaloni, responsabile nazionale di Donna Impresa Coldiretti–. I numeri delle quote rosa in agricoltura parlano chiaro e sintetizzano un aumento significativo: quasi trecentomila le titolari, amministratrici o socie di aziende nel terzo trimestre 2012».
Emiliana di Medolla in provincia di Modena, l’Ansaloni con il marito dirige un’azienda a indirizzo frutticolo e florovivaistico insieme con il «Punto di Campagna Amica Aziendale» rivolto alla commercializzazione di prodotti alimentari naturali e biologici, e di floricultura. Protagonista di una storia imprenditoriale singolare avendo lasciato un solido impiego in banca una decina di anni fa per seguire la propria autentica vocazione, la numero uno delle signore della Coldiretti oggi è contenta di aver rischiato e non ha dubbi: il futuro del settore è solido e soprattutto è in rosa. Ma più di qualcosa deve cambiare nel Paese per poter dare al settore la chance di realizzare le proprie grandi potenzialità.
Domanda. Donne manager in agricoltura. È davvero una realtà solida? Quali dati lo confermano?
Risposta. Solida, in ascesa e caratterizzata da una presenza femminile sempre più significativa. I dati della Coldiretti evidenziano per le signore imprenditrici una decisa controtendenza rispetto al trend della crisi, che vede una diminuzione dei colleghi uomini. Nel terzo trimestre del 2012, rispetto al precedente, si è registrato inoltre un aumento del 3 per cento delle assunzioni di lavoratrici dipendenti nel settore. Settore in cui ormai il 30 per cento delle imprese è a conduzione femminile.
D. Perché questo comparto appare tanto «predisposto» alla conduzione delle donne?
R. I fattori sono molteplici, ma direi che ad incidere molto in senso favorevole è lo sviluppo dell’agricoltura multifunzionale, con il diffondersi, in un ambito una volta piuttosto specializzato, di una forma di eclettismo che è in fondo molto affine alla natura femminile. Mi riferisco all’agriturismo, alla vendita diretta, alla stessa trasformazione dei prodotti, a tutta la variegata offerta di accoglienza in generale, compreso l’agribenessere, e all’agricoltura sociale, un ambito di cui ci stiamo occupando molto in questo periodo e che sta mostrando forme di interesse sempre maggiori. L’obiettivo è, tra l’altro, quello di potenziare tutti quei segmenti che, nell’ambito dell’attività agricola, sono predisposti all’accoglienza di persone affette da handicap fisici o mentali, o anche solo all’assistenza giornaliera o allo svolgimento di attività terapeutiche come l’ippoterapia o l’orticoltural terapy.  Continuando con l’elenco, ricordo gli agricentri estivi e gli agricentri diurni per anziani.  Non solo. Si stanno sviluppando anche gli «agriasili», strutture che possono ospitare asili nido o scuole materne.
D. Questi nuovi tipi di assistenza esprimono una forma di sussidiarietà, di complementarietà tra territorio rurale e popolazione. Un legame antico che oggi torna in qualche modo a riproporsi?
R. Sí, da un lato questi strumenti costituiscono una nuova frontiera anzitutto culturale che stiamo cercando di valorizzare e di diffondere nelle aziende. Ma esiste già un grande e antico legame che le imprese agricole hanno con il territorio. In aree poco popolate e con minore offerta rispetto alle aree urbane c’è sempre stato un bagaglio all’insegna dell’aiuto reciproco, che ha creato nel tempo una consistente rete di solidarietà. È su questa cultura fortemente radicata che trovano terreno fertile temi che oggi decliniamo modernamente come «agricoltura sociale».
D. Vuole dire che chi si avvicina oggi alla dimensione agricola ritrova anche principi che riguardano la cosiddetta responsabilità sociale dell’impresa?
R. Certamente. La dimensione agricola è creatrice di cibo, ma anche di valori. Di solidarietà, di conoscenze e di umanità, ricchezze andate quasi perdute nei decenni di grande sviluppo industriale. Anche per questo penso che la conduzione femminile delle aziende possa costituire di per sé un importante veicolo per riscoprire e rilanciare questi valori. Aggiungo che la donna ha per natura una grande attenzione ai temi dell’ambiente e verso tutte quelle innovazioni che possono condurre a un mondo migliore per i propri figli e per la società in generale. Nel momento in cui tuteliamo quanto ci è di più caro, cioè la discendenza, tuteliamo un bene che appartiene alla collettività.
