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mario pescante: credo che l’attuale governo avrebbe optato per le olimpiadi

Mario Pescante e Ban Ki-moon

È il dirigente sportivo di più vasta e riconosciuta esperienza in Italia, iniziata a livello universitario e culminata con l’elezione a segretario generale del Coni nel 1973, di cui è stato presidente dal 1993 al 1998. Politico acuto, è stato eletto deputato per tre legislature nelle file di Forza Italia-PDL, diventando sottosegretario alle Attività e ai Beni culturali con delega allo Sport nel secondo e nel terzo Governo Berlusconi, assumendo nel 2008 la presidenza della Commissione per le Politiche dell’Unione Europea. Mario Pescante insegna Diritto sportivo nella Link University di Roma. Tra le tante cariche conquistate, quella di massimo prestigio in ambito internazionale è senz’altro l’elezione, nell’ottobre 2009, alla vicepresidenza del Comitato Olimpico Internazionale, dalla quale si è dimesso nel febbraio 2012, in seguito alla rinuncia del presidente del Consiglio Mario Monti a candidare ufficialmente Roma alle Olimpiadi del 2020, decisione che ha causato polemiche ancor non sopite. Del CIO, Pescante rimane tuttora ascoltato membro, nonché presidente della Commissione Affari internazionali; in pratica è il ministro degli Esteri del massimo organo sportivo mondiale. Ricopre anche la carica di Osservatore nell’Assemblea dell’Onu delegato del CIO.

Nella sede romana del CIO, all’interno dello Stadio Olimpico, una foto, che costituisce un suo caro ricordo personale, lo ritrae a 19 anni, in veste di mezzofondista di caratura nazionale. Foto che egli mostra con orgoglio e che l’induce ad illustrare, come primo argomento, il rapporto tra lo sport e i giovani. «Nel 1957, proprio sulla pista di questo stadio, vinsi la finale dei 1000 metri studenteschi–ricorda Pescante–ma, anche se quella mia impresa agonistica qualitativamente non fu da Guinness, la cito nel ricordo di tutti i giovani, studenti come me, coinvolti in quella manifestazione: vi partecipammo in 50 mila, in un indimenticabile giorno di festa per gli istituti scolastici della città. Sono e sarò sempre un assertore di quel tipo di attività sportiva nella scuola, che è durata quasi 20 anni; allora gran parte degli atleti erano reclutati dallo sport scolastico e contrappongo quella felicissima esperienza collettiva alla carenza odierna della scuola ai danni dell’attività fisica. Purtroppo manca lo spirito di quei tempi e, soprattutto, l’impegno che la scuola metteva nell’utilizzare lo sport come un fattore educativo».

Domanda. Quale rivoluzione intravede con Josefa Idem, nuovo ministro dello Sport, delle Pari opportunità e delle Politiche giovanili? L’Italia può compiere passi veloci e significativi nello sport?
Risposta. La nomina della Idem è stata una scelta straordinaria. Dietro questa figura di ministro c’è un passato sportivo esaltante, non solo per le medaglie vinte ma per il numero di Olimpiadi cui ha partecipato accedendo alla finale. Coniuga perfettamente in sé due figure «sacre», quella di madre e quella di ex atleta - proveniva infatti dall’ex Repubblica democratica tedesca -, inserita prima nella squadra tedesca poi in quella italiana. Josefa è cittadina italiana e le sue medaglie sono patrimonio dello sport del nostro Paese. È estremamente attaccata a questo e ai colori della nostra bandiera. Quando si parla di integrazione, credo che poche immagini siano positive come la sua. Non dimentichiamo poi che ha un passato di amministratore pubblico perché è stata assessore allo Sport del Comune di Ravenna e membro dell’ultimo Consiglio nazionale del Coni. Una vera esperta.

