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sara simeoni: sport, quando l’«etico compenso» era solo il rimborso delle spese

Sara Simeoni, una delle grandi  campionesse dello sport italiano

a cura di
FABRIZIO SVALDUZ

Tra le più grandi campionesse dello sport italiano. La sua specialità è il salto in alto, nel quale ha ottenuto la medaglia d’argento nei Giochi di Montreal del 1976; ha trionfato con l’oro vinto alle Olimpiadi di Mosca del 1980 insieme a Pietro Mennea vittorioso nei 200 metri; ha conquistato l’argento nei Giochi di Los Angeles 1984. È stata primatista mondiale con 2.01, Guinness che in Italia ha resistito 29 anni, ottenuto nell’agosto del 1978 a Brescia nell’incontro Italia-Polonia e ripetuto 26 giorni dopo a Praga.
È questo l’ineguagliabile palmares sportivo di Sara Simeoni, l’atleta dal sorriso timido che ha incantato il mondo «volando» in alto con lo stile Fosbury, duellando negli anni 70, fino al ritiro del 1986, soprattutto con le mitiche tedesche Ulrike Meyfarth e Rosemarie Ackermann.
Nell’Olimpo delle glorie sportive italiane dell’atletica leggera di tutti i tempi, in vetta sono perfettamente appaiati Livio Berruti (oro nelle Olimpiadi di Roma del 1960), Sara Simeoni e Pietro Mennea, recentemente scomparso, che la campionessa chiama affettuosamente Pietro. Tra gli altri, poi, ci sono: Luigi Beccali, oro nei Giochi di Los Angeles nel 1932; Ondina Valla, oro olimpico a Berlino nel 1936; Adolfo Consolini, oro nei Giochi di Londra del 1948; Abdon Pamich, oro nei Giochi di Tokyo del 1964; Gelindo Bordin, oro nei Giochi di Seul del 1988. Dopo il congedo dall’agonismo, Sara ha continuato l’attività di promotrice dello sport in Italia per la Federazione Italiana Atletica Leggera e per la scuola, esperienze concluse non per suo volere. La Simeoni infatti, che ha oltrepassato lo scorso aprile l’asticella anagrafica dei 60 anni, nelle rare interviste ha sempre denunciato una non casuale chiusura nei suoi riguardi da parte dell’ambiente federale sportivo. Sposata con il proprio allenatore ed ex atleta Erminio Azzaro, bronzo negli Europei del 1969 nel salto in alto, la coppia, che vive in provincia a Rivoli Veronese, ha un figlio, Roberto, 22enne, che pratica la disciplina sportiva dei propri genitori.
Domanda. Insieme a Mennea, lei ha scritto l’ultima pagina a caratteri d’oro dell’atletica leggera italiana con il trionfo nelle Olimpiadi di Mosca del 1980. Sul podio, le cronache riportano che lei accennasse «Viva l’Italia» di Francesco De Gregori. Era anticonformismo?
Risposta. Quella fu l’Olimpiade del boicottaggio americano. Per molti mesi la squadra italiana non era sicura della partecipazione. Io e Pietro, che avevamo «dato il sangue» tra immani sacrifici e scelte eremitiche di dedizione alle nostre discipline sportive, e che sognavamo di disputare avendo la tangibile sensazione che potesse essere la Gara della nostra vita, riuscimmo a trattenere a stento lo sconforto per il reale pericolo di non partire. Ma la situazione si sbloccò ed entrambi realizzammo l’impresa per la nostra atletica. E quindi «Viva l’Italia». In realtà, quella del cantautore romano era una canzone che si ascoltava moltissimo in quei tempi e che personalmente amavo moltissimo. Il mio accenno, in quel momento di gioia, fu spontaneo e senza altri scopi, perché ho sempre rispettato i colori dello sport italiano, inno compreso.
D. Durante i suoi anni d’oro, c’erano già il marketing e le sue ferree logiche commerciali?
R. Qualcosa di iniziale c’era, ma non era così «prepotente» e preponderante come, non solo nello sport, accade oggi: lo definirei un «protomarketing». La differenza sostanziale con oggi era essere atleti di uno sport derubricato come dilettantistico. Questo particolare ha sempre negato a noi «dilettanti» gli odierni, lauti ingaggi: non potevamo avere nessun rapporto diretto con le aziende che, al massimo, ci fornivano il materiale tecnico. Il contatto con gli sponsor era gestito dalla Fidal. Per esempio, nella mia vita ho svolto il ruolo di testimonial pubblicitario in tre campagne dedicate a prodotti casalinghi. Mi fu proposto dalla Federazione per sostenere l’immagine dell’atletica femminile. E «l’etico compenso» fu il semplice rimborso spese.
D. Una volta lasciato l’agonismo, lei, come anche Mennea, avrebbe voluto dare tanto e a lungo allo sport. Ma non è andata così. Perché ?
R. Dopo aver smesso di saltare, ho avuto l’opportunità di lavorare nella Fidal, guidata dall’indimenticato presidente Primo Nebiolo, con il progetto «Club Italia», per decentrare e organizzare l’atletica in tutto il territorio, coinvolgendo atleti, tecnici e mondo della scuola. Poi, nei primi anni 90, sotto la presidenza federale di Gianni Gola la situazione è cambiata. Allora, sempre con l’egida della Federazione, iniziai ad occuparmi di promozione, girando l’Italia nell’ambiente scolastico con un apposito progetto per sostenere l’attività motoria contro l’incipiente patologia dell’ipocinesi o carenza di contrazione nelle fibre muscolari, già presente nella scuola primaria. Lentamente, però, per me gli spazi si sono ristretti, fino a chiudersi.
D. Un ricordo del presidente Nebiolo?