D. La sua storia personale e imprenditoriale sembra un po’ il manifesto di quanto ha appena detto. Lei ha lasciato un lavoro stabile per ricercare il suo «mondo migliore» nell’agricoltura?
R. Era il classico posto di lavoro sicuro e tranquillo. Ero impiegata in banca ormai da ventidue anni, ma all’età di quarantadue ho deciso di provare a seguire una passione di tutt’altro genere. Le mie radici sono agricole, ma non avevo mai lavorato in questo settore. Inoltre devo dire che, nel corso degli anni trascorsi in banca, il mondo dell’agricoltura stava profondamente cambiando. E soprattutto mutava la percezione di questo settore nella cultura comune. Negli anni Ottanta ci si vergognava di ammettere di lavorare nei campi, figuriamoci aspirare a farlo. Tutto quanto era legato a una dimensione rurale veniva giudicato come un mondo antiquato, superato, in cui nessuno pensava minimamente di riporre il proprio sogno. Il lavoro agricolo non veniva neanche considerato alla stregua di una semplice possibilità per creare lavoro né per i giovani né per le donne.
D. Oggi sta accadendo l’opposto. Ma non sembra una tendenza di breve termine?
R. Oggi il sogno di tanti è sempre più quello di evadere da zone fortemente urbanizzate, ad alto tasso di stress e di inquinamento, che non hanno neanche mantenuto le promesse di sviluppo e di benessere fatte decenni fa. La riscoperta dell’agricoltura, a mio avviso, va letta anche come una decisa riscoperta di una dignità e di una dimensione più umane. Anche questo tipo di appeal ha fatto sì che, come me, tante altre donne e tanti giovani abbiano deciso di provare a cambiare vita.
D. Il sogno, la sfida, il futuro. Come vede gli anni a venire considerando la crisi economica e le attuali difficoltà del settore?
R. Il settore può svilupparsi ancora molto se sarà capace di scommettere davvero sulla multifunzionalità, che permette la diversificazione del rischio che anche io ho praticato nella mia azienda e che, in tempi di crisi, costituisce una salvaguardia. Certo è necessaria anche un’attenzione da parte del mondo politico.
D. Quali sono i provvedimenti più urgenti per aiutare il settore agroalimentare?
R. Comincerei con il sottolineare la necessità di interventi sulla burocrazia, che limita fortemente questo comparto come tanti altri. Lacci e lacciuoli burocratici ci costringono, anche nel momento in cui cerchiamo di attingere a risorse europee o a piani di sviluppo, dentro limiti terribilmente rigidi e molto ingessati, che non aiutano certo un’impresa nuova, dinamica, che voglia costruire un progetto per il futuro.
D. Come si apre, partendo da zero, un’azienda agricola?
R. È una scommessa affascinante ma è anche, per molti versi, un impegno difficilissimo. Anche considerando che il bene agricolo costa molto in termini di investimento. È vero che esiste la via dell’affitto del terreno, che può essere percorribile per tanti giovani e donne all’inizio, ma la prima difficoltà è appunto quella di possedere un terreno adeguato.
D. È certo che il capitale eventualmente investito nell’acquisto del terreno ritorna poi attraverso i proventi delle attività?
R. Indubbiamente ritorna, ma è un ritorno lento, che si matura in anni di impegno nell’attività. Per cui l’altro intervento urgente che bisognerebbe realizzare è l’istituzione di nuovi incentivi per l’acquisto o l’acquisizione del terreno, in particolare per i giovani e per le donne, che sono proprio coloro che in maggioranza stanno innovando nel settore. Abbiamo anche proposto, come organizzazione sindacale, il tema dei terreni demaniali inutilizzati. Gli incentivi attualmente esistenti per le donne si bloccano quando, ad esempio, le società operanti sono miste, magari familiari e comunque con presenza di uomini. In questo caso si perdono questi vantaggi quando invece la donna in azienda non solo c’è, ma è fortemente impegnata. D’altro canto sappiamo quanto antico sia il lavoro della donna in questo comparto, anche se per secoli è stato assolutamente tacito e quasi per niente riconosciuto.