D. Potrebbe anche l’Italia essere di esempio internazionale nominando una donna quale ministro dello Sport?
R. I Paesi occidentali evoluti stanno molto più avanti di noi. Di ministri dello Sport donne ve ne sono già state in Europa. Cito ad esempio la francese Marie-George Buffet, che ha operato nello sport francese a cavallo tra il vecchio e il nuovo secolo, dal 1997 al 2002; e la marocchina Nawal El Moutawakel, prima medaglia d’oro dell’atletica africana a Los Angeles nel 1984, e mia attuale collega nel CIO, di cui è stata anche vicepresidente. In Italia non siamo ancora all’avanguardia, ma ci stiamo allineando.

D. L’elezione nel febbraio scorso di Giovanni Malagò quale nuovo presidente del Coni ha avuto il suo consenso. Dopo il risultato, lei ha fatto appello all’unità, rimanendo però guardingo sui messaggi giunti da parte del mondo politico. A cosa si riferiva esattamente?
R. In particolare ai discorsi programmatici del segretario di un partito politico che mi ricordavano programmi e progetti di 20 anni fa, quando ero presidente del Coni, a «piccolo tasso» di cultura sportiva. Dopo le prime perplessità, ora mi pare che quella nomina abbia azzerato ogni preoccupazione.

D. Sono appena trascorsi i primi 100 giorni di gestione. Come giudica il lavoro del nuovo presidente del Coni?
R. In tre mesi ha già compiuto un lavoro straordinario, soprattutto per tastare il polso del territorio e, in tutti i risvolti e rivoli, nelle Federazioni e nelle organizzazioni territoriali, ascoltando un gran numero di protagonisti del mondo dello sport. Credo che abbia adempiuto ad uno dei suoi impegni più notevoli lo scorso aprile a Napoli, visitando a Scampia la palestra Maddaloni. L’impegno di Malagò è tangibile e quotidiano, quindi molto rilevante. Da «navigato» dirigente posso affermare che è proprio così che si impara il mestiere.

D. È trascorso un anno dalla rinuncia decisa dal presidente Monti alla candidatura di Roma per le Olimpiadi del 2020 e la situazione economica italiana attuale resta difficile. Rimane convinto che sia stato un errore rinunciarvi e si sia, quindi, trattato di un’occasione persa?
R. Lo confermo e ne sono ancora più convinto alla luce anche di quelle che sono state, poi, le candidature olimpiche scelte per il rush finale. Il prossimo settembre, a Buenos Aires, il CIO deciderà la sede prescelta dei Giochi della XXXI Olimpiade fra Istanbul, Madrid e Tokyo. Gli spagnoli, che soffrono le nostre stesse difficoltà o forse per certi aspetti anche superiori, godono del sostegno del loro Governo che ha optato, appoggiando la candidatura olimpica, per una formula che guarda ottimisticamente al futuro. La Spagna infatti, scorgendo «i bagliori della fiaccola olimpica in fondo al tunnel», ha rateizzato i propri impegni finanziari, usando il proprio ente di credito bancario, corrispettivo alla nostra Cassa Depositi e Prestiti. La stessa cosa si poteva fare qui dove, nello stesso tempo, si sarebbe nuovamente mosso il volano degli investimenti, puntando alla ripresa dell’occupazione e dell’edilizia ma, soprattutto, assicurandosi un maxi investimento per il futuro in quella che dovrebbe essere la maggiore industria del Paese, il turismo. Da attivare ancor prima dei Giochi, come è avvenuto negli altri Paesi. Se il discorso si fosse posto oggi con il nuovo Governo, se non addirittura con quello prima di Monti, la risposta sarebbe stata sicuramente positiva per Roma 2020.