R. È stato un dirigente sportivo di grande lungimiranza ed ha contribuito a compiere quel salto di qualità degli atleti e dell’immagine stessa dell’atletica. I fasti mondiali dell’atletica moderna si sono realizzati partendo dalle sue intuizioni, specie quando operò come presidente dell’Iaaf, l’Associazione Internazionale delle Federazioni di Atletica Leggera. Ma è anche fuori di dubbio che i risultati portati da me e da Pietro l’hanno aiutato nei suoi progetti.
D. Quanto era conosciuto il doping ai suoi tempi?
R. L’uso di dopanti c’era, ma i controlli erano minori. I maggiori sospetti si rivolgevano verso le mie colleghe della Germania dell’Est. Ma non ho mai assolto, da questo peccato, anche l’Ovest.
D. Quindi, intuendo l’uso di doping nelle sue colleghe straniere, non si è mai sentita defraudata dalle loro vittorie ?
R. Diciamo che preferivo le mie vittorie, che mi inebriavano di gioia perché conquistate nella piena consapevolezza di essere pura riguardo a quel problema.
D. In un’intervista del dicembre 1989 al magazine «Campioni», allegato del Radiocorriere Tv, lei segnalava di aver rifiutato il doping; suo marito-allenatore aggiunse che le proposte le furono fatte nel 1978, stesso anno del suo record del mondo con 2.01. Come commenta, oggi?
R. Sì, in realtà io rifiutai delle proposte di usare additivi. Sono sempre stata contraria al loro apporto perché è contro l’etica stessa dello sport. Peraltro, alla fine degli anni 70 mi fu chiesto di entrare in una commissione antidoping della Iaaf. Nella prima riunione svoltasi a Roma, percepii però che gli altri atleti presenti non erano, per capirci, nelle mie stesse rigide posizioni, per cui rinunciai.
D. Lei rammenta l’anno 1978 per il suo record mondiale ma anche per l’avvento di papa Giovanni Paolo II. Che cosa ha rappresentato per lei quel papa?
R. L’ho incontrato più di una volta, ma l’ho sempre amato. È stata una figura di raccordo per i giovani di tutto il mondo e trovo oggi, in papa Francesco, una continuità nello stile e nell’universalità di Wojtyla. E mi piacerebbe avere l’opportunità di conoscerlo.
D. Dopo il suo ritiro del 1986, è stata blandita dalla politica. Arnaldo Forlani e successivamente Silvio Berlusconi, le hanno chiesto di candidarsi. Perché ha sempre rifiutato?
R. Ho apprezzato il loro «corteggiamento», ma non ho mai accettato perché dissuasa dal mio carattere irrimediabilmente schietto che non avrebbe fatto sconti ai compromessi della politica.
D. Alla vigilia della cerimonia di inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino del 2008 lei, intervistata in tv, avanzò la proposta choc di non accendere la fiamma olimpica per provocare una riflessione sui lati oscuri del Governo cinese. Quali reazioni ricevette?
R. Un assordante silenzio. Magari ingenuamente, con la mia provocazione volevo solo far riflettere sulla poca democrazia presente nel Paese che avrebbe cullato per 15 giorni gli ideali pacifici e libertari dello sport. In sostanza, più che la fiaccola, volevo accendere una civile riflessione.
D. Dopo di lei, nel salto in alto femminile ora sono protagoniste Antonietta Di Martino, primatista italiana, e Alessia Trost, unica 19enne nel mondo ad aver saltato i due metri. Intravede un’erede ?
R. Conosco e seguo Alessia fin dai suoi esordi. Ha il fisico giusto, è giovane e con la «testa» buona. Avendo tutte le carte in regola per progredire ed eccellere, sono sicura che otterrà grandi risultati.
D. Conosce personalmente anche il nuovo ministro dello Sport Josefa Idem?
R. Ho lavorato con Josefa nel 2010, quando eravamo entrambe nella Commissione del Ministero della Salute «Vigilanza Doping e la tutela della salute nelle attività sportive», e ho avuto modo di apprezzare il suo forte impegno nel settore sociale. Con lei al Governo, lo sport, i giovani e le donne avranno certamente maggiori tutele.
D. Di che cosa si occupa, ora?
R. Come innumerevoli italiani, devo arrivare anch’io alla pensione. Ho un incarico di insegnante di Teoria e Metodologia degli sport individuali nella facoltà di Scienze Motorie dell’Università di Chieti, che porto avanti con grande entusiasmo nonostante io abiti nel Veronese e gli spostamenti siano veramente lunghi. Però, nell’ultima sessione, il mio corso contava 700 studenti. Ho ancora molto da dare ai giovani e allo sport.
D. A quando risalgono gli ultimi contatti con il mondo dello sport federale?
R. Il presidente del Coni Giovanni Malagò mi ha recentemente comunicato di «pensare a me» insieme al presidente della Fidal Alfio Giomi. Solo un primo contatto ma per me importante; ho dato al presidente la mia ampia disponibilità, in attesa di ricevere un’eventuale proposta adeguata alla mia esperienza. Tutto ancora da vedere, ma sono fiduciosa perché ottimista di natura.
D. Cosa le ha lasciato, intimamente, Pietro Mennea?
R. Abbiamo trascorso anni insieme, allenandoci nello stesso impianto di Formia, compiendo le stesse esperienze sportive e ottenendo gli stessi risultati. Era introverso, ma sapeva anche aprirsi ed essere partecipe e simpatico. Sono addolorata, soprattutto, per non essere stata a conoscenza della sua malattia e non avergli potuto dare affetto e solidarietà. Con lui ho perso il mio fratello gemello.   

Tags: Giugno 2013 sport Svalduz

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