D. Va però a merito della Coldiretti il suo impegno ante litteram per le donne, avendo creato il primo movimento femminile in agricoltura?
R. Certamente sì, e ne vado fiera. Quest’anno ricorrono i sessant’anni della Coldiretti donne. Nel lontano 1953, in una situazione che dava per scontato il valido e silenzioso apporto offerto nelle campagne dalla parte femminile della società, cominciò l’impegno delle donne della Coldiretti. Il movimento femminile prese ad intervenire nei temi sociali come le pensioni, la scuola, le abitazioni e le infrastrutture del territorio rurale. Già nel 1976 assunse il carattere di movimento di categoria autogestito dalle imprenditrici agricole, e cominciò l’impegno sui temi professionali e sindacali, comprese alcune battaglie molto impegnative. Basti pensare a quella per la parità dei componenti dell’impresa, a quella per la tutela della maternità e a quella per la legge sull’imprenditoria femminile.
D. Quale consiglio darebbe a una giovane donna di oggi che voglia provare ad impegnarsi nel settore?
R. Di rivolgersi a un’organizzazione sindacale, che è il soggetto in grado di fornire almeno un’infarinatura sulle reali possibilità, alla luce delle nuove frontiere dell’agricoltura multifunzionale, selezionandole anche a seconda delle inclinazioni personali. Giocare molto sul ventaglio di possibilità che, ripeto, è sempre più vasto e permette di essere presenti in diversi mercati. Io, ad esempio, ho esteso il mio settore di floricoltura e l’ho finalizzato ai servizi al pubblico, vale a dire allestimenti, decorazioni, matrimoni e decorazioni in genere per la casa, gli uffici, locali ecc. È solo uno dei tanti modi in cui è possibile usare quello che è oggi il punto di forza e che è un po’ la filosofia della Coldiretti: affiancare ai prodotti dell’agricoltura classica, sia pure in misura minore, altri prodotti o servizi connessi e complementari che consentano di innovare ed essere competitivi su nuovi fronti e anche di rivolgersi direttamente al mercato e al consumatore. Un altro esempio: noi abbiamo il Punto Campagna Amica, all’interno del garden, dedicata ad alcuni prodotti di nostra produzione o trasformazione come pere, mele, vino e aceto balsamico , ma anche a prodotti di altre aziende agricole della nostra zona. E poi consiglio di essere tenaci. Di non arrendersi di fronte alle inevitabili difficoltà di quello che è, comunque, un lavoro bello e di soddisfazione ma faticoso, e auspicabilmente anche con prospettive di ritorno economico speriamo anche maggiore rispetto a quanto sia possibile oggi.
D. A proposito di superare le difficoltà e di non arrendersi, l’Emilia Romagna è stata fortemente colpita dal terremoto dello scorso maggio. A che punto è la fase di recupero nel suo settore?
R. La mia azienda ha perso tutti i fabbricati agricoli: i fienili, la casa di campagna di famiglia, i ricoveri degli attrezzi agricoli e anche parte di quello che vi era dentro. La situazione è comune all’intera zona, nella quale la grande maggioranza dei fabbricati è inagibile. Stiamo lavorando per non bloccare le nostre produzioni, ma è una battaglia difficile anche perché, di nuovo a causa della lenta burocrazia le pratiche sono lunghe e complicate e, a tutto’oggi, non abbiamo ricevuto neanche un euro di aiuti e, come tanti altri, abbiamo dovuto investire fortemente per poter riparare i danni. Per fortuna la nostra casa e il garden non hanno subito danni ed è da lì che abbiamo ricominciato. Ma non tutti nella sventura hanno avuto la stessa fortuna. C’è chi ha perso anche la casa, e questo è un danno enorme, anzitutto perché ostacola la ripresa morale delle persone. Ma c’è una grandissima volontà di andare avanti da parte di tutti e la ricostruzione sta realizzandosi grazie a una popolazione che lavora alacremente, senza fermarsi mai e con una granitica determinazione a voler tornare a svolgere la propria attività, magari con qualche cambiamento ma con la forza e la dignità di sempre.   

Tags: Dicembre 2013

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