D. In futuro vi saranno altri centenari olimpici: Parigi 2024, Berlino 2036. Per Roma dovremo aspettare il 2060 o è ipotizzabile una candidatura per il 2024?
R. Oggi è solo un bel sogno. Perché, al di là dell’accavallamento dei centenari, c’è da tenere conto della geopolitica di alternanza dei continenti. Per ospitare i Giochi è sempre in lista d’attesa l’Africa e anche gli Stati Uniti hanno espresso il loro desiderio di organizzare un’edizione dei Giochi. E poi, se nel 2020 vincesse l’Europa con Madrid o Istanbul, il nostro continente salterebbe il 2024. Questo, però, non significa che non potremmo riaffacciarci con una candidatura, magari di bandiera all’inizio, per continuare dopo. Confermo che le carte dell’Italia per una candidatura olimpica sono a posto. Il dossier stilato è ottimo: basterebbe solo aggiornare quello preparato lo scorso anno e saremmo già pronti.

D. Può spiegare le motivazioni del CIO che sembrerebbe, a breve, voler sacrificare, per i Giochi Olimpici prossimi, sport secolari sulla base di 39 criteri quali, tra gli altri, l’audience tv e la vendita biglietti, in cui l’esclusione più eclatante sarebbe quella della Lotta?
R. La decisione sulla Lotta rappresenta un orientamento del Comitato esecutivo del CIO. La decisione verrà presa, come prima fase, a San Pietroburgo entro giugno. Però la parola decisiva spetterà all’assemblea di Buenos Aires, dove ci riuniremo il 5 settembre prossimo per decidere anche l’elezione tra le candidate per i Giochi del 2020. Francamente, però, per la Lotta sono ottimista. Sembrerebbe, a mio giudizio, prevalere la tesi di chi ritiene che, oltre all’universalità e alla modernizzazione dei Giochi, ci sia da tenere in grande conto che la Lotta ha una storia lunga 2.700 anni. Per tale gloriosa disciplina, vedrei solo eventuali modifiche regolamentari: unificazione tra Lotta libera e Lotta greco-romana, riduzione del numero delle gare e aumento della prevenzione sul doping. Con questi presupposti credo che la Lotta possa essere recuperata.

D. E sulla scelta dei famosi 39 criteri usati dal Comitato internazionale?
R. È un mondo così polivalente, così poliforme e così poco omogeneo che studiare dei criteri che vadano bene, ad esempio, al golf, allo sci di fondo come pure al rugby, non è affatto facile. I criteri sono utili, ma non come discorso aritmetico per espellere o ammettere uno sport. L’esperienza di ciascuno di noi membri del CIO è il patrimonio più qualificante per dirimere tali complesse questioni.

D. Alcune volte, quello del CIO sembra essere un mondo rivolto ancora al secolo scorso. In cosa sarebbe da ammodernare e su quali problemi ci sarebbe ancora da fare?
R. Guardare al secolo precedente è doveroso. Pensiamo ai valori che hanno ispirato Pierre De Coubertin come l’internazionalismo, la tolleranza e l’abbattimento delle barriere tra i popoli. Questo è stato il patrimonio ereditato da quel secolo sin dalla prima Olimpiade del 1896. Indubbiamente lo sport oggi rappresenta un mondo più armonioso rispetto a quello nel quale viviamo; costruisce ponti laddove la politica e gli uomini frappongono muri tra le genti. Il prossimo 5 giugno, quale membro osservatore delegato dal CIO presso l’Onu, avrò l’onore di tenere un rapporto e chiudere i lavori a New York dell’Assemblea dell’Onu, che riserverà una sessione per trattare il tema «Lo sport al servizio della pace» alla presenza del Segretario generale Ban Ki-moon. A proposito della lotta per abbattere le barriere, segnalo la severità del CIO nel cancellare la maratona che a Gaza, per volontà dell’Autorità di Hamas, aveva visto escluse le donne dalla competizione. Con tale decisione il CIO ha voluto dare, all’opinione pubblica, un messaggio di fermezza e di tutela sul ruolo delle donne nello sport.

D. Ricorrenti voci la segnalano quale autorevole candidato per la presidenza del CIO; elezione in programma il prossimo settembre a Buenos Aires. Che cosa può dire?
R. Mi compiaccio perché, evidentemente, qualcuno pensa a me senza guardare all’anagrafe. Rivelo, invece, che il candidato alla presidenza che intendo sostenere è il mio collega Thomas Bach, 59enne, tedesco e medaglia d’oro nel fioretto a squadra nei Giochi di Montreal, e già vicepresidente del CIO. Personalmente sto spingendo moltissimo per questa candidatura. È campione olimpico, campione mondiale, parla 4 lingue, è esperto di problemi giuridici e presidente del Comitato Olimpico tedesco. Non sottovaluto però che sono persone di grande valore anche i suoi concorrenti, tra i quali Sergej Bubka dell’Ucraina, Richard Carriòn del Portorico, René Fasel della Svizzera, Denis Oswald pure della Svizzera, Miang Ng di Singapore e Wu Shaozu della Cina. Sto lavorando a stretto contatto con Bach perché lo ritengo il successore ideale di Rogge.

D. Da Lance Armstrong per il ciclismo, ad Alex Schwazer nella marcia, gli scandali non riguardano più solo i comprimari, ma gli sportivi d’élite. Sono da aspettarsi ancora dei «dopati» eccellenti?
R. Non mi auguro che l’eventuale prossimo sia un altro campione, perché immagino quanto gli appassionati di ciclismo e di marcia abbiano sofferto tra delusione e dolore. Il doping è un fenomeno legato sia a vantaggi economici che alcune vittorie assicurano all’interessato e al suo entourage, sia alla stanchezza fisica. Ad esempio, il ciclismo ha un calendario che, se continua ad essere così appesantito, rappresenta una spinta all’aiuto farmacologico. Lo snellirei o, addirittura, prevederei un numero di gare congruo e non oltrepassabile. Ma questo vale anche per altre discipline, penso agli sforzi fisici del tennis. Il doping prospera nei «coni d’ombra» della normativa, in quelle discipline non presenti nell’ambito del Comitato olimpico nazionale. Il primo settore oscuro è, addirittura, quello delle corse amatoriali nelle quali, purtroppo, molti partecipanti fanno ricorso agli additivi sul pessimo esempio dei «dopati eccellenti». Il secondo ambito riguarda le migliaia di palestre nelle quali si praticano sport non riconosciuti dal CONI e pertanto esenti da controlli.

D. Il calcio traina lo sport italiano, ma il sistema non funziona più e i club non sono più competitivi in campo internazionale. Cosa si può fare per invertire la tendenza?
R. Il problema è soprattutto finanziario. L’attuale imposizione fiscale non agevola i nostri club calcistici negli acquisti, poiché il regime tributario italiano è il più oneroso d’Europa. Certo, sarebbe necessario anche promuovere, tutelare e incentivare i nostri vivai non solo per reclutare nuovi campioni ma soprattutto per promuovere lo sport a tutti i livelli.

D. Andrea Agnelli afferma che il calcio è da riformare. Condivide?
R. Sento parlare da troppo tempo di riformare il calcio. Certo un buon lavoro è stato fatto, ma qualcosa è ancora da fare, ma non sono un esperto del settore. D’altra parte bisogna tener conto che siamo inseriti in un contesto internazionale e bisogna rispettare le norme della FIFA, oltre a quelle della legislazione comunitaria. Basti pensare alla sentenza Bosmann, che ha decretato la libera circolazione dei calciatori professionisti.

D. Quanto potranno giovare gli stadi di proprietà privata sul modello dello Juventus Stadium?
R. Inglesi, tedeschi e spagnoli hanno lavorato molto sull’adeguamento degli impianti sportivi alle nuove esigenze. Da noi in generale la situazione è da retroguardia. Il problema non è solo la vetustà degli impianti, ma anche la necessità che gli stadi siano meglio attrezzati, più ospitali, e che assicurino la polivalenza della struttura incrementando in tal modo le entrate dei club attraverso il marketing e le attività commerciali correlate.

D. Come debellare il razzismo negli stadi e più in generale nello sport?
R. Il razzismo è inciviltà, soprattutto in questo momento in cui ci si batte per l’integrazione. I valori dello sport servono a demolire le barriere di lingua, razza, religione e sesso. Con i fenomeni di razzismo, lo sport rinnega se stesso. I casi che si sono verificati anche in questi giorni, e che riguardano soprattutto gli spalti dove l’imbecillità esplode, sono indicativi di questo malessere. C’è da rilevare, però, che il fenomeno è meno diffuso rispetto a quello presente nella comune società civile. E lo sport può insegnare tante cose sull’argomento. Citerei i casi di Fiona May, membro della nuova giunta del Coni, e di Mario Balotelli, come esempi e stimolo per una proficua integrazione.

D. Di recente c’è stato il «coming out gay» del cestista americano Jason Collins. Che cosa pensa dell’omosessualità nello sport?
R. È un fenomeno che esiste, tanto vale che si svolga alla luce del sole.

D. Non crede che l’attività nel mondo dei diversamente abili abbia dato un contributo anche all’abbattimento delle barriere fisiche?
R. Allargando il tema all’abbattimento delle «barriere» nel mondo dei diversamente abili, i risultati ottenuti nello sport dall’esempio e dallo stimolo delle Paralimpiadi hanno surclassato quelli della società comune. Non dimentichiamo che ai tempi dell’apartheid il Sudafrica fu espulso dal CIO.

D. Qual è il suo pensiero sul calcio scommesse e sul fenomeno del betting?
R. Il CIO e le Federazioni internazionali si stanno preoccupando perché ormai tale piaga costituisce un pericolo molto incombente, come avevamo tutti ben previsto. Il calcio ha una maggiore diffusione perché raccoglie maggiore seguito, ma il fenomeno riguarda le scommesse in moltissimi sport. È uno dei problemi che abbiamo sottoposto all’Unione Europea e all’Onu.

D. Qual è per lei l’impresa leggendaria dello sport italiano ?
R. Sono legato all’indimenticabile vittoria dell’Italia nella gara simbolo dello sci di fondo, la staffetta 4 per 10 chilometri cui assistetti nelle Olimpiadi invernali di Lillehammer, del 1994. Un trionfo storico ottenuto, a casa dei maestri norvegesi, per soli 50 centimetri dopo una volata svoltasi dinanzi ad una cornice di 120 mila spettatori, in vero delirio sulla pista di un anfiteatro naturale. Sono tante le leggende indimenticabili, su tutte, le grandi imprese di Livio Berruti e quelle del compianto Pietro Mennea.

D. Un ricordo del padre dello sport italiano, Giulio Onesti?
R. Di Giulio Onesti va ricordata la vita. È stato un grande uomo di sport ma anche della diplomazia sportiva. Si deve anche a lui l’ammissione della Cina al CIO, dopo la soluzione del problema della convivenza con Taiwan, ancor prima che se ne interessasse l’Onu. È stato, come tanti altri dirigenti, il mio maestro ed è lui che mi scelse quale segretario nazionale del Coni nel 1973. Lo sport italiano deve tutto a Onesti, in termini di autonomia, forza, prestigio e risultati.

D. A che è dovuto il recente avvicendamento all’interno del PDL tra lei e Franco Carraro?
R. Dopo tre proficue legislature, è stato dato spazio a una persona di grande esperienza, non solo sportiva, che rappresenta sicuramente un buon punto di riferimento per lo sport italiano, che ha bisogno di tanti alleati per progredire.

D. Qual è da noi il futuro dello sport?
R. Lo sport accredita l’Italia all’estero: l’Italia è competitiva, eccelle in moltissime discipline, ma soprattutto è stimata internazionalmente anche dal punto di vista organizzativo. La parola Coni è simbolo di un’organizzazione ben gestita, produttiva, autonoma, ed è da esempio allo stesso CIO quando vuole dare consigli organizzativi agli altri Comitati olimpici del mondo.   